Federico Luger
Antonio De Pascale – Microclima
Forse oggi la riflessione sulle logiche del consumismo e
gli stereotipi della comunicazione è da considerarsi superata, ma la mostra è
lucida e ben allestita. L’artista rivisita in chiave moderna il genere classico
della natura morta, “inquinandolo” con immagini catastrofiche e figure
lillipuziane inerti, tratte da telegiornali e notiziari. Un overload cognitivo
che descrive una surrealtà che, però, appare a tratti macchinosa, ridondante. E
che pittoricamente non risolve la scelta di campo tra figurazione pop e
realismo fotografico.
Voto: 5,5
Francesca Minini
Kutlug Ataman – Dictionary
Artista turco che ha vissuto un momento d’oro almeno fino
al 2006, incarna un perfetto cliché del mercato, ovvero quello degli artisti
impegnati socialmente e politicamente, provenienti da Paesi non occidentali.
Nell’Est Europa, in Medio Oriente, in Africa o nei Paesi sudamericani: gallerie
e collezionisti vi ha fatto incetta negli anni (qualche nome? Bartana, Sierra, Castro, Jacir, Bruguera, Galindo, Bajevic, Moral, Margolles…). Qui non è in discussione la
qualità degli artisti, ma il loro costituire una sorta di genere o maniera.
Documentarismo, scandalo e alta percentuale femminile sono caratteristiche
tipiche di un settore che, paradossalmente, critica le logiche del mercato
accettando però di sottomettersi alle sue regole, finendo per costituire
nient’altro che un lavacro per le coscienze del capitalismo occidentale. Detto
ciò, la mostra che mette al centro l’incomunicabilità nell’epoca della
globalizzazione è alquanto noiosa e petulante.
Voto: 5,5
Francesca Kaufmann
Latifa Echakhch
L’idea dell’artista marocchina è di decontestualizzare,
sovvertire o cancellare, in tutto o in parte, simboli culturali, riassegnandoli
a un’estetica minimalista. Concettualmente l’operazione non è nuova ma attuale,
legittima, a patto che non prenda derive pseudo-decorative. Così, a differenza
di alcune sue opere (come i contorni di tappeti vuoti o i pennoni privi di
bandiera) decisamente equilibrate e ispirate, questi dipinti neri realizzati
shakerando motivi geometrici islamici appaiono un po’ supponenti e banalotti.
Deludente, sufficienza stiracchiata di stima.
Voto: 6-
Giò Marconi
Rosa Barba – Stating the Real Sublime
La miglior cosa vista a Milano. Bravissima l’artista a
giocare e creare effetti ottici e luminosi con i proiettori per pellicole nelle
sue “sculture filmiche”. Ma non mancano i suoi lavori più noti, come la trilogia
sul deserto del Mojave in California. Rosa Barba lavora con il video a tutto
tondo, alterna narrazione e sperimentazione stretta; oggetto d’indagine è ora
l’immagine in movimento, ora la macchina stessa che la genera. Parole dette e
parole scritte si susseguono in giochi di luce e ombre, di positivo e negativo.
Rosa Barba è alla prima personale in Italia, nonostante il cv prestigioso.
Tipico esempio di come, il successo, un artista se lo deve costruire
all’estero, causa la debolezza del nostro sistema. E con Rosa Barba abbiamo
trovato finalmente un connazionale di respiro internazionale.
A margine si segnala anche il nuovo ciclo di mostre Abitanti
del museo
inaugurato dalla Fondazione Marconi. Valerio Adami è il primo protagonista di un
progetto retrospettivo sull’attività storica dello Studio Marconi. Anche qui il
livello qualitativo è decisamente alto.
Voto: 8
Massimo De Carlo
George Condo – Everything you
always wanted to know about art (but were afraid to ask)
In tempo di crisi, chi può punta sul classico. La mostra è
monumentale (un’intera sala di sculture e due serie di dipinti). Bella
soprattutto l’idea del ciclo delle variazioni sul tema erotico cubista delle Demoiselles
d’Avignon, un po’
meno la serie dei Looney Tunes. Interessante proposta di mercato le sculture in
bronzo. Lucida la mente, la mano del maestro invece non sembra essere
ispiratissima. E alla fine resta un leggero retrogusto amaro. La piena
sufficienza va però all’unica galleria italiana che possa permettersi mostre di
tale rilievo.
Voto: 7
Raffaella Cortese
It rests by changing
Purtroppo, un sempre più raro esempio di mostra con
un’idea vera sotto, un progetto ispirato di Simone Menegoi con alcuni grandi
protagonisti della scena europea del secondo dopoguerra. L’obiettivo non è tanto
indagare la scultura, quanto metterla in discussione. Ben prima di molti loro
celebrati epigoni, questi artisti – quasi tutti settantenni – si sono
interrogati con lucidità sulle possibilità d’interazione fra la scultura e
concetti quali tempo, movimento e azione. Di fronte a questi esiti, l’abusato “unmonumental” sembra davvero poca cosa. Mezzo
voto in meno solo per non aver documentato con un degno catalogo una collettiva
che, con qualche nome e opera in più, poteva stare tranquillamente in un museo.
Voto: 7,5
Suzy Shammah
Florian Schmidt – Voice
Non si può dire che sia una brutta mostra; certamente
l’estetica di questo giovane austriaco può esser definita aesthetically
correct. Lui
sceglie d’indagare il medium pittorico e lo fa in modo trasversale, lavorando
sull’alternanza fra positivo e negativo, sul pieno e sul vuoto, utilizzando
materiali disparati e non propri della pittura.
gusto un po’ démodé e nostalgico per un’astrazione geometrica che lo accomuna a molti
colleghi di area germanica (Wolff, Scheibitz, Nitsche, G&U Tobias…). La giovane età potrebbe permettergli di fare passi
avanti. Per ora le sue opere hanno un nonsoché di “rassicurante”. Da rivedere.
Voto: 6
Klerkx
Pieterjan Ginckels – Sonic You
La personale del giovane belga in sintesi punta a mettere
in scena una sorta di social network da lui creato per dar voce a una traccia
sonora del dj Christian Vogel. Ogni oggetto – stereo, amplificatori, dischi e
copertine – è frutto di prestiti o contributi offerti al progetto. Che
l’artista sia un fan sfegatato dei Sonic Youth lo si capisce dal titolo e da
alcune sue opere, ma tutto sommato il suo lavoro appare ancora piuttosto
immaturo e sterile. Da lodare comunque l’indole della galleria, che non si
sottrae all’impegno d’indagare ricerche trasversali all’arte visiva, dal design
alla musica e non solo.
Voto: 5,5
Studio Cannaviello
Umberto Chiodi – Superfetazione
L’artista non manca di personalità e anche di accenti di
originalità. Noto per il disegno, qui si presenta con assemblaggi di materiali
e oggetti trovati in soffitte e cantine. Accrochage talora macabri, di sapore
popolare. Passamaneria, animali impagliati e un clima generale da horror
trash che poi non
si accorda con le mappe cancellate, le quali rivelano solo fiumi e strade, come
un sistema arterioso. L’impressione generale è di un artista confuso e
confusionario, con una pericolosa tendenza a svaccare fuori registro. Meglio
nel disegno.
Voto: 5
Studio Guenzani
Stefano Arienti
A qualcuno potrà apparire una mostra facile: un bosco di
teli da imbianchino dipinti con alberi dorati, e poi lavori su carta
millimetrata che imitano i pennarelli in punta di pennello. Però eleganza,
essenzialità e pulizia sono qualità che spesso fanno la differenza fra un
artista vero e un mestierante.
Voto: 7
Alessandro De March
Maia Sambonet – Dismantled Geography
La giovane milanese arriva forse un po’ prematuramente
alla sua prima personale nella sede temporanea di De March. La sensazione
generale è quella di un’artista che ancora non è riuscita a sintetizzare un
linguaggio proprio. Qualche spunto c’è; soprattutto sembra d’intravedere una
certa ricerca di rigore formale nel concatenare gli elementi di un immaginario
tendenzialmente prezioso e alchemico. Il rischio, in questi casi, è quello di
bruciarsi. Meglio sarebbe stato concederle il tempo per maturare ancora, magari
mettendola alla prova in qualche collettiva. Certo non l’aiuterà a schiarirsi
le idee il contributo di Paola Nicolin, che le attribuisce, in ordine, “una
matrice nucleare”,
riferimenti alla
“tradizione
dell’avanguardia milanese, atmosfere dell’illustrazione nordeuropea, un gotico
caldo, la precisione dei mondi disegnati di Paul Klee, il doppio senso
munariano, il non senso dadaista” e, infine, “la struttura di una sequenza teatrale”.
Voto: 5,5
Lambretto Art Project
Spacioux
Si sono messe in tre per analizzare – udite, udite – il
rapporto dell’uomo con lo spazio. Diciotto artisti di diversa estrazione,
soprattutto un insieme di opere spesso poco ispirate. L’impressione netta è di
una mostra improvvisata, gestita con pochi mezzi e poco tempo. La chicca sono
però i miniprofili degli artisti sulla guida alla mostra, scritti nel più
cristallino esempio di non-sense critichese. Ecco una frase estratta per
descrivere Luca Trevisani: “Nella sua ricerca l’aspetto formale trova
progressiva definizione all’interno di un processo aperto di riconfigurazione
continua del soggetto teso verso modifiche che ne esplorano al contempo la
porosità dei materiali e le logiche di relazione innescate con l’ambiente”. Amen!
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[exibart]
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Sigolo è uno serio, indipendente e informato e come tutti, opinabile! Ce ne fossero ...
Sigolo è un grande
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Rosa Barba è effettivamente nata in Italia, ma credo che da qui sia andata via molto molto presto, tant'è vero che non parla italiano (all'inaugurazione l'ho sentita parlare in inglese con italiani, con lo stesso personale della galleria).
Dare mezzo voto in meno a Raffaella Cortese perché non ha fatto il catalogo della bellissimi mostra curata da Menegoi.. ma ne sa qualcosa il signor Sigolo della situazione attuale, di perdurante grave crisi? e sa quanto costerebbe fare un buon catalogo, all'altezza della qualità della mostra? semmai, per quanto possano valere i voti (è un po' un gioco..) mezzo voto in più per il coraggio, per avere, proprio in un momento come questo, scelto la strada più difficile, fuori dagli schemi commerciali più triti e scontati.
Umberto Chiodi merita 1 ,
Chiodi non è un artista ma un confusionario..voto3
bisognerebbe aspettare di conoscere gli incassi prima di dare voti
Studio Guenzani
voto 9 bella mostra, bravo
Colombo voto 6-
Cannaviello mostra mostruosamente inutile voto1-
mostre Vergognose tante ,la peggio CANNAVIELLO :voto1 la motivazione è la mostra mediocre stile decupage, triste, vecchia, noiosa, niente di nuovo pollice giù.meglio il disegno.
Interessante la mostra da Federico Luger
pessima la personale di Umberto Chiodi