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20
maggio 2016
Perché su Roma ha ragione Christian Raimo
Politica e opinioni
Elezioni sempre più vicine e confusione che non si scioglie. Mentre la cultura interessa ben poco i vari candidati. Accende però discussioni tra chi non si rassegna al degrado
L’invettiva di Christian Raimo pubblicata su Internazionale “Roma sta morendo e nessuno fa niente” a ormai qualche settimana dalle elezioni ha, come si dice, vivacizzato un dibattito politico praticamente concentrato e fermo su destra divisa, Marchini neoamico dei fasci de’ core, Pd imballato sulla giustizia e concentrato sul referendum di ottobre, diventato la madre di tutte le battaglie, Fassina triste y solitario e la vittoria certa di Virginia Raggi. Tutti i candidati dicono più o meno le stesse cose su mobilità, rifiuti, sicurezza, legalità, trasparenza, turismo, periferie, eccetera. Quasi nessuno, ovviamente, parla di cultura e di certo nessuno di cultura e produzioni contemporanee. Scegliere a chi dare il proprio voto, a questo punto, appare semplicemente una scelta di buon senso e non di meno il frutto di un esercizio anche minimo della memoria.
Ma non è di questo che voglio parlarvi, o almeno non subito, piuttosto e invece del fatto che le parole di Raimo, a quello che mi risulta, rappresentano una delle poche prese di posizione pubbliche di un intellettuale romano sulla città che viviamo e su quella che invece vorremmo vivere.
A Raimo ha risposto in maniera piuttosto stizzita Massimiliano Tonelli su Artribune, con argomenti che si sono concentrati sulle ragioni della legalità versus l’illegalità, come sappiamo diffusa a vari livelli nella Capitale e che, sempre secondo Tonelli, Raimo difende invece come la parte buona e da salvare di questi tristi anni.
In ogni caso lo stesso Raimo ha controreplicato di suo, con un post su Facebook.
Naturalmente, com’è noto, esistono sostanziali differenze tra i concetti di legale, legittimo e giusto, come ovviamente tra i loro contrari. Senza fare una lezioncina di filosofia del diritto, non avendone tra l’altro alcun titolo, la storia ci ha insegnato che una cosa legittima può essere legale ma nient’affatto giusta, come viceversa, e che queste differenze non sono senza conseguenze.
Tanto per fare un esempio, quando nel 1955 Rosa Parks si rifiutò di cedere il posto sull’autobus ad un bianco, il suo gesto fu considerato, e a tutti gli effetti era per lo stato dell’Alabama, illegale e illegittimo, ma non per questo non era giusto, così come appunto la storia ha dimostrato.
Se poi pensiamo a come la legittimità delle dittature sia stata la conseguenza della coniugazione senza precedenti tra potere carismatico e potere legale (Max Weber), appare chiaro che parlare di legalità in modo generico sia perlomeno ingenuo, se non proprio antistorico.
Tanto per fare qualche altro esempio, se il diritto al lavoro è garantito dalla costituzione, non è illegale, illegittimo e anche ingiusto, che questo diritto non venga assicurato con tutti i mezzi possibili dall’autorità politica? Così come il diritto alla casa, che nella Costituzione italiana è richiamato all’articolo 47 e in molte sentenze della Consulta. Per non parlare del diritto alla salute.
Per chiudere con un caso che ci riguarda da vicino, voglio rammentare che quando la Commissione Rodotà istituita nel 2007 al fine di studiare la riforma delle norme del Codice Civile in materia di beni pubblici, si trasferì nel 2013 dagli uffici del Ministero di Grazia e Giustizia al Teatro Valle Occupato,dopo aver prodotto una proposta di articolato che non venne mai tramutata in legge, compì un atto del tutto legittimo,ma soprattutto sostenuto da un concetto giusto come affermò lo stesso Rodotà: «Prendiamo atto di una realtà e vogliamo valorizzarla: centinaia di migliaia di persone contribuiscono a elaborare il concetto di bene comune». Difficile considerare Stefano Rodotà uno sprovveduto intellettuale con intenzioni sovversive verso lo stato di diritto.
Bisogna dunque prendere atto della realtà in cui siamo, che è senza dubbio quella descritta da Raimo, e cioè quella di una città in cui chi ha governato non ha saputo e voluto corrispondere alle esigenze e ai disagi che erano e sono sempre più evidenti. Le occupazioni sono state una delle reazioni a quest’indifferenza e bollarle solo come “illegali”, oltre che dimostrare nessuna comprensione delle dinamiche in atto, non tiene in alcun conto i risultati culturali e sociali spesso e volentieri molto superiori a quelli ottenuti da istituzioni pubbliche omologhe. Ma soprattutto appare evidentemente necessario sottolineare che chi è chiamato a governare ha il dovere politico e morale di conciliare il legittimo con il giusto, in modo da risolvere quei disagi riportandoli nell’alveo della legalità. Se invece si vuole sostenere che il governo di una città debba solo limitarsi al rispetto della legalità, non faremmo meglio e prima a tenerci il prefetto commissario e nominare dirigenti della Polizia agli assessorati, risparmiandoci le elezioni?
Credo che oggi non sia invece difficile capire cosa sarà necessario fare a Roma per renderla una città più vivibile, più giusta, più normale, oltre le ovvietà del risanamento dei servizi e delle aziende comunali che li forniscono, dell’applicazione e del controllo della legalità e del principio della trasparenza fino all’ultimo degli uffici e degli impiegati comunali, che sono cose difficili ma non di meno a questo punto scontate. La vera sfida ambiziosa, l’arduo e irrinunciabile obiettivo, è altrimenti e proprio quello di comprendere le esigenze che le collettività che compongono la città hanno manifestato cercando soluzioni legali e illegali, riuscendo a valorizzare le esperienze migliori e a renderle fruibili in modo più diffuso dalle collettività. Ma anche, e non secondariamente, favorendo quelle iniziative imprenditoriali e culturali che in questi anni hanno costituito una rete precaria e sommersa nella città e che invece ne rappresentano la vera possibilità d’identità e di sviluppo. Sempre se non vogliamo accontentarci di trasformarci in un unico b&b con friggitoria annessa e dessert molecolari per chiudere in bellezza.
Raffaele Gavarro