In musica – senza dimenticare il discorso unico che stanno
portando avanti da più di dieci anni i Sigur
Rós, all’insegna di un efficace emotional
ambient – il nuovo respiro epico caratterizza le ricerche di gruppi
“primitivi” già nei nomi che si sono dati, come Mastodon, Baroness, Torch, e poi Down, Isis, Neurosis. E ancora, su un versante più
riflessivo-meditativo (a tratti, anche depresso e ossessivo; ma,
effettivamente, epica è anche La
Gerusalemme liberata): Crowbar, Sleep, Weedeater, Jesu. I quali
hanno scelto di fondere creativamente progressive, metal e post-grunge, sulla
scia dei Kyuss e del loro stoner rock. L’idea base era quella di
espandere indefinitamente l’intuizione fondamentale spalancando immense
praterie sonore. E anche di narrazione, come fanno i The Sword, che rivitalizzano gli impianti grandiosi dei Metallica
con un immaginario preso di peso dalla nuova dark fantasy (George R. R. Martin & Co.).
Nell’arte visiva contemporanea, qualcosa del genere si
comincia a intravedere, per esempio, nelle installazioni a metà fra esoterismo
primo-novecentesco e mitografie vichinghe di Matthew Day Jackson (1974), o nelle sculture composte ossessivamente
dallo svedese Michael Johansson,
assemblando e montando oggetti di design provenienti dall’età dell’oro della
produzione industriale (dagli anni ‘50 ai ‘70).
E proprio l’ossessione sembra essere il concetto chiave di
queste nuove epiche. Ossessione intesa come ricerca spasmodica, come creazione
di interi mondi a partire da frammenti-relitti-rovine culturali (al di fuori e
al di là della prospettiva nostalgica), come costruzione del sé alternativa e
contrapposta a quella proposta dal mainstream. In un periodo in cui il concetto
stesso di un “fuori”, di “underground”, persino di “avanguardia” non solo è
andato incontro a pesanti ridefinizioni in ogni campo della conoscenza, ma è
stato perfettamente integrato fino all’annullamento nella produzione culturale,
che cosa rimane di assolutamente e propriamente estraneo a questo “dentro” che
tutto pervade e riduce (e che possiamo chiamare, alternativamente, Spettacolo,
Ordine, Omologazione) se non una sana e robusta ossessione creativa?
Tanto più che in tale mutamento espressivo ci inseriamo a
pieno titolo, e non solo con personalità singole e isolate ma con un movimento
vero e proprio, ormai solidamente strutturato: il New Italian Epic, sistematizzato dai Wu Ming nell’ormai famoso promemoria omonimo [1]. In Italia,
l’adozione di un approccio del genere trova la sua ragion d’essere nella
situazione attuale, che sembra prefigurare gli sviluppi eventuali di altri
Paesi, e al tempo stesso costituisce una sorta di sprofondamento, di paralisi
collettiva e connettiva, lo “spaesamento”
di cui parla Giorgio Vasta [2].
Gli scrittori più consapevoli rispondono a questa sfida
sopperendo alle lacune della storiografia ufficiale e innestando la narrazione
letteraria in quella storica: la memoria, la ricostruzione del passato e dei
rapporti causali tra gli eventi sono gli unici antidoti disponibili ed efficaci
al presente perpetuo che ormai costituisce, da almeno un trentennio,
l’estensione unica e monolitica della percezione (“questa specie di ‘anni ‘80 ideali eterni’ che abbiamo avuto in sorte, e
che non sembrano avere nessuna voglia di passare” [3]).
Si assiste allora nelle opere di questi autori più o meno
nuovi – il Romanzo criminale (2002)
di Giancarlo De Cataldo, Gomorra (2006) di Roberto Saviano, L’ottava
vibrazione (2008) di Carlo Lucarelli,
Hitler e Italia De Profundis (2008) di Giuseppe
Genna – a una strana e feconda saldatura fra tempo mitico e tempo storico:
la narrazione epica è la via scelta per affrontare e interpretare l’Italia di
oggi. Mentre, con ben altra potenza e complessità, l’americano William T. Vollman è riuscito
addirittura a comporre in Europe Central
(2005) “la nostra epica occidentale,
mentre l’occidente si folgora nel suo tramonto […] epica apparentemente
storica, fondamentalisticamente storica” [4].
Infine, a chi – come Alessandro Dal Lago [5] – dipinge
questo atteggiamento come pretestuoso e velleitario, bisognerebbe ricordare che
il ruolo degli intellettuali non è quello di vagheggiare perdute età dell’oro
(un vecchio vizio italico, peraltro), ma di investire tutte le proprie forze
nella comprensione e nella trasformazione della realtà: se siamo ridotti così,
è anche per la sostanziale e completa abdicazione a questo compito. Il racconto
di questi difficili e disgraziati anni italiani è invece propriamente,
intrinsecamente epico – tolkieniano
verrebbe quasi da dire – e non una proiezione spettrale, un’illusione
auto-generata e consolatoria. Come tale, perciò, va elaborato.
[1] Cfr. Wu Ming, New
Italian Epic. Letteratura,
sguardo obliquo, ritorno al futuro, Torino 2009.
[2] Cfr. G. Vasta, Spaesamento, Roma-Bari 2010.
[3] Editoriale, in alfabeta2,
24 giugno 2010, www.alfabeta2.it/2010/06/24/editoriale/.
[4] G. Genna, William T. Vollmann, “Europe Central” (recensione), in Carmilla, 20 settembre 2010, www.carmillaonline.com/archives/2010/09/003623.html#003623.
[5] Cfr. A. Dal Lago, Eroi di carta. Il caso “Gomorra” e altre epopee, Roma 2010.
christian caliandro
*articolo pubblicato su
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