Utopie low budget. E realizzate

di - 26 Gennaio 2013
Ecco, in tempi di crisi del sistema nazionale dell’arte e di ricerca di nuove vie di comunicazione col pubblico e con il mondo, una storia esemplare per le sue luci e le sue ombre che viene dal Sud. È la vicenda pugliese di Torrione Passari a Molfetta, uno spazio antico a strapiombo sulla costa adriatica a nord di Bari che da dieci anni a questa parte prova a farsi avamposto espositivo e di ricerca, ponte di comunicazione fra il territorio e l’arte internazionale: con una serie di mostre ed eventi organizzati con pochi mezzi economici e con affanni di gestione, ma con generosa  determinazione e intelligenza di scelte.
Un decennale è traguardo non da poco, in un contesto come quello del Mezzogiorno che sul problema della continuità progettuale ha bruciato molte delle energie messe in campo. Vale la pena di ripercorrere le tappe di un percorso che ha inizio dal 2002, quando il torrione costruito nel ‘400 come baluardo difensivo e utilizzato internamente come cisterna, fu ristrutturato dal Comune nel quadro di un progetto di riqualificazione dell’intero centro storico. I lavori hanno portato alla luce la struttura originaria con due vani d’ingresso e soprattutto con un grande antro circolare a tholos e finestrelle a pelo d’acqua, particolarmente stimolante per gli artisti che con essa si sono confrontati.
E di artisti prestigiosi in questi anni ne sono passati tanti. Ultimo, con una personale in corso fino al 2 febbraio, Alberto Biasi, tra i protagonisti di un’arte programmata in rinnovato spolvero. L’esplosione geometrica di raggi colorati di un suo grande Light prism e i dinamismi ottici delle storiche superfici lamellari in pvc trasfigurano lo spazio nella mostra curata da Gaetano Centrone in collaborazione con Marco Meneguzzo e la gallerista milanese Allegra Ravizza.
Ma è a Giacomo Zaza, giovane curatore di origini molfettesi presto trasferitosi prima a Roma e da alcuni anni a Berlino, che si deve il merito di aver sdoganato il posto al contemporaneo e di averlo offerto, grazie a contatti e amicizie personali, al dialogo con autori importanti della scena globale. Primo fra tutti, all’esordio nel 2003, Jannis Kounellis, che nel torrione ambientò un’evocativa rete da pesca con centinaia di scarpe; un “recinto” di sacchi di iuta riempiti di pietre dei muretti a secco della campagna barese; e un’installazione con materiali recuperati in gran parte sul posto, in linea con la densità drammatica e teatrale del suo lavoro. Il coinvolgimento monografico di un artista, lo stimolo a farlo entrare in sintonia con il contesto, spesso relazionandosi alla comunità locale, sono aspetti che hanno reso singolare questa esperienza, pur fra mille difficoltà.
Cosi nello stesso anno subentrarono H.H.Lim e Carla Accardi. la “grande vecchia” dell’arte italiana che nella sala circolare collocò sei coloratissimi coni in ceramica smaltata, memoria inconsapevole dei trulli pugliesi più volte visitati, come ella stessa in quell’occasione ebbe a dichiarare. Nel 2004 fu Gilberto Zorio a sintonizzarsi con l’”energia cosmica” delle storiche pietre: installando un vitalistico “Marrano” e uno dei suoi alchenici “alambicchi”, dentro un edificio “magico” illuminato al buio da macchie fluorescenti che, disse, “sembra stato fatto apposta per me”.
Seguì, qualche mese dopo, un progetto molto complesso di Daniel Spoerri, che vide tra l’altro il coinvolgimento di un ortopedico e di un pasticciere locale per la realizzazione di un ironico scheletro in marzapane, aperto alla degustazione collettiva. E, nel 2005, il contributo del padre del concettualismo Joseph Kosuth, impegnato a mostrare “le differenze culturali e linguistiche della questione significato“, con la parola scritta al neon in diverse lingue, compreso il dialetto molfettese “segnefecate”.
Traccia di queste presenze, oltre che nei poderosi cataloghi pubblicati puntualmente a posteriori con immagini site specific, si trova a sorpresa nell’attenzione riservata ai lavori fatti per il Torrione in pubblicazioni straniere. Come XXII Stations on an odissey di Marc Scheps, che dopo anni di ricerca scientifica su tutti i luoghi e i lavori prodotti da Kounellis dal 1969 al 2010, indica Molfetta tra i più significativi spazi al mondo dove Kounellis ha esposto, insieme a Roma e Berlino, Sarajevo, Mexicocity, Chicago, Londra. D’altra parte, nella sua monografia scientifica su Gilberto Zorio Germano Celant dedica dieci pagine per approfondire l’opera prodotta in loco e pubblica per la prima volta un lavoro che Zorio ha realizzato utilizzando la pianta planimetrica del Torrione stesso. Ancora, l’Institut Mathildenhöhe di Darmstadt ha dedicato la copertina del libro pubblicato per la personale di Zorio nel Museo tedesco proprio all’intervento molfettese.
Insomma, le pubblicazioni del Torrione si trovano nelle biblioteche di importanti musei in Europa e in tutte le bibliografie degli artisti che vi hanno esposto. Ma, si sa, nemo propheta in patria. Per cui, dopo i primi quattro anni di programmazione, a seguito di cambiamenti politici l’attività del Torrione dovette essere sospesa. Si deve al sostegno, pur stringatissimo, della Provincia di Bari prima e della Regione Puglia poi, se nel 2009 Zaza riuscì a riprendere l’attività espositiva, circoscrivendola però ad un evento annuale e privilegiando uno sguardo più corale sulla realtà fluida contemporanea. Con l’obiettivo di offrire uno spaccato fluido e contaminato di tendenze e linguaggi, accomunati da un’attitudine alla riflessione critica, ironica o utopistica, sulle contraddizioni etiche, culturali e sociali della realtà globalizzata. Tre collettive si sono succedute dal 2009 al 2011: “Pulsioni performative nell’arte contemporanea”; “PostDimensione. Viaggio nell’arte contemporanea”; e “Viaggio nell’arte contemporanea – neo concept”. Con nomi consolidati del calibro di Mona Hatoum, Gianfranco Baruchello, Carsten Nicolai, Grazia Toderi; emergenti di grido come John Bock, Kader Attia, Susanne Kutter; e un occhio particolare alle ultime generazioni, passate al filtro della scena berlinese. Fino alla recente “Fantasie fluttuanti”, inaugurata a novembre scorso e declinata in chiave più onirica e visionaria, con opere di Rä di Martino, Marius Engh, Bjørn Melhus, Olaf Metzel, Thomas Zipp.
Una operazione ambiziosa e impegnativa, dunque, che ha sempre tenuto dritto il timone della qualità e della ricerca, preoccupandosi di non scendere a compromessi con il gusto medio, semmai proponendosi di stimolarlo con visioni non sempre facili ma – complice l’unicità del contesto – sempre suggestive. Eppure la sorte del Torrione Passari è oggi un bivio: quasi metafora di un contesto come quello artistico pugliese, che negli ultimi anni ha mostrato importanti segni di vitalità, ma che stenta ancora a compattare un sistema di iniziative pubbliche e private e non riesce a dotarsi di una istituzione pubblica per l’arte di grande respiro (sono in fase di stallo i tentativi per il BAC, un progetto per l’arte contemporanea promosso dal Comune di Bari).
Nuovi scenari politici si aprono anche per la Puglia e a Molfetta le elezioni comunali sono imminenti. Non sappiamo con quali ricadute. È chiaro comunque che per proseguire senza affanni una programmazione, che ha già in agenda una personale di Hidetoshi Nagasawa dopo l’estate, sarebbero necessarie certezze continuative di risorse, e chiarezza nelle scelte di gestione. Sviluppando magari, sulla via già tracciata, un modello di spazio istituzionale agile, senza collezione, che ha pochi esempi in Italia ma in qualche modo può collegarsi a collaudate istituzioni europee, come i Kunstverein tedeschi o i centre d’art francesi. Una struttura flessibile, incentrata sul ricambio di mostre e finalizzata ad informare, documentare, promuovere il confronto, favorire la partecipazione attiva al dibattito sull’arte contemporanea, in una prospettiva che coniughi l’attenzione per la dimensione locale e la proiezione internazionale. È una situazione che stimola soluzioni creative e ricadute di pensiero di respiro tipicamente glocal; favorita dalla struttura stessa del torrione molfettese inserito in uno dei più suggestivi borghi medievali di Puglia, dalla densità di storia e di memoria che nel contesto si respira. Non sono molti i casi simili in Italia, se si eccettuano le incursioni occasionali in palazzi castelli ville e chiese. Nel “tempo circolare” vissuto dalla cultura del primo Duemila si tratta di una occasione strategica su cui riflettere. E di una prospettiva progettuale da non dissipare.

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  • Cos’è che ti sa di naftalina? Unire in un percorso espositivo durato 10 anni, in uno spazio storico come quello del Torrione Passari di Molfetta, artisti dell’importanza e della generazione di Baruchello, Carla Accardi, Daniel Spoerri, Kounellis, oppure Gilberto Zorio, Olaf Metzel, con altri come H.H.Lim, Mona Houtum, Rui Chafes, Grazia Toderi, John Bock, Kader Attia, ad altrettanti di generazioni più giovani ma di importante spessore nella ricerca, conosciuti a livello nazionale ed internazionale come: Thomas Zipp, Rä di Martino, Marius Engh, Luigi Presicce, Bjørn Melhus…?

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