19 giugno 2012

Quadriennale, tra carrozzoni e pasticciacci freddi

 
All'indomani della seconda lettera dei tre curatori che chiede le dimissioni di Gawronski, arriva solo il silenzio. La stampa non se ne cura, gli addetti ai lavori nemmeno. Non è forse il caso di ripensare in toto alla dimensione della Quadriennale di Roma? Abbiamo cercato di ragionare un po' sulla questione, ponendoci molte domande e ponendole anche a Giacinto Di Pietrantonio, che di mostre se ne intende parecchio

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«Primo, non è nostra intenzione difendere la Quadriennale così com’è stata realizzata fino a ieri. Quel modo di concepire le mostre è infatti quanto di più distante dalle ricerche curatoriali e artistiche praticate nel nostro paese e nel mondo. Pensare una mostra come una lista di artisti redatta da quattro, cinque curatori, o come da Lei immaginato, da tre artisti di chiara fama, non permette al pubblico italiano e a quello internazionale di capire quale sia il reale stato dell’arte italiana. E tantomeno è di qualche aiuto per gli artisti italiani. Presentare l’arte del nostro paese come un elenco di nomi, più o meno di qualità, senza che tutto ciò sia motivato da idee, ragionamenti e metodologie conseguenti, non produce alcun effetto positivo. 
Secondo, la nostra provocazione voleva essere, com’è stata, un modo per non far passare in sordina la Sua decisione. Ci interessava attirare l’attenzione sul fatto che Lei, essendo il Presidente della Quadriennale, ha il compito di fare la Quadriennale. Se questo compito Le è impedito, o non è in grado di realizzarlo, Le rimane solo una cosa da fare: dare le dimissioni». 

Sono questi i due punti fondamentali della seconda missiva, inviata al Presidente della Quadriennale di Roma Jas Gawronski dal trio Casorati-Gavarro-Pisano, in merito alla mancata realizzazione, annunciata qualche settimana fa, della manifestazione capitolina. Che non ha risposto alla prima missiva e che, a meno che i fatti non smentiscano tutto, non risponderà nemmeno alla seconda. L’affaire, in effetti, non sembra risvegliare particolare interesse. Non ne discutono gli addetti ai lavori e non reagiscono neanche i soliti forzati del web e dei blog. Più che chiedersi chi la farà, e se alla fine si farà, questa Quadriennale, bisognerebbe interrogarsi sul perché l’argomento non attacchi. Non morda più di tanto. Forse l’autocandidatura è stata presa come una boutade, una provocazione che porta poco lontano o forse è tale la rassegnazione che non la smuovono neanche lettere e controlettere. 
Nel frattempo i due milioni continuano a mancare, i 360mila euro a disposizione sembra non riescano a coprire nemmeno in parte le spese vive della rassegna, fatta dell’affitto del Palazzo delle Esposizioni, della guardiania, delle mansioni “comuni” che spettano a un museo. Giacinto Di Pietrantonio, direttore del GAMeC di Bergamo, ha un punto di vista diverso: i soldi ci devono essere, certo, ma con queste ipotetiche centinaia di mila euro a disposizione, si riuscirebbe a fare una mostra decisamente importante, di “riferimento” per il panorama della penisola. Sebbene, secondo il critico, «non si possa pensare che il Presidente Gawronski faccia una mostra senza fondi, in questo caso è lo Stato che deve garantirli». Che la Quadriennale sia una rassegna istituzionale, impensabile di rinchiudere in uno spazio da centro sociale o realizzarla con denaro centellinato, anche se questo è un esercizio che tutti, o quasi, fanno in epoca di crisi, è stato abbondantemente sottolineato dalla fazione opposta ai tre curatori, rappresentata da Ludovico Pratesi. 

Ma c’è dell’altro. Secondo Di Pietrantonio, il messaggio del Presidente Gawronski non è una sorta di “capriccio”, ma ha a che fare con un campanello d’allarme: «È in qualche modo un chiaro monito al Ministero. Per suo statuto la Quadriennale è un ente statale, e la decisione del Presidente dovrebbe far riflettere lo Stato italiano intorno alla situazione delle sue manifestazioni, Quadriennale in primis, che in teoria dovrebbe promuovere proprio l’arte del Belpaese».
Avrebbe senso organizzarla in uno spazio più piccolo? E poi c’è il lato critico: perché far scegliere artisti ad altri artisti (come era nei piani di Gawronski)? Da chi era composta la commissione di curatori e critici che avrebbero dovuto indicare gli italiani da mettere in mostra? Su questo dovrebbe rispondere il Presidente che invece tace, nominato pare, non solo perché giornalista e quindi popolare, ma anche per i soliti abbagli acchiappa-soldi: “è uno ben introdotto che troverà i soldi”, devono essersi detti astutamente al Comune di Roma. E infatti si sono visti i risultati.
E tanto per parlare del Comune, c’è da chiedergli come mai non abbia tenuto conto dei fondi da destinare a una rassegna che tutti dichiarano importantissima per la cultura italiana, ma del cui stop frega poco. Tutti l’hanno intesa forse come un segno dei tempi, un periodo non tanto di riflessione quanto una contingenza del momento storico. In questi anni Settanta di ritorno, all’acqua di rose, sembra ci sia abituati un po’ ai momenti di standby e alle “dimissioni” di tutto un apparato. Se poi questo “apparato” non è nemmeno così popolare, proprio come non lo è la Quadriennale, sembra che faccia male solo a pochi, mentre il Paese, per citare una vecchia opera di Paola Pivi “se ne fotte”. 

Soprattutto perché, chiosa Di Pietrantonio, la Quadriennale è fondamentalmente un carrozzone che «non ha particolare seguito e non ha mai prodotto, specialmente nelle ultime edizioni, una mostra di riferimento intorno allo stato dell’arte in Italia».
Ma, in fondo a questo ennesimo pastiche di rimbalzi, di occasioni che sembrano mancate, di comuni e ministeri che paiono non accorgersi del proprio stato deleterio e che si scoprono senza un’agenda programmata intorno alle proprie manifestazioni, Di Pietrantonio lancia un’esortazione quasi utopica, che sembrerebbe reazionaria nell’impantanato universo dei burocrati dell’arte: «Gawronski potrebbe prendere in esame le proposte dei tre curatori e fare una mostra che davvero rispecchi il nostro Paese a livello artistico, senza necessariamente chiamarla “Quadriennale” e senza necessariamente usare Palazzo delle Esposizioni». Un’altra mostra insomma, ma che possa diventare un esempio, stavolta vero, senza sperpero di denaro, senza un periodo di allestimento di mesi e mesi, che evidenzi che l’arte italiana è viva e vegeta, non necessariamente costretta ad emigrare e disposta a mettersi in gioco. E sarebbe auspicabile che arrivasse anche un segnale dall’alto. Per evitare che, di tutto, se ne fottano un po’ meno cittadini, addetti ai lavori e l’Italia intera.
A.P. – M.B.

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