Trovo quantomeno curioso che la critica ufficiale debba far scontare all’arte, che la storia della creatività ha fatto dalle grotte di Lescaux in poi, supposti debiti contratti nei confronti di questa o quella forma di espressione contemporanea, senza esser sfiorata dal dubbio che quei debiti possano essere, al contrario, crediti nel più ampio contesto della formulazione dei linguaggi e della comunicazione odierni.
Non è questo il tempo di tracciare dei confini tra i numerosi ambiti nei quali si applica la creatività né di stabilire paternità, certo è che l’immagine di un’arte parassita è forse assai comoda nell’epoca segnata dal fallimento dei valori e dell’idea progressista della storia ma, a conti fatti, non affatto ragionevole e frutto difettoso di una cattiva interpretazione del pensiero
Lo strano processo di deresponsabilizzazione innescato da un revisionismo storico incalzante ha determinato l’impossibilità di stabilire punti di riferimento, finendo spesso per legittimare indirizzi di pensiero qualunquisti a discapito di analisi che si fondano sui principi propositivi e concettualmente impegnativi promossi dal nichilismo, dal postmodernismo e dall’individualismo odierni, quali la metamorale, la microstoria, l’immanentismo, la bioetica e via dicendo. Sia chiaro dunque che decostruzione non è mai sinonimo di demolizione.
Franco Vaccari ebbe, neppure tanto tempo fa, un moto di ribellione su questo tema, rivendicando con forza il ruolo dell’arte del ‘900 nella definizione e costruzione delle moderne forme di comunicazione di massa, nella cultura dell’immagine e del design.
Basterebbe solo pensare alle meditazioni di Duchamp per aver chiara l’origine intellettuale di alcuni processi comunicativi che sono oggi impiegati ampiamente dai media, rielaborati e riveduti. E che dire di Beuys , re Mida capace di rendere arte qualsiasi cosa al semplice tocco?
Il ruolo di rilievo dell’Italia, in questo contesto, è testimoniato dai riconoscimenti tributati a figure come Manzoni, Schifano, De Dominicis , ecc.
La ragione profonda della presa di posizione di Vaccari trova senza dubbio ragione d’essere nell’ambiguo rapporto che si è creato tra l’arte e altri ambiti in cui si applica la creatività e che ha determinato l’urgenza di definire cosa sia arte e quale sia il suo ruolo nella modernità, proprio nel momento in cui tali domande sono meno opportune. In particolare il nodo di Gordio si è stretto in causa delle strategie di comunicazione nel nuovo mercato globale. Saturati i mercati e raggiunta la congestione tra domanda e offerta, nell’impossibilità di perseguire l’utopia del continuo aumento della ricchezza pro capite e perciò della domanda, la partita per l’acquisizione di fette del mercato si gioca prevalentemente sulla promozione dei marchi, ai quali vengono associati valori (culturali, sociali, ecc.) e modelli di vita che poco o nulla hanno a che fare con il prodotto. I binomi arte-moda e arte-pubblicità offrono, in questo senso, esempi illuminanti. La Diesel s.p.a., notissima multinazionale dell’abbigliamento che da sempre si è assunta il ruolo di diffondere un preciso stile di vita, nel 2002 ha lanciato splendide campagne promozionali che appaiono perfettamente in linea con alcune delle scelte estetiche e concettuali più all’avanguardia dell’arte contemporanea. La Happy Valley creata per promuovere la collezione primavera/estate è una sorta di paradiso terrestre
Un contesto di grande fascino estetico sintetizza le qualità narcisistiche ed edonistiche di un individualismo che punta a colmare il vuoto etico lasciato dal nichilismo contemporaneo; ma tale messaggio è stato veicolato con un progetto che nega il neo-concettualismo iconoclasta imperante da decenni in Europa e in Italia (Documenta e Manifesta hanno fornito esempi significativi, in questo senso), e invece esalta l’idea che la forma non esclude il concetto che, anzi, proprio dalla forma esce amplificato, rafforzato, perfino determinato.
Ma se il neo-concettuale è un’invenzione della critica dell’arte, che ha ingabbiato perfino il povero Cattelan in un ruolo impopolare e snob che gli appare assai scomodo ed estraneo, l’arte contemporanea non cessa di confrontarsi con la forma e la materia, anche con le armi del paradosso.
L’immaginario del fotografo Charlie White , artista ossessionato dalla presenza degli extraterrestri sulla terra, è costituito da contesti della quotidianità della media borghesia americana, episodi da fotoricordo della happy family (al posto della happy valley) a stelle e strisce, in cui è costante la presenza di un repellente alieno, nudo (?) e spelacchiato, che si muove a suo agio tra cocktail ed elettrodomestici, in perfetta sintonia con gli umani, vittime di una sorta di ipnosi che li fa vivere con estrema naturalezza situazioni surreali.
Il comune denominatore tra Diesel e White è l’elemento alieno e destabilizzante, motore che genera una realtà contraddittoria che mette in scacco la quotidianità svelandone contenuti artefatti , mette a nudo precarie condizioni psicologiche, fa corrispondere alla calma apparente il caos determinato dall’ingresso di elementi esterni, infine sostituisce l’anarchia alla gerarchia, l’ironia alla metafisica.
La campagna pubblicitaria autunno/inverno della Diesel, lanciata da un paio di mesi con la collaborazione dell’agenzia olandese KesselsKramer, è addirittura più sfacciata della precedente Happy Valley. Di questo, e di altro, parleremo la prossima volta.
link correlati
Il sito di Fairey Shepard
Il sito della Diesel
Il magazine on-line di 55dsl
alfredo sigolo
[exibart]
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gran bel pezzo.
bravo alf.
m.
alf, un mito