UN SACCO BELLO

di - 24 Maggio 2010
A fronte di questo gap, sempre più artisti delle ultime
generazioni hanno risolto il problema a modo loro, e bisogna dire piuttosto
efficacemente: si sono confrontati con la scena internazionale, hanno maturato
delle posizioni coerenti con quanto accadeva altrove, e hanno sviluppato le
proprie reti di contatti, riuscendo nei casi migliori a guadagnare una certa
attenzione e credibilità al di fuori dei confini. Siamo passati così da una
generazione “autoctona” poco inserita internazionalmente e poco sensibile al
confronto con il clima internazionale, a una generazione che ha pienamente
assimilato l’idea che sia necessario muoversi “strategicamente” sul piano
internazionale, costruendosi una propria politica della legittimazione e del
consenso basata su una buona comprensione delle convenzioni di senso che
dominano i trend critico-curatoriali.
Da un certo punto di vista si potrebbe
anche essere soddisfatti, se l’obiettivo è quello di fare in modo che il nome
‘Italia’ compaia più spesso in certe manifestazioni, un po’ come si fa il tifo
per una posizione più alta del paese nel medagliere olimpico. Ma il punto è che,
al di là di un campanilismo fine a se stesso e in effetti poco utile, questa
nuova generazione ha ottenuto il suo diritto di cittadinanza adattandosi a un
trend internazionale già consolidato e formatosi altrove piuttosto che
guadagnandosi la forza e la credibilità per affermare delle posizioni autonome.


In altre parole, la maggior parte dei nostri giovani artisti più smart è brava a cogliere e riprodurre
le ultimissime tendenze dell’international style (potendo così godere di una
piccola rendita di posizione anche in patria, dove certi segnali arrivano
leggermente in ritardo e creandosi quindi un’immagine cool, almeno per qualche mese o nei
casi più fortunati per qualche anno). Ma finisce giocoforza per “invecchiare”
rapidamente con il passare delle mode istantanee e perdere interesse a
beneficio dell’ondata successiva, che ormai si avvicenda con una rapidità
stupefacente. Siamo cioè caduti nella trappola di una sorta di “manierismo
dell’ultima moda” che rischia di lasciare alla fine dei conti una traccia tanto
labile quanto quella della marginalità autoctona delle generazioni precedenti.

Ciò che sarebbe veramente importante e interessante fare è creare le condizioni
affinché il nostro paese possa tornare a essere un luogo di incubazione di
posizioni davvero originali e capaci di orientare la riflessione, la
sensibilità visiva, la sedimentazione dei significati: un luogo imprescindibile
per i curatori contemporanei. Ma è un traguardo molto più difficile che
raggiungere una rappresentatività anagrafica nelle liste degli artisti invitati
alle mostre (che spesso sono più percepite e importati delle mostre stesse).

È
un traguardo che richiederebbe il coraggio di una sottile, “naturale”
inattualità che, come spiega lucidamente Giorgio Agamben, è il vero segno distintivo
di ciò che è veramente contemporaneo e che sarà rappresentativo a posteriori di
“questa” contemporaneità. È più difficile, ma è l’unica cosa di cui abbiamo
davvero bisogno per ridare al nostro paese un’identità cultuale credibile.


pier luigi sacco

pro-rettore alla comunicazione e all’editoria e direttore
del dipartimento delle arti e del disegno industriale – università iuav –
venezia

*articolo pubblicato su Exibart.onpaper
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Visualizza commenti

  • @laserjet: mi riferivo alle Identita' che in fin dei conti non hanno mai fatto a meno di un certo monolitismo.

  • si ma gallina e uovo a parte tu ritagli, gli altri hanno scrito prima di te, ci sono le date...Anche il tuo modo di agire è stato usato prima di te. Tu ci hai messo del tuo, il non metterci nulla di nuovo, che è una cosa molto importante. La critica esiste da diversi anni e non ha mai fatto male a nessuno, anzi crea valore. Cioè fa il gioco del potere, e così facendo riesce a fare comodo(al potere sempre).
    La tua alternativa qual'è? dare una mano a Vascellari? a no c'è il tuo fenomenale discorso della meritocrazia del linguaggio, che non significa assolutamente nullla.
    Ognuna dica ciò che vuole e lasciateci la libertà di poter pensare e scegliere con la nostra testolina bacata. Oppure fate "mangiare" qualcosina anche a noi così vi plauderemo come fanno gli altri che già nutrite...

  • Andiamo. Identità (con la maiuscola) e monolitismo sono concettualmente sinonimi. Di cosa stiamo parlando? A me risulta che il concetto di identità sia stato problematizzato da artisti eminententemente novecenteschi.
    O forse per Novecento (con la maiuscola) intendi il movimento degli anni '20 così denominato?

  • Mi riferisco al fatto che il 900, in tutti i campi, non è riuscito ad uscire da una forma di personalizzazione che deve sempre mantenere un controllo su quello che fa. Invece forse , in questa fase, sarebbe più utile una perdita del controllo. Direi la necessità di uscire da una certa professionalizzazione; perdere ogni riferimento e vedere quali sono gli esiti concreti, i contenuti. Le urgenze reali. Perchè mi sembra che soprattutto le nuove generazioni siano attratte su un sentiero forzato, di "storicizzazion"e forzata; e questo semplicemente nei confini nazionali.

  • quello che non capisco in personaggi come Sacco è come parlino sempre correttamente di pensiero divergente, problemi di visibilità ESTERA dell'arte italiana e poi non facciano mai nulla. Il festival di faenza vive una grande soggezione dalla scena internazionale ( e questo ci può anche stare) ma sull'italia si dovrebbe osare di più. In questo momento tutte le ultime generazioni italiane sono immerse in una forma di burocrazia o artigianato contemporaneo. I giovani artisti servono solo a fornire un contenuto standard per comporre una "mostra giovane" che promuova una migliore immagine dell'istituzione ospitante.

  • A Pierluigi Sacco sta a cuore il sistema dell'arte italiana come al boia sta a cuore la vita del condannato a morte.

  • Ma quanti erano a Faenza?

    Sacco è un grande teorico, abile e dialettico, il progetto del Festival dell'Arte Contemporanea è però troppo autoreferenziale, infatti già l'anno scorso l'afflusso del pubblico è stato carente quest'anno..

    io ho contato per gli interventi che ho seguito una media di 100/150 persone, con punte di 200 al Teatro Masini... ma poi gli stessi si spostavano alle altre conferenze, se consideriamo che una 60 erano i relatori e una 60 i volontari (o forse di più..) non c'era molta gente, almeno fino a domenica alle 14.. poi son rientrato a Cuneo...

  • Debbo constatare che nessuno di Voi ha letto con la dovuta attenzione lo scritto del Prof.Sacco.
    Debbo altresi' constatare che l'unica preoccupazione che Vi assilla è solo quella di esistere attraverso uno scritto (non importa se a favore o contro , l'importante è la presenza).
    Vi invito ad ascoltare l'intervista che il prof.Sacco ha dato a Cagliari nel 2008 (su youtube) ed a meditare su quello che il medesimo , in merito al discorso su "contemporaneita'", (ripreso da Giorgio Agamben) spiega nello scritto (contemporaneita' come IN-ATTUALITA').
    Concludo e trovo che la Vostra condotta verbale (e l'animo che lo alimenta) non è poi cosi' diversa da quella solita che tengono i barboni in occasione dell'ultimo metro' per la lotta al posto migliore nelle sale ...deserte.

    Condoglianze.

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