SULLA NOSTALGIA DELLA BELLEZZA |

di - 30 Aprile 2009
La bellezza è riconoscere la vastità del mondo nell’opera di un singolo. Eppure non è un archetipo, né un valore assoluto: la sua percezione muta con il mutare delle situazioni, dei contesti culturali, dei momenti storici. La bellezza implica un ventaglio di sensazioni che includono anche il disgusto o il fastidio. Chi si scandalizza dinanzi a certe opere di oggi provi a immaginare cosa devono aver provato i contemporanei di Bosch guardando per la prima volta le sue vedute apocalittiche. Personalmente non ho nessuna nostalgia della maestria dei grandi artisti e poeti di ieri, anzi, devo dire che, pur essendo un appassionato frequentatore di musei, mi capita spesso di avvertirli come dei cimiteri.
Visitando gli studi degli artisti e discutendo con autori che amo – ho avuto questa fortuna, decisamente un grande privilegio – ho affrontato più volte la questione. Parlare con un bravo artista di oggi è come comunicare per interposta persona con i grandi artisti di ieri. Una volta Eugène Delacroix mi ha detto (per interposta persona, ovviamente): “Come potrebbero i nostri pensieri attuali essere gli stessi di un tempo? Il mio corpo non si rinnova continuamente? Non mi è rimasta una sola ciocca dei capelli che avevo in testa vent’anni fa; come potrebbero rimanere identici i pensieri che nascono nel cervello?”. Certamente Delacroix, di cui molto apprezzo il lavoro, inutile dirlo, ha ragione: il mio pensiero di oggi è già diverso da quello di dieci anni fa, figurarsi quale abisso separa noi tutti dal modo di percepire la bellezza di un Delacroix o di quei tanti geni che sono riusciti a far vibrare in noi le corde dell’emozione.

Gli artisti, i poeti, i pensatori che si fanno carico di inventare e definire la bellezza si assumono una responsabilità nei confronti degli altri, agiscono nella sfera dell’etica. Questo implica il riconoscimento di un valore morale agli effetti delle proprie scelte. Porsi fuori da tale responsabilità è immorale.
Agire in nome e per conto della bellezza per ottenere un vantaggio personale equivale ad essere immorali. L’azione di quegli artisti che vanno incontro al gusto dominante è immorale, come lo è chi svende il rigore richiesto dal proprio lavoro per trasformarsi in un tuttologo buono per tutte le stagioni, per tutti i talk show televisivi, per tutte le politiche dei partiti, sovente saltando da una barca all’altra.
In Occidente il Novecento ci ha regalato valori importanti che hanno aperto nuove prospettive. Ci ha dato la possibilità di scoprire il bello dove prima non sapevamo che fosse. Le grandi rivoluzioni che hanno mutato la percezione del bello sono state la Rivoluzione industriale e la scoperta dell’inconscio, tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento, e la Rivoluzione telematica che prende forza a partire dagli anni Novanta. L’arte e il pensiero contemporaneo non possono oggi prescindere dagli effetti della Rivoluzione telematica. Questo non significa, come qualche ingenuo pensa, che l’artista debba usare strumenti tecnologici per esprimersi: pennello, colori e tele rimangono strumenti del presente, come rimane un linguaggio del presente la figurazione. Un nome per tutti: il pittore John Currin. Questo non esclude che si possa fare grande arte anche con strumenti tecnologici. Un nome per tutti: Matthew Barney. E non esclude che si possa fare grande arte fuori dalla figurazione: un nome per tutti Sean Scully.
Accade oggi quel che è sempre accaduto: da una parte sono considerati importanti migliaia di artisti da poco affacciatisi sulla scena, dall’altra si fa una radicale scrematura dei troppi artisti che imperversavano nei decenni precedenti. Questa scrematura tocca tutte le arti e tutte le discipline. La logica di un’economia basata su meccanismi immorali, perché indifferente agli effetti deleteri che avrebbe provocato, è oggi sotto gli occhi di tutti. Questa logica è la stessa di quegli intellettuali che hanno accettato, e implicitamente favorito, la volgarità dei talk show televisivi e dei loro tanti protagonisti, il degrado della politica e dei tanti cattivi maestri che addomesticano le coscienze. Eppure la bellezza gode oggi buona salute, non occorrono eserciti per difenderla, si difende da sola anche lontana dai riflettori.
La bellezza nasce, invecchia e muore, si consuma biologicamente come si consuma biologicamente il colore delle grandi opere del passato, oppure come si consumano le grandi opere di Land Art erose dagli agenti atmosferici. Davanti a un quadro del passato vediamo oggi qualcosa di diverso da ciò che hanno visto i contemporanei dell’artista. Non solo la pittura si è trasformata biologicamente con il passare dei decenni, ma sono cambiati anche i nostri occhi. La percezione della bellezza muta dunque con il passare del tempo. Questo non vuol dire che non possiamo oggi godere dinanzi a un Caravaggio o a un Botticelli, più semplicemente vuol dire che possiamo apprezzare i valori della grande arte di ieri solo filtrandola attraverso i valori della grande arte di oggi.

Un mio collega ha affermato recentemente che non si può scrivere oggi nulla di nuovo sui grandi maestri di ieri. Non è così. Forse gli storici non sono in grado di farlo, possono invece gli artisti. E possono quei critici che parlano con gli artisti, perché gli artisti guardano l’arte con gli occhi di chi la fa, senza nostalgia. Sanno dunque percepire difficoltà e soluzioni che loro stessi si sono trovati ad affrontare. Anche per questo l’unica critica d’arte possibile è quella che si elabora non sui libri ma negli studi degli artisti.


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demetrio paparoni

testo inedito realizzato per il convegno “Avventure della bellezza, percorsi e illuminazioni”, Casa della Poesia, Milano, 16 dicembre 2008


*articolo pubblicato su Exibart.onpaper n. 56. Te l’eri perso? Abbonati!

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Visualizza commenti

  • ma forse x apprezzare l'arte del passato bisogna anche conoscere il passato altrimenti si finisce x dire che "questo delacroix è proprio figo": e poi perchè Paparoni accenna ad una "scrematura immorale" ma poi non và al di là dei soliti noti? non potrebbe sforzarsi di fare delle ricognizioni più puntuali e meno ovvie ?
    a parte queste promesse di anticonformismo non mantenute ,o annaquate (come nel suo libro" l'arte contemporanea e il suo metodo") bisogna comunque riconoscergli che quando era direttore di "Tema Celeste" avevamo se non altro una voce fuori dal coro , uno sguardo effettivamente laterale del quale si sente la mancanza.

  • Bravo Demetrio,ottimo testo....lucido e serio,compatto e concreto.Grazie !

  • Finalmente uno scritto non isterico e sconclusionato,di chi conosce i fatti recenti e passati e non li apprende nelle festicciole post-opening.

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