Quella del Soft power, in italiano “potere dolce” o “potere convincitivo”, è una teoria delle relazioni internazionali individuata, al principio degli anni Novanta, da Joseph Nye Jr. della Harvard Kennedy School of Government, per rappresentare l’abilità nella creazione del consenso attraverso la persuasione e non attraverso la coercizione (Hard power). Secondo tale teoria, il potenziale immateriale d’attrazione di una nazione non risiede tanto nella sua forza economica e militare, quanto nella diffusione internazionale della propria cultura e dei propri valori storici fondativi di riferimento. La strategia del Soft power ha profondamente caratterizzato le relazioni mondiali degli ultimi 30 anni. Oggi, numerosi organismi stilano una serie di classifiche sulla maggiore o minore capacità degli Stati di diffondere e fare tesoro di questa loro capacità. Tuttavia, sebbene i meccanismi con cui tali classifiche vengono stilati talvolta abbiano ben poco a che fare con un metodo scientifico tout court, non c’è dubbio che per quanto riguarda la Cina la strategia del Soft Power sia primaria.
Sin dal 2011, infatti, mentre Xi Jinping si preparava a prendere il potere dal Segretario Generale Hu Jintao, il 17mo Comitato Centrale del Partito Comunista Cinese dedicò un’intera sessione plenaria alla questione della cultura, con un comunicato finale che poneva tra gli obiettivi nazionali «fare del nostro Paese una superpotenza culturale socialista». Per fugare ogni dubbio sull’intenzionalità dell’approccio strategico, nel 2014 il Presidente Xi annunciò letteralmente: «Dovremmo aumentare il Soft power della Cina, dare una buona narrativa cinese e comunicare meglio i messaggi della Cina al mondo».
Funziona un po’ come nel marketing insomma, dove un concetto simile viene espresso con la Brand Equity, ossia una risorsa immateriale e intangibile che è tuttavia centrale in quanto esprime la forza di un marchio sul mercato. Si fonda sulla conoscenza di una marca da parte di un determinato mercato/target di consumatori, che sviluppano lealtà verso il marchio e verso i valori che trasmette.
L’utilizzo strategico del Soft power della Cina nel mondo è evidente in molti ambiti – alcuni dei quali di “soft” hanno ben poco. È di manifattura cinese l’infrastruttura della rete 5g in fase di diffusione in tutto il mondo a opera del marchio Huawei, che potrà gestire autonomamente il flusso strategico delle informazioni che veicolerà. Parte dalla Cina la Belt and Road Intiative, la “Nuova via della seta”, con lo scopo di incrementare il flusso commerciale dall’Asia all’Europa e fino al Canale di Suez per ricostruire quello che un tempo era il canale di commercio tra l’impero romano e l’impero di centro.
Era de maggio quando lo stesso Donald Trump è stato costretto a fare un passo indietro dall’inserire la Huawei nella Entity List, un elenco pubblico di entità con cui le aziende americane non possono liberamente tenere rapporti commerciali in quanto «rischiano di intraprendere attività contrarie alla sicurezza o agli interessi di politica estera degli Stati Uniti».
La risposta immediata, silenziosa, della controparte cinese non tardò ad arrivare: i media ufficiali della RPC diffusero le fotografie di un sorridente Xi Jinping mentre si intratteneva in una visita presso un impianto di terre rare a Ganzhou, nella provincia di Jiangxi. La Cina è il principale produttore al mondo di terre rare. Le terre rare sono indispensabili per produrre apparati tecnologici ed elettronici di qualsiasi tipo, dagli smartphone alle carte di credito. Il messaggio è stato chiaro: il mondo intero non può fare a meno della Cina, un Paese che aspira a essere la potenza egemone del XXI secolo. Ultimo esempio, non per importanza ma per attualità, il Covid 19.
Un trattato di geopolitica o un semestre universitario non sarebbe sufficiente per scendere nei dettagli di tutte le questioni che riguardano l’esercizio del Soft power da parte della Cina. Tuttavia in questo spazio vogliamo lanciare alcuni spunti per analizzare alcuni messaggi che sembrano passare sottotraccia in queste settimane di dittatura mediatica da Coronavirus.
Partendo dal piano istituzionale, è molto interessante notare l’aumento esponenziale dei follower e dei relativi like della pagina Facebook dell’Ambasciata della Repubblica Popolare Cinese in Italia. La propaggine social – fuori dai confini nazionali: Facebook è vietato in Cina – di quello che dovrebbe essere l’austero volto di un regime comunista sta riscontrando un interesse di pubblico, per così dire, molto pop. Nelle ultime tre settimane, infatti, se non proprio virali come il Covid 19, molti dei suoi post hanno raggiunto picchi di 200mila like.
Il focus della narrazione dei post ruota tutto intorno al millenario rapporto d’amicizia tra Italia e Cina e alle massicce dimostrazioni di solidarietà che si stanno sostanziando nell’invio di team di dottori specialisti e materiale medico per combattere il virus. E poi, dimostrazioni di affetto palesate attraverso canali comunicativi che giocano sull’immedesimazione delle persone rispetto alle sofferenze che i due popoli stanno vivendo, che creano quindi un sottaciuto rapporto di specialità e di comprensione maggiore rispetto agli altri. Si possono trovare testimonianze di cittadini cinesi in Italia e viceversa, registrazioni poi di canti, balli et similia, che hanno lo scopo di alleviare le sofferenze reciproche e supportare emotivamente gli sforzi sostenuti.
Non c’è dubbio che il sistema istituzionale ma anche economico del Belpaese sia in prima linea tra gli Stati occidentali per i rapporti con il colosso asiatico. Non è un caso infatti che agli albori dell’epidemia in Europa, a seguito di alcune manifestazioni di razzismo verso le comunità cinese in Italia, il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella abbia sentito l’esigenza e forse l’urgenza di farsi fotografare durante una visita a sorpresa in una scuola piena di bambini cinesi che sventolavano la bandiera italiana.
Gli dà manforte l’attivismo del nostro Ministro degli Esteri che non perde giustamente occasione per esaltare questo tipo di relazione sui suoi canali social. Anche se in passato le esternazioni di Luigi Di Maio sono suonate più come gaffe. Per i nostalgici, ricordiamo la storia dell’export di arance siciliane in Cina o l’episodio in cui (per due volte!) Giggino ha chiamato il Presidente cinese Ping(u).
Il rapporto strategico tra Italia e Cin si sta quindi rafforzando in questi giorni di emergenza nazionale. Inoltre, forti delle quanto meno sgraziate esternazioni della Presidente della BCE, Christine Lagarde, sul web fioccano post che mettono in luce quanto, in termini assoluti, stiano facendo di più i cinesi in quindici giorni per sostenere il sistema Italia, che l’Unione europea negli ultimi quindici anni.
Trascendendo il costrutto populistico e propagandistico di una simile vulgata, secondo moltissimi osservatori quello che resta è appunto un messaggio di forza e solidità, che è proprio quello che vuole far passare la Cina di Xi Jinping. Se nelle fattispecie del 5G e della Belt and Road Initiative l’Italia era stata redarguita in maniera esplicita dai suoi alleati europei e dagli Stati Uniti, le cose hanno preso una piega decisamente diversa con l’emergenza Coronavirus.
L’approssimazione con la quale i Paesi occidentali hanno affrontato il virus e il successivo palesarsi della sua inevitabile diffusione a livello globale, che ha spinto l’OMS a dichiarare la pandemia, sta mettendo in discussione il modello delle democrazie liberali/liberiste rispetto al dirigismo economico di Stato cinese. Se addirittura il più capitalista dei quotidiani inglesi, The Economist, si è preso la briga di cercare di smontare una simile interpretazione, vuol dire che il modello cinese, non solo rispetto al contenimento del virus ma proprio come modello di gestione dello Stato moderno, sta cogliendo nel segno.
Assistiamo da diversi anni al dilagare dei sovranismi, all’appiattimento delle tutele democratiche e a tutta una serie di fenomeni che sembrano regressivi per una società realmente moderna. La richiesta latente di risposte forti o uomini forti che si è resa esplicita in questi giorni, trasformando il premier Giuseppe Conte da brutto anatroccolo a novello Pater Patriae è l’esempio lampante di questa dinamica.
Rispetto alle mille frammentazioni, alla miriade di interessi di bottega dei Paesi occidentali che arrivano al punto di rubarsi a vicenda brevetti sui vaccini o addirittura la fornitura di mascherine, la Cina sta lì a dimostrarci come la tecnica intesa come téchne abbia oramai superato se non annullato lo scopo delle società capitalistiche, infrangendo l’illusione delle democrazie liberali occidentali.
In un contesto nel quale la natura si sta ribellando in maniera sempre più evidente all’invadenza dell’uomo e in un futuro ormai più che prossimo in cui le intelligenze artificiali riscriveranno radicalmente la forma delle catene produttive del valore, il diffondersi del virus a livello globale può fare da apripista a una nuova teleolologia del mondo che non sia quella della semplice ed esclusiva accumulazione.
Se il virus non passerà alla storia per il numero di morti o per un effetto maltusiano sulla catena del valore, lo avrà fatto avendoci messo di fronte a una condizione totalmente nuova. Se nell’immediato dopocrisi le cose ci sembreranno tornate alla normalità, tuttavia non lo saranno e tutte le questioni sopra elencate resteranno dirimenti e non si potrà fare a meno di tenerle in conto. La Cina ha saputo trasformare una potenziale catastrofe nazionale in un esempio a livello globale di gestione dello Stato. Lo stress test per le democrazie liberal capitalistiche si sta rivelando fortissimo. I rischi di un tale tipo di approccio sono di per se stessi evidenti ma resta un dato: se non si è trattato in origine di strategia hanno saputo renderla strategia di Soft power e non si può certo dire che sia poco.
(Per chi è arrivato fino alla fine, ecco Donald Trump che dice China per tre minuti)
Giulia Cavaliere ricostruisce la storia di Francesca Alinovi attraverso un breve viaggio che parte e finisce nella sua abitazione bolognese,…
Due "scugnizzi" si imbarcano per l'America per sfuggire alla povertà. La recensione del nuovo (e particolarmente riuscito) film di Salvatores,…
Il collezionista Francesco Galvagno ci racconta come nasce e si sviluppa una raccolta d’arte, a margine di un’ampia mostra di…
La Galleria Alberta Pane, 193 Gallery, Spazio Penini e Galleria 10 & zero uno sono quattro delle voci che animano…
Si intitola “Lee and LEE” e avrà luogo a gennaio in New Bond Street, negli spazi londinesi della casa d’aste.…
Un'artista tanto delicata nei modi, quanto sicura del proprio modo d'intendere la pittura. Floss arriva a Genova in tutte le…