Residenze? The artist is present

di - 11 Novembre 2012

Parafrasando il celebre motivetto di Polvere di Stelle (1973) cantato dagli scalcinati attori da rivista interpretati da Alberto Sordi e Monica Vitti, viene da chiedersi “ma dove vai se la residenza non ce l’hai”? Se le similitudini si limitassero a un giro di parole, si tratterebbe di uno stantio calembour. Purtroppo però la sensazione di prossimità tra il film grottesco diretto da Sordi e la vicenda delle residenze d’artista si fa più forte via via che si scorrono le decine di bandi che popolano il web, inneggianti a imperdibili incontri con professionisti del settore, piattaforme culturali che spuntano come funghi dopo la pioggia, fondazioni ed enti di svariata natura lieti di offrire ospitalità e formazione a tutti i sedicenti artisti e curatori del panorama italico.

Sembra che non basti più il lavoro in studio, il seminario, la tavola rotonda, lo stage e la lezione in accademia: senza l’esperienza della residence, magari all’estero, un artista non è degno di essere chiamato tale, o quanto meno non è à la page. Fino a poco meno di un decennio fa, le pratiche residenziali potevano essere considerate come delle interessanti eccezioni nel panorama dell’arte, specie a fronte di una formazione offerta da accademie, università e istituti d’arte ristretta al nostro territorio e che poco curava scambi e conoscenza delle lingue straniere. Poi, sotto la spinta centrifuga della globalizzazione, lo scenario si è rapidamente ribaltato, tanto da generare il sospetto che un’offerta così massiccia come l’attuale possa essere priva di fondamenta. Una trentina solo le proposte più accreditate in Italia, senza contare le realtà minori.

Intendiamoci: lo scenario è eterogeneo, ed esistono realtà consolidate e di eccellenza. È il caso della Fondazione Bevilacqua La Masa di Venezia, che spicca per essere nata addirittura nel 1908 con l’intento di promuovere la giovane arte: attualmente la Fondazione assegna ogni anno degli studi situati a Venezia a 12 artisti entro i 35 anni, per la durata complessiva di 12 mesi. Realtà come Bevilacqua La Masa hanno il merito di essere state apripista, anche per un respiro internazionale, in grado di recepire in anticipo le tendenze già in atto all’estero, dove la formazione artistica da tempo passa necessariamente attraverso la residenza.

Tra le realtà di lungo corso si colloca anche il Museo Carlo Zauli di Faenza, che si pone sin dal 2003 l’obiettivo di trasmettere il sapere legato al mestiere della ceramica d’arte che caratterizza il territorio faentino. Ogni artista, scelto su invito del curatore, lavora con un maestro ceramista per realizzare una o più opere che vengono poi acquisite dal museo. A latere di un caso come questo, nel quale la vocazione è dichiarata e l’obiettivo forse più limpidamente perseguibile, oggi quasi nessuna delle “grandi” si fa mancare il programma di residenza: Spinola Banna a Torino e Sandretto Re Rebaudengo, major dell’arte, che propone una residenza per giovani curatori stranieri e poi Pastificio Cerere a Roma, Fondazione Antonio Ratti di Como, VIR – Via Farini in Residence a Milano, Nomas Foundation ancora a Roma, Nosadelladue a Bologna. Fin qui nomi noti, cui però si aggiungono diverse “new entry” meno rassicuranti, fatto che induce a chiedersi se le residenze rispondano al bisogno reale di formazione costante da parte degli artisti/curatori o se non si tratti di specchietti per le allodole.

Il tema della residenza è al centro anche della piattaforma on line Artinresidence.it, che non si propone solo di monitorare le varie opportunità presenti in Italia e all’estero e creare un network di soggetti, ma propone l’AIR International Research Program, dedicato all’assegnazione di due posti (curatore e artista) per il progetto # 1 / Under Construction a Milano e Beirut, in Libano. L’intento è aprire all’estero il progetto di Artinresidence.it, grazie alla collaborazione di partner come Open Care e Fondazione Cariplo, NABA – Nuova Accademia di Belle Arti Milano (Dipartimento di Arti Visive) e GAI – Associazione Circuito Giovani Artisti Italiani. Una delle ragioni chiave dei progetti residenziali da parte degli enti sembra essere la costruzione di canali privilegiati con l’esterno, la costituzione di una rete che faccia emergere dall’anonimato della scena nazionale o che aumenti il prestigio già consolidato del soggetto,  permettendogli di aprirsi a un network globale più dinamico.

La residenza è ormai così appetibile da essere divenuta anche premio da concorso. Si appropria di quest’idea anche il Max Mara Women’s Prize, per trasformarlo in una valida proposta, confermata dalla rigorosità del progetto e dalle esposizioni realizzate. In collaborazione con la White Chapel Gallery di Londra, ogni anno il premio seleziona una artista donna, invitandola a trascorrere sei mesi in Italia, durante i quali produrre il lavoro che verrà infine esposto e acquisito dalla Collezione Maramotti di Reggio Emilia.

Ci sono poi progetti che fanno della marginalità, nell’accezione più virtuosa del termine, il proprio tratto connotante. Un caso tra questi è The RAVE – East Village Artist Residency program, progetto nato dalla volontà delle sorelle e artiste Isabella e Tiziana Pers e sviluppatosi nei territori di confine del Friuli, che si affaccia sull’Europa dell’area germanica, a nord, e sul laboratorio dell’Est, terreno tra i più fervidi del contemporaneo. Proposta singolare, fuori dai centri mainstream ma più vicina alle tensioni mitteleuropee e delle zone balcaniche, RAVE unisce una vocazione animalista dichiarata (nel centro sono ospitati numerosi animali che le artiste hanno salvato dal macello) al desiderio di riportare l’elaborazione artistica a una dimensione da simposio, svincolata da logiche strettamente economiche. Il programma accoglie un artista in residenza alla volta, e dopo l’interessante progetto Inside the Circle elaborato da Adrian Paci, è ora la volta del bulgaro Ivan Moudov.

Altra realtà singolare è Kaninchenhaus, la Casa dei Conigli. Trattasi in questo caso di una “artist run organization” – così si autodefinisce il collettivo – che si occupa in prima persona di “strategie e progetti non convenzionali”, tra le quali anche residenze per artisti e curatori.  Tra i progetti del gruppo il Pirate Camp, ovvero una residenza per artisti itinerante allestita in un campeggio, presso lo Stateless Pavillion della 54a Biennale di Venezia, anarchica e incentrato sul concetto di impermanenza. Realizzato in collaborazione con Brice Coniglio di Coniglioviola, e con il sostegno di main partner del calibro di Fondazione Cariplo, Fondazione Venezia, GAI, il progetto si pone come modello antagonista rispetto a forme più convenzionali di residenza e rimanda a certe esperienze di arte politica dell’area germanica e nord-europea.

E all’estero la situazione qual è? Anche fuori dai nostri confini la residence-mania sembra dilagare. Basta iscriversi ad una newsletter aggiornata per ricevere centinaia di proposte sparse su tutto il pianeta, da stage per artisti in cerca di silenzio sperduti nelle montagne del Canada o nella giungla indonesiana. L’offerta è veramente impressionante, anche scremando le residenze a pagamento. In molti casi si nota come il motore del progetto sia il tentativo di emancipare Paesi in via di sviluppo o territori che vivono situazioni di degrado: è il caso dell’Africa Centre di Cape Town, che attraverso il progetto AIR si propone di connettere artisti africani emergenti con le realtà dell’arte contemporanea mondiale, selezionandoli per programmi di residenza in tutto il mondo. Sull’onda dell’energia dei nuovi mercati dell’Est si colloca invece l’International Curators Course della Biennale di Gwangju, curata nel 2010 da Massimiliano Gioni. La Biennale propone un corso per curatori under 35 selezionatissimo e molto ambito, durante il quale i professionisti hanno la possibilità di confrontarsi attraverso letture, didattica, seminari con professori e artisti internazionale di primo piano, tra cui Ai Weiwei, lo stesso Gioni, Marina Pugliese, Ute Meta Bauer.

Osservando il fenomeno globale, sembra che l’Italia si sia accodata a un trend generale che fa della residenza un momento formativo imprescindibile, nell’ottica in cui le peculiarità culturali e le appartenenze geografiche permangano solo come valore aggiunto per ogni artista, inscrivendosi in una dinamica di scambio estremamente fluida. Non più quindi uno studio dove rifugiarsi, ma piuttosto una condizione di nomadismo che permetta di confrontarsi con l’alterità o che potenzialmente consenta di cogliere opportunità spesso assenti nei Paesi di provenienza. Nomadismo che, in qualche misura, si è già espresso attraverso il web e le strutture dei social network, responsabili anche di un profondo mutamento nella percezione che l’artista e il curatore hanno della propria ricerca e del proprio ruolo.

*articolo pubblicato su Exibart.onpaper n. 80. Te lo sei perso? Abbonati!

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