Alcuni recenti sviluppi della pittura americana sembrano rilevare con particolare sensibilità i cambiamenti e il divario sempre più marcato che attraversa la realtà socio-culturale contemporanea. Da un lato le proposte di intrattenimento, formazione e informazione sembrano tendere sempre più verso l’oligarchia o il monopolio. D’altra parte è indubitabile che le innovazioni radicali nelle tecnologie e nelle comunicazioni e la loro diffusione a basso costo hanno reso possibile una maggiore democratizzazione della cultura, contribuendo, tra l’altro, allo sviluppo di quel fenomeno che i sociologi americani hanno definito “Pro-Am Revolution”: ovvero la rivoluzione dei dilettanti professionisti. In un articolo apparso recentemente sul Chronicles Reviews così Bill Evey e Steven J. Tepper definiscono i Pro-Ams: “si tratta di persone che hanno acquisito abilità di alto livello in una particolare arte, in un hobby o in uno sport. Non sono professionisti ma sono bravi abbastanza da poter presentare il loro lavoro pubblicamente e dare un serio contributo a una comunità che condivide gli stessi interessi”.
Nella storia degli ultimi decenni gli esempi non mancano di certo: la musica ”fatta in casa” ha dato vita a generi musicali come il Rap e l’House; comete e altri corpi celesti sono stati scoperti da semplici astrofili; centinaia di blogger hanno generato una fitta rete di informazione indipendente. Stiamo quindi assistendo a una “rivitalizzazione della cultura popolare” –per usare le parole dello studioso del MIT Henry Jenkins- che ha determinato una delle principali svolte del ventunesimo secolo -paragonabile forse a quella gutemberghiana- soprattutto tra chi possiede discrete risorse economiche e abilità tecniche in grado di permettergli di costruirsi un personale orizzonte culturale e chi invece è costretto a un numero più limitato di scelte offerte dal sistema dell’informazione ufficiale e dell’intrattenimento culturale “professionale”.
Fortemente radicato nella cultura popolare, a tal punto da evocare gli stilemi dei “pittori della domenica”, è il New Folk, tendenza di punta della nuova figurazione americana. Mescolando sapientemente cultura “alta” con elementi vicini alla sensibilità popolare, il New Folk riesce a parlare a tutti in un linguaggio di facile comprensione. Differentemente dalla Pop Art, vengono richiamate non tanto le icone della cultura di massa, quanto piuttosto la sua stessa capacità di esprimersi attraverso codici semplici, a volte banali, e di rappresentare un mondo altrettanto semplice e -apparentemente- “banale”: quello delle persone a cui si rivolge. La naiveté dei dipinti folk è un mezzo per veicolare contenuti morali (non più solo di critica verso la società dei consumi, come accadeva nella Pop Art) che celebrano l’eroismo e la bellezza della dimensione feriale dell’esistenza, delle piccole azioni di ogni giorno, contrariamente a quell’estetica dello shock che ha caratterizzato gli ultimi decenni dell’arte e non solo. È uno stile che dal punto di vista formale sembra richiamare la limpidezza, la cordialità e gli ideali domestici del Biedermeier, anch’esso affermatosi in una società che manifestava un diffuso bisogno di tranquillità dopo i burrascosi avvenimenti dell’età napoleonica.
Il New Folk non va considerato come un movimento ufficiale, esso è costituito da un gruppo di artisti accomunati dal fatto di lavorare a New York e di avere scelto il disegno e la pittura come medium di elezione per esprimere un rinnovato senso etico dell’arte. Alcuni di questi artisti godono ormai di una consolidata fama internazionale. Marcel Dzama ad esempio è celebre per i suoi disegni caratterizzati da un’ironia cupa e surreale, acquisiti dal MOCA di Miami e presentati in numerosi spazi pubblici e privati. È stato invece chiamato ad esporre da Charles Saatchi per il quarto episodio della rassegna The Triumph of Painting Jules de Balincourt, l’anima più esplicitamente politicizzata del gruppo. I suoi lavori sono pervasi da un’atmosfera apocalittica e ritraggono masse in fuga da recinzioni, stanze dei bottoni, deflagrazioni multicolor.
Balincourt è rappresentato da uno dei galleristi-leader di New York, Zach Feuer, il quale ha saputo imporre al mercato giovani talenti, scoperti in famose università americane (come la Columbia e Yale) quando ancora non avevano conseguito il diploma.
Nei lavori di altri artisti il contenuto morale è molto meno esplicito; i disegni di Amy Cutler parlano attraverso metafore, con un linguaggio fiabesco; hanno per protagonisti per lo più donne impegnate in attività bizzarre come cucire pelli di tigre o cavalcare un elefante intrappolato sugli alberi. Attraverso queste presenze animali l’artista sembra richiamare una capacità quasi darwiniana da parte delle donne di adattarsi alle difficoltà della vita. I dettagli di ogni dipinto sono curati con grande attenzione: scarpe, borsette e tessuti, sono rappresentati con dovizia. Le eroine della Cutler vivono una quotidianità dalle sfumature epiche e surreali; compaiono spesso in uniforme, forse per alludere a una sorta di reclusione monastica, ma anche all’appartenenza ad una collettività. L’artista ha recentemente esposto al P.S.1 per la mostra Greater New York e al Museo Kiasma di Helsinki per ARS 06.
Un altro pittore rappresentato dalla galleria LFL di Zach Feuer –ma che ha cominciato a farsi notare anche in Europa da Torino a Basilea- è Ridley Howard. I suoi dipinti rappresentano personaggi dall’aria un po’ svampita, in situazioni di banale ferialità. Ricordano in parte lo stile del grande Alex Katz, ma sono testimoni soprattutto di una passione per la pittura italiana, dal Beato Angelico a de Chirico. Fondamentale per l’artista è comunque la ricerca costante di una “levity of tone” che gli permetta di dialogare con un vasto pubblico, stimolandolo a completare dei racconti appena accennati.
Un analogo senso di frammentazione e incompiutezza, che richiama la struttura narrativa delle canzoni pop, lo si ritrova nei lavori di Jockum Nordstrom, la cui iconografia richiama frequentemente il mondo della musica (Jockum è anche un musicista). Troviamo i personaggi dei suoi dipinti impegnati in passatempi lascivi all’interno di un contesto urbano industrializzato dove sono venuti meno i limiti tra pubblico e privato: i tetti delle case sono scoperchiati, le porte semichiuse, i muri parzialmente abbattuti. Nordstrom ha esposto nel 2004 alla Tate Modern e come Marcel Dzama è rappresentato dalla galleria di David Zwirner.
Holly Coulis ha esordito nel 2002 in una doppia personale con Dana Schutz, ancora una volta presso la galleria LFL di Zach Feuer. Per dirla
Il successo di questi artisti si inscrive certamente nel rinnovato interesse per la pittura “lowbrow”, già attestato nelle ultime edizioni di fiere come Art Basel e Armory Show, dove i lavori di outsider come Martin Ramirez hanno raggiunto cifre esorbitanti .
La scelta della pittura e del disegno è dettata dalla capacità di questi media di comunicare in maniera più diretta l’intimità dell’artista. Anche la semplificazione formale esprime la volontà di trasmettere con immediatezza sentimenti ed emozioni capaci di far fronte al crescente malessere sociale. Un’arte attenta al ‘popolo’ ed al nazional-popolare –anche se magari soltanto in apparenza- che offra limpidezza, ideali domestici e tranquillità ad un pubblico, quello statunitense, arcistufo dei burrascosi eventi d’inizio millennio.
luca vona
*articolo pubblicato su Exibart.onpaper n. 32. Te l’eri perso? Abbonati!
[exibart]
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uno splendido ritorno all'ordine
la cutler è bravissima
Americaaa, ma perché non puntualizzare storicamente che tale fenomeno è anche Italico ed è una faccia del villaggio globale? Io è un decennio che espongo a domicilio e non sono affatto folk al limite un tarantolato...