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Quando si parla di pittura…
Politica e opinioni
di marcello carriero
Tre brevi saggi apparsi su riviste specializzate. Tre testi di Luca Beatrice, Andrea Bruciati e Germano Celant danno lo spunto per una lucida riflessione sulla pittura. Un mosaico di citazioni su uno dei temi più in voga in questo momento. Per tornare a parlare del dipingere e non dei dipinti…
Tre brevi saggi apparsi su riviste specializzate. Tre testi di Luca Beatrice, Andrea Bruciati e Germano Celant danno lo spunto per una lucida riflessione sulla pittura. Un mosaico di citazioni su uno dei temi più in voga in questo momento. Per tornare a parlare del dipingere e non dei dipinti…
Risale al 1972 il saggio di Étienne Gilson Peinure et réalité in cui si paventa una “introduzione pittorica alla filosofia” in modo tale da procedere dall’analisi dei dipinti sino ad arrivare a parlare di filosofia. Sicché sembrò possibile impostare una riflessione sull’arte il cui riverbero può giungere sino a rischiarare l’attuale ritorno della pittura, così da stimolarci a parlare finalmente più del dipingere e meno dei dipinti.
Negli anni Settanta la riflessione sul bello ha lasciato il posto alla rivalutazione dell’esperienza in quanto valore fondante, riscattando il quadro o, più in generale, il “pitturato” da un’idea di porta verso la verità. Il dipingere diventa analizzabile a partire dalla sua natura fattuale fino a prendere definitivamente le distanze dalla teoretica; ciò si può considerare come una tendenza a ri-considerare le origini, piuttosto che individuare norme dedotte dalla scansione dei generi. La pittura contemporanea rischia di esser ritrattata nella sua essenza effettuale, nel campo della fruizione, piuttosto che sotto un aspetto “filogenetico”. La storia, rimossa dal suo ruolo di coordinatrice centrale della definizione dell’opera d’arte, è ora un sedimento ingombrante per un’esperienza estetica pronta a muoversi negli ambiti della doxa orientativa, frutto di un pressoché totale adeguamento dell’immaginario all’esistente.
Leggiamo quindi la volontà di annunciare un ritorno alla pittura quasi per accertarsi di essere nel movimento circolare dei ricorsi storici: “Quando negli anni Trenta artisti come Carrà, De Pisis, Rosai, Campigli e Funi riportarono all’attenzione una pittura primitiva e ufficiosa, classicista e magica, furono accolti come «un ritorno all’ordine». La stessa cosa sembra essersi ripetuta negli anni Ottanta con la Transavanguardia, che riproponeva dopo decenni di sperimentazioni concettuali e processuali, il dipingere” . In realtà il problema si nasconde sulla fondamentale funzionalità del ritorno, ovvero quella della ri – immissione del dato oggettivo nel novero delle merci: “Il sistema galleristico al collasso necessitava di una iniezione di buona e sana merce vendibile che decorasse pareti e ambienti da troppo tempo tenuti in apnea da troppo tempo dal bianco – blank – concettuale” .
Nella concezione corrente i maledetti anni di non–pittura sono la conditio sine qua non il successivo riuso dei pennelli non sarebbe più stato una prassi abituale nell’arte, bensì una novità; ma oggi si può avvertire un’agitazione della critica intorno alla recente rivalutazione della pittura allo stesso modo in cui la pittura stessa cerca di auto–rigenerarsi: “sembra infatti godere di maggior fortuna il tratto incerto e lo stile spoglio che non richieda particolari doti di abilità, tutto il contrario di ciò che si pensava negli anni 80” ma nulla ha a che fare con l’astrazione povera di Menna che trionfa alla Biennale di Venezia del 1988 (non esisteva negli anni Settanta), fenomeno che si muove in un contesto autonomo ancor oggi oscuro ai più o volutamente tralasciato. Certo, si tratta di stabilire le emergenze in un panorama in cui si esplicano visioni del mondo più che visioni dell’arte, ma si rischia di ingarbugliarsi in una foresta in cui “Una esternazione estetica strettamente retinica è (sic) forse la risposta immediata ad una riflessione culturale che certo non appare, dopo l’11 settembre, fortemente connotata anche da un punto di vista politico o «impegnato»” e allora che esistano nello stesso tempo un “clima di rinato interesse per il ruolo politico dell’arte” e la presa di coscienza che “i linguaggi contemporanei dell’arte sono sguardi incrociati sul mondo degli eventi” concentrati sulle “manifestazioni complesse dell’animo umano” fanno nascere il sospetto di una maggior attenzione nel confezionare un prodotto “dall’innegabile valore qualitativo” però avulso da una ricerca attenta alla riflessione e alla progettualità.
Una pittura del genere pecca di “improvvisazione e mediocrità, frappone realtà ad un dato stilistico orientato al Kitsch e privo di ogni inibizione formale ma che appare comunque vitale proiettandosi contro la tanto paventata morte dell’arte” . Da questo collage di citazioni, la nuova attenzione per la pittura sembra vivere in uno stato confusionale che invero cerca di assegnare un valore di opera d’arte alla più ovvia comunicazione visiva, un valore che potrebbe trovarsi invece disintossicandosi dai parossismi tecnico – febbrili, dalla mera genericità della figura, cercando nel lato ontologico della pittura.
In poche parole. Il pittore davanti alla tela, o meglio, quell’individuo davanti alla tela bianca è un pittore o è un essere completamente estraneo alla pittura? Insomma, è nel dipingere che vanno cercati gli elementi fondanti del linguaggio della pittura e nella sua originaria, muta attesa di risolvere la contiguità tra due entità. Aspettando dall’uno e all’altra una risposta, sarebbe bene chiedersi cosa possa ancora raccontarci la pratica del dipingere, così come la conosciamo, dalla storia, dai quadri, dall’esperienza. Mai al di fuori di essa, se non per scoprire le radici di un fenomeno, non le conseguenze più plausibili. Senza di ciò tutto cadrebbe nell’indifferenza che aggiunge cose al mondo, non terreni per il pensiero.
marcello carriero
note
G. Celant, Non solo pennelli, in “L’espresso”, n. 5, anno XLIX, febbraio 2003, p. 110.
A. Bruciati, Ritorno alla pittura, 2002 la riscoperta di un genere, in “Perimmagine”, n. 1-2, anno XV, p. 34.
L. Beatrice, Vitamine e Proteine, lo stato della pittura italiana, in “Flash Art”, n. 238, anno XXXVI, febbraio – marzo 2003, p. 128.
A. Bruciati, op. Cit., p. 35.
L. Beatrice, op. Cit., p. 130.
[exibart]
…Per me artista,il dipingere, è uno strumento come un altro, che per una particolare idea o contenuto o progetto (come si usa dire oggi)lo ritengo più idoneo rispetto ad altri., E così è anche per la fotogafia, per la scultura e/o installazioni scultoree. E così è anche per il video…E’ così è anche per il Cinema(d’artista),l’arte di Comportamento,la Danza,il Teatro,la Musica,la Poesia…Tutto,per me,parte da un’idea,da un progetto,dai contenuti,da una molla che ti spinge,a volte,a trasgredire o a provocare…o a fregartene di tutto e di tutti.
Ma quand’è che la smettiamo di morderci la “coda”, come l’uruboro..per servire le committenze del sistema…e creare “nuove vittime” tra i giovani artisti, come fu per la Transavanguardia…per assistere nuovamente ai “mostrismi”di pittura tout court? E chi saranno questa volta i prescelti? E in quanti saranno: tre? sette? dieci? quindici? o sempre cinque più il teorico=sei…e gli altri dietro le quinte? Ma perché non rispettiamo quest’arte e la lasciamo libera di agire, a 360°. Guardiamo alla qualità piuttosto, di una ricerca…di una sperimentazione…di un determinato lavoro. E l’Arte degli artisti che conta…non quella che vuole il mercato,in accordo con le gallerie…e i critici(se lo sono) che vorrebbero sostituirsi agli artisti? E come se ai quattro di Liverpool, in quell’inizio degli anni 60, si volessero sostituire i critici musicali. Che Beatles avremmo avuto? Infatti in Italia non li abbiamo avuti. Solo negli anni 70(10 anni di ritardi), su imput della Beat Generation, e del Living Theatre, e dei Beatles e Rollings Stones, e Bob Dylan, CON L’ARTE CHE SI AFFACCIAVA ALLA VITA,ALLA POLITICA,AL SOCIALE, è uscito fuori qualcosa,in campo musicale,da quell’eterna provincia che è l’Italia!Per fortuna,nel campo artistico c’è stata l’autonomia dell’Arte Povera…altrimenti era un disastro. Con tutto il rispetto e la simpatia che porto nei confronti degli studiosi citati…che senza ombra di dubbio sentono odore di un certo ritorno all’ordine…dopo il caos…io gli dico:PER FAVORE…QUESTO NON E’ ORDINE…QUESTO E’ BUSINESS…OSTEGGIATELO! E DIFENDETE LA LIBERTA’ DI RICERCA,ALL’INSEGNA DELLA QUALITA’ DELL’ARTE COME BENE NON SOLO ESTETICO,MA ANCHE ETICO!. Ma insomma l’11 settembre a New York,non è servito a nulla?
N.B. Per onore di cronaca:una mia recente pesronale(anno 2002),è stata di Pittura..perchè è così che ho deciso,per uno dei miei progetti(work in progress), nel progetto globale del mio fare artistico…Spero che qualcuno voglia consultarmi, per sapere di che si tratta…o bisogna apparire su di un’importante rivista per essere presi in considerazione…e poi essere ascoltati?
Non lo dico solo per me, ma per tanti artisti che vivono “nel Limbo”, di un’Italia che invecchia..e dove gli artisti giovani oramai,fra poco li vanno a scegliere all’Asilo Nido,perché verranno a mancare i ventenni e i trentenni tra non molto. E così se i futuri giovani artisti sono destinati ad essere i cinquantenni,i sessantenni e i settantenni…si preferisce di andare a scoprire l’enfant prodige agli asili nido,alle scuole materne, e forse alla scuola elementare.