Si tratta del primo effetto-domino partito da Gennaro Sangiuliano, l’ex ministro della Cultura dimessosi dopo lo scandalo che ha animato per giorni la stampa nazionale e non solo. Al rapido declino nutrito dalle rivelazioni della sua amante Maria Rosaria Boccia, ha fatto seguito la nomina di Alessandro Giuli, che ha lasciato prontamente l’incarico di Presidente del MAXXI di Roma per dirigersi a Palazzo Chigi e firmare le carte che lo vedono ora a capo del dicastero. Non si perde intanto tempo al Museo nazionale delle arti del XXI secolo, dove il ruolo vacante viene preso con effetto immediato dalla napoletana Raffaella Docimo, titolare di Odontoiatria Pediatrica e Direttore della Scuola di Specializzazione in Odontoiatria Pediatrica all’Università di Roma Tor Vergata. La Docimo subentra quindi a Giuli in funzione pro-tempore fino a prossime nomine in quanto decana del cda del museo. Secondo prassi, infatti, in caso di vacanza della presidenza è il componente più anziano – salvo controindicazioni del consiglio – ad assumerne il ruolo fin quando necessario. Anche qui non manca la longa manus di Sangiuliano: era stato lui, infatti, a inserirla nel consiglio a marzo 2023. L’anno successivo era stata candidata alle Europee nella lista di Fratelli d’Italia nella circoscrizione Sud, ottenendo oltre 20mila voti ma senza essere eletta. La sua permanenza al MAXXI potrebbe essere tutt’altro che breve: tra consultazioni, analisi di candidati adeguati e spostamenti, il toto nomi si fa sempre più complesso.
Nonostante quindi la procedura sia corretta, a destare lo scontento generale è l’ennesima riprova di una compagine che viene messa ai ruoli apicali della Cultura senza meriti evidenti, ma solo per fedeltà e appartenenza di partito: lo ha dimostrato più volte Sangiuliano in questi quasi due anni di ministero, tra sfondoni e gaffe che sono stati preludio di una fine grottesca; mentre ha sollevato non poca indignazione la mancata laurea di Giuli, che come riporta il cv di dominio pubblico ha sostenuto tutti gli esami di filosofia alla Sapienza senza concludere il percorso universitario. “A noi laureati della magistrale in storia dell’arte, con la nuova riforma MIC, viene chiesto il Master di II livello in gestione dei Beni Culturali come requisito essenziale per diventare funzionario”: è questo il tono dei commenti che ha riempito i social di exibart nelle ultime ore. Un malcontento diffuso a macchia d’olio che sarebbe bene non ignorare: se essere disamorati della politica è un fatto già visibile a ogni spoglio di urna, aumentare ulteriormente il divario tra istituzioni culturali e comunità non può che essere un boomerang pronto a tornare indietro.
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La stessa sinistra sgraziata, che oggi rimprovera a Giuli di non aver terminato il suo percorso di laurea, dimentica non solo che lo stesso Veltroni, e dopo di lui Francesco Rutelli, furono scelti da loro per lo stesso incarico con in tasca un semplice diploma, ma soprattutto che ciò, di per sé, non è affatto un problema.