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È Alessandra Ferrini la vincitrice della terza edizione del MAXXI BVLGARI PRIZE, il premio promosso dal MAXXI – Museo nazionale delle arti del XXI secolo e dalla maison Bulgari, in un proficuo dialogo tra cultura e moda, per il sostengo dei giovani artisti. Nata a Firenze nel 1984, Ferrini si è aggiudicata l’ambito riconoscimento con l’opera Gaddafi in Rome: Notes for a Film, per «La sua capacità di rappresentare i fatti controversi della storia geo-politica contemporanea, sfidando le formule ufficiali e canonizzate delle narrazioni storiche e giornalistiche», si legge nelle motivazioni della giuria, composta da Hoor Al Qasimi, Presidente e Direttrice Sharjah Art Foundation, Chiara Parisi, Direttrice Pompidou-Metz, Dirk Snauwaert, Direttore WIELS Contemporary Art Centre, oltre che da Hou Hanru e Bartolomeo Pietromarchi, rispettivamente Direttore artistico del MAXXI e Direttore del MAXXI Arte.
In particolare, l’opera è stata scelta «Per la forza e l’equilibrio nell’analizzare i materiali documentari come fotografie, testi e film, ricomponendoli in una nuova narrazione, che riflette sul ruolo della ricerca come essenziale per una dichiarazione in difesa dei diritti umani e della cittadinanza globale nell’epoca post-coloniale». Il lavoro entrerà a far parte Collezione del MAXXI Arte. Ferrini era stata scelta in una shortlist che comprendeva anche Namsal Siedlecki e Silvia Rosi, che ha vinto il Premio del pubblico con l’opera Teacher Don’t Teach Me Nonsense, con il 55% delle preferenze, per «La capacità di affrontare temi quali la provenienza, discendenza e memoria in una prospettiva contemporanea tra lirismo e ironia».
La cerimonia di premiazione si è svolta oggi, martedì 25 ottobre, all’Auditorim del MAXXI, preceduta da un talk tra la curatrice della mostra delle opere finaliste, Giulia Ferracci, e gli artisti. Alla premiazione hanno partecipato anche Jean-Christophe Babin, CEO di Bulgari, Giovanna Melandri, Presidente Fondazione MAXXI, Hou Hanru, Direttore artistico del MAXXI, Bartolomeo Pietromarchi, Direttore del MAXXI Arte, il giurato Dirk Snauwaert, Direttore WIELS Contemporary Art Centre.
MAXXI BVLGARI PRIZE: storia di un premio
Nato nel 2000 come Premio per la Giovane Arte, il Premio costituisce il punto di partenza e la nascita della Collezione del MAXXI Arte. Negli anni, è stato un importante trampolino di lancio per molti artisti. Sono 42 quelli che, dal 2001 hanno preso parte alle precedenti 10 edizioni, tra questi, Mario Airò, Yuri Ancarani, Giorgio Andreotta Calò, Stefano Arienti, Micol Assaël, Rosa Barba, Massimo Bartolini, Vanessa Beecroft, Rossella Biscotti, Tomaso De Luca, Ludovica Carbotta, Patrizio Di Massimo, Bruna Esposito, Lara Favaretto, Piero Golia, Adelita Husni-Bey, Avish Khebrehzadeh, Liliana Moro, Marinella Senatore, Nico Vascellari, Vedovamazzei, Francesco Vezzoli, Zapruder e molti altri.
Nel 2018 la prima edizione del MAXXI BVLGARI PRIZE, è stata vinta da Diego Marcon, finalista insieme a Talia Chetrit e Invernomuto, la cui opera Calendoola: SURUS è stata acquisita grazie al contributo degli Amici del MAXXI. L’edizione del 2020 ha visto la vittoria di Tomaso De Luca, finalista insieme a Giulia Cenci e Renato Leotta.
Le opere in mostra
Da un episodio di cronaca prende le mosse l’opera di Alessandra Ferrini. La videoinstallazione parte dal reportage realizzato dal quotidiano La Repubblica e dedicato alla prima visita ufficiale in Italia di Muammar Gheddafi, nel 2009, per la firma del Trattato di amicizia, partenariato e collaborazione tra Italia e Libia. Gaddafi in Rome è un invito a riflettere sul rapporto tra il ruolo dell’informazione e la comprensione di eventi geopolitici complessi, analizza il rapporto dell’Italia con il suo passato in una prospettiva contemporanea.
Nuovo Vuoto di Namsal Siedlecki è un’installazione scultoria composta da sei mani, ciascuna realizzata con un materiale e forma diversi, come anche i plinti su cui poggiano (gesso e cemento, legno di Cirmolo, gres, poliestirolo, poliuretano azzurro, bronzo, vetro soffiato). La ricerca dell’artista, infatti, è caratterizzata da un interesse particolare alla manipolazione e all’evoluzione della materia, al suo passaggio da uno status a un altro. Come un moderno alchimista, Siedlecki si confronta con un’ampia varietà di elementi e di soluzioni tecniche volte loro per raccontare il processo di trasformazione di un corpo.
Conclude il percorso espositivo l’opera Teacher Don’t Teach Me Nonsense di Silvia Rosi, artista italiana di origini togolesi, che fa della fotografia una pratica di ricerca sull’identità e sulla memoria. Il suo lavoro ricostruisce la storia della sua famiglia e la sua eredità identitaria attraverso il recupero di eventi di vita quotidiana. In quest’opera, composta da tre nuclei fotografici e video e da un’installazione audio, l’artista mette in evidenza l’importanza della lingua nel processo di affermazione identitaria e riflette sulle conseguenze degli eventi coloniali avvenuti in Togo, anche sul fronte linguistico.