Quei pasticciacci inutili dei musei

di - 20 Dicembre 2012
Ma perché i musei italiani devono navigare sempre in acque agitate? A parte i pochi soldi e quindi la conseguente agitazione per trovarli e le mostre che saltano, intorno a loro c’è sempre un clima surriscaldato. Faide interne ed esterne, difficoltà di comunicazione, politici che ci planano sopra con carichi da undici e così via montando rumors e bufale. Costume italiota avvezzo al gossip, in mancanza, o in cecità, di meglio.
Proviamo a mettere due cose in fila rispetto agli ultimi fatti accaduti che vedono in primo piano il MAXXI e il Castello di Rivoli. Sull’altro museo, in questi giorni sotto i riflettori, il Madre, con la nomina di Andrea Viliani a direttore artistico, diamo appuntamento a tra qualche ora, dopo che lo stesso avrà fatto la sua prima conferenza stampa.
Il 18 sera il Castello di Rivoli dirama una secca nota in cui si annuncia che il presidente Giovanni Minoli, il cui mandato scade il 31 dicembre, è stato nominato amministratore unico. Questa specie di velina è stata interpretata come se Minoli fosse a un passo dall’assumere la prestigiosa carica di presidente della futura Superfondazione Torino Musei, evoluzione di quella attualmente presieduta dall’assessore comunale alla cultura di Torino, Maurizio Braccialarghe.
I sospetti di un altro pasticciaccio sono legittimi, visto quello che successe al museo fuori Torino quattro anni fa con la rinuncia alla direzione di Jens Hoffmann a poche ore dalla nomina, il doppio incarico dato ad Andrea Bellini, emigrato pochi mesi fa nel più sicuro CAC di Ginevra, e a Beatrice Merz, che era nella commissione che doveva eleggere il nuovo direttore. Il tutto sotto la benedizione di Minoli. Il quale, secondo una pratica, questa sì molto italiota, dal Castello di Rivoli, dove non ha fatto particolarmente bene, invece di andare a casa, sarebbe promosso a un vertice (ma è pur sempre il suocero di Salvatore Nastasi, molto più che direttore generale del settore “spettacolo dal vivo” del Mibac) di cui si parla da tempo e sotto il quale dovrebbero stare, oltre la GAM, Palazzo Madama, il MAO, la Rocca e il Borgo Medievale che già ci stanno, lo stesso Castello di Rivoli (new entry, perché si tratta di un museo regionale) e Artissima, entrambe queste istituzioni sono partecipate dalla attuale Fondazione CRT, che è a sua volta rappresentata nella Fondazione Torino Musei.
Non è detto che i giochi siano fatti sul serio. La nomina ad amministratore unico, decretata dall’Assemblea dei soci del Castello di Rivoli, che azzera di fatto il CdA del museo, è funzionale a semplificare la procedura d’ingresso dello stesso nella Superfondazione, quando e semmai sarà costituita. A Rivoli le bocche sono cucite ma qualche gola, neanche troppo profonda, per fortuna parla. Si tratterebbe, quindi, di un passaggio di comodo che sicuramente allunga e rafforza il mandato di Minoli, e questo senza dubbio preoccupa, ma non gli spalanca automaticamente le porte di Torino Musei. Cosa che non ci auguriamo in nome di quella competenza che dovrebbe ispirare scelte del genere.
La domanda allora torna, non solo sulla Superfondazione e la sua opportunità, ma anche su chi sarà chiamato realmente a gestirla. Un politico? È un’ipotesi forte, nonché costume diffuso nel Belpaese che sembra impossibile cambiare. Ma chi, lo stesso Braccialarghe? Dubbi e malcontento a parte, perché allora non procedere senza inventarsi complicazioni inutili? Anche qui non arrivano né conferme né smentite. Poi ci sono i “tecnici”, i rumors danno Danilo Eccher in buon piazzamento, ma tra l’attuale direttore della GAM e lo stesso Braccialarghe non corre buon sangue. Anzi, ultimamente i rapporti si sono fatti parecchio tesi. Luca Beatrice, che in parecchi danno anche in arrivo a Rivoli? Bufala molto probabile. Intanto un museo del genere non è nel suo mood, a meno di non volerlo trasformare in qualcos’altro. E poi Beatrice già ricopre un’importante carica istituzionale torinese: è presidente del Circolo dei Lettori, per la quale non prende una lira e continuerebbe a non prenderne nemmeno con la presidenza del Castello di Rivoli. Altro giro: Patrizia Sandretto, visto l’interesse dimostrato della presidente dell’omonima fondazione per l’ingresso nel Consiglio di Indirizzo della Fondazione salone del Libro? Ma, appunto, di mezzo c’è la Fondazione di via Modane. E, detto per inciso, non sarà che a Torino e dintorni ci sono troppe fondazioni e alla fine, gira e gira, le persone sono quelle e le cariche rischiano di sovrapporsi insieme ai conflitti di interessi?
Meglio, allora, guardare fuori. Ma quanto fuori? Torino non è New York. E poi che dovrebbe fare il presidente della Supefondazione? Trovare soldi, prima di tutto. Avere buoni rapporti con l’estero, dai musei in su e in giù. Dunque, essere autorevole e fattivo. Perché no, allora, un collezionista? A Torino non mancano e due stanno già dentro la Fondazione CRT: Matteo Viglietta, che ne è vicepresidente e che insieme alla moglie Bruna Girondengo ha dato vita alla collezione La Gaia, una delle più ricche che abbiamo in Italia, entrambi sono anche Amici Sostenitori del Castello di Rivoli, ma Viglietta è uno che non ama esporsi più di tanto. Oppure Fulvio Gianaria, attuale presidente della Fondazione CRT, con il Pd alle spalle e di cui in città si parla benino.
Meglio ancora, però, Ginevra Elkann, attuale presidente della Pinacoteca Agnelli, e qui il conflitto d’interessi, in mezzo a tanta confusione sarebbe il male minore. La giovane nipote dell’Avvocato è intelligente, brillante, sinceramente appassionata all’arte e, da quanto dicono i suoi collaboratori, gran lavoratrice. Che sia autorevole e ben introdotta, basta vedere la mostra della collezione di Damien Hirst che ha portato a Torino, ça va sans dire.
Tirando le fila non ne viene fuori più di tanto al momento: per la Superfondazione i giochi sono ancora aperti

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e, al di là ditutto, Minoli sarebbe il primo non politico a presiederla. Possibile? Ma se cade il tabù della spartizione partitica, varrebbe veramente la pena puntare su una figura nuova, uscendo dalle pastoie politiche, burocratiche e televisive.

A Roma una donna, anzi ormai tre, già stanno al vertice del MAXXI: la presidente Giovanna Melandri, Beatrice Trussardi e Monique Veaute, membri del nuovo Consiglio di Amministrazione. E, giorni fa, sono filtrate le prime notizie. Ma anche qui è opportuno fare qualche considerazione, oltre i rumors.
Fin dal suo insediamento Giovanna Melandri si è messa a lavorare allo Statuto, vero punto delicato dell’affair MAXXI, e l’annuncio dato alla prima riunione del triunvirato rosa ne è la prova. Al MAXXI cambiano parecchie cose. Sarà un unico museo, non più due come è oggi, suddiviso in diversi dipartimenti: oltre ad arte e architettura, ci saranno sicuramente la fotografia e il design, e ognuno di questi avrà il suo direttore. Quindi Anna Mattirolo, attuale direttore del MAXXI Arte, e Margherita Guccione, direttore del MAXXI Architettura, salvo ribaltoni dell’ultima ora, resteranno. Ma loro, come i nuovi direttori in arrivo, faranno capo a un super direttore. Non il “direttore/curatore” che Melandri annunciò con un po’ di confusione durante la prima conferenza stampa al Mibac, ma un direttore vero e proprio, e il punto è quanta autonomia avranno Mattirolo, Guccione e gli altri.
Il nome più accreditato, tra collezionisti, galleristi e operatori del settore è quello di Carolyn Christov Bakargiev, reduce dai successi di (d)OCUMENTA 13 e prima ancora dalla Biennale di Sidney, ma al momento senza un incarico all’altezza del ruolo che si è conquistata nel mondo internazionale dell’arte. In molti la danno sinceramente interessata a “tornare a casa”, cioè a Roma, dove risiede parte della sua famiglia. E quindi – perché no? – anche al vertice del museo romano. Ma che garanzie può dare il MAXXI a una persona esigente, che non si mette sull’attenti davanti ai politici, abituata a lavorare con budget seri e con programmazioni non ballerine, come Christov Bakargiev?
Stesso discorso vale per qualunque direttore internazionale che possa essere interessato al MAXXI e che la presidente Melandri avesse voglia di coinvolgere nel suo re-shaping del museo. La parola, quindi, da un lato torna al Ministero dei Beni Culturali e quindi al nuovo ministro, al quale intanto sarà bene spiegare le potenzialità del contemporaneo anche in una città girata all’indietro come Roma. Ma anche alla stessa Melandri e alle sue capacità di fund raising.
Il 2013 si annuncia, insomma, ricco di fatti – tanto le nomine nella cultura costano poco, per le mostre è un altro discorso –  ma anche con molto lavoro da fare. Per tutti.

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