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Il collettivo VEGA e Silvia Bigi, rispettivamente per le categorie Arte Emergente e Fotografia Contemporanea, sono i vincitori dell’undicesima edizione del Premio Francesco Fabbri per le Arti Contemporanee, curato da Carlo Sala, promosso dalla omonima fondazione e realizzato in collaborazione con la città di Pieve di Soligo. La cerimonia di premiazione degli artisti vincitori e dei menzionati si è svolta il 26 novembre, presso i suggestivi spazi di Villa Brandolini, a Pieve di Soligo, dove è allestita la mostra dei finalisti delle due categorie del Premio che, negli anni è diventato un punto di riferimento nel calendario dell’arte in Italia, per la sua capacità di scouting e per l’opportunità di mettere in dialogo cultura e territorio.
I vincitori hanno ricevuto un premio acquisto di 5mila euro e i loro lavori sono entrati a far parte della collezione della Fondazione Francesco Fabbri Onlus, che li custodirà a Casa Fabbri, il centro residenziale teatro di numerosi eventi. I lavori finalisti rimarranno esposti fino al 18 dicembre nella mostra collettiva di Villa Brandolini.
La composizione delle Giurie del Premio ha potuto annoverare autorevoli critici e curatori: per la sezione Arte Emergente, Lorenzo Balbi, Rossella Farinotti, Antonio Grulli, Angel Moya Garcia; per la sezione Fotografia Contemporanea, Daniele De Luigi, Francesca Lazzarini, Elisa Medde e Mauro Zanchi, con la partecipazione ad entrambe di Carlo Sala.
Premio Fabbri 2022: Arte Emergente
Composto da Tommaso Arnaldi e Francesca Pionati, il collettivo VEGA si è dunque aggiudicato il premio per la sezione Arte Emergente, con l’opera video Florilegio, del 2021. Per sviluppare questo lavoro, gli autori si sono appropriati di una serie di filmati d’archivio trovati sul web, a delineare una sorta di immaginario collettivo odierno che fluisce attraverso le sequenze di funerali, battesimi o baby shower che costituiscono dei nuovi riti contemporanei della cultura consumista.
«Questo magma visivo è stato alterato attraverso una visione fatta di primi piani che annullano i contesti, e permettono di intravedere solo alcuni elementi simbolici come i fiori o una serie di movimenti che danno corpo a una pluralità di istanze, dalla gioia alla follia», si legge nelle motivazioni. Il riferimento è alle teorie e agli studi di Ernesto De Martino, una delle figure chiave del Novecento in Italia, mettendo in scena, da una prospettiva performativa, i riti funebri descritti dal grande dell’antropologo e storico delle religioni, avviando così una riflessione su come queste azioni possano essere portatrici di memoria.
«Vogliamo ringraziare Carlo Sala e tutto il team del Premio Fabbri per il grande lavoro che fanno attraverso la Fondazione per sostenere artistə emergenti da oramai 11 anni, perché sappiamo quanto ce ne sia bisogno», dichiarano dal collettivo VEGA. «Premi come questo ci danno la possibilità di portare avanti la nostra ricerca e di ibridarla attraverso l’incontro con quella di altrə artistə. Il fatto che curatori e ricercatori quali Lorenzo Balbi, Antonio Grulli, Rossella Farinotti e Angel Moya Garcia abbiano voluto conferirci questo premio è per noi un grande riconoscimento, di cui faremo tesoro. Il lavoro che abbiamo presentato, FLORILEGIO, vuole riflettere su diversi modi e meccanismi in cui è possibile trasmettere la memoria, e sulle diverse forme che questa assume quando, oltre che essere individuale, è anche memoria collettiva».
La prima menzione della giuria è andata ad Andrea Bocca (Crema, 1996) per Osvaldo (2022), «Un’opera capace di rileggere, in chiave critica e ironica, la tradizione del design modernista». L’autore, nella sua scultura, ha ripreso e alterato il celebre appendiabiti AT16 di Osvaldo Borsani mutandone le fattezze: l’oggetto ha perso così la sua aura iconica attraverso nuove forme che mettono in crisi la funzionalità originale.
Roberto de Pinto (Terlizzi, 1996) con Prima prova d’incastro (2022) si è aggiudicato la seconda menzione, testimoniando anche quest’anno una forte vivacità delle opere pittoriche candidate al premio. «Il mondo figurativo dell’artista è popolato da giovani uomini che compiono gesti minimi, allusivi, dove non accade quasi nulla, ma capaci di creare una tensione erotica sottesa. Le loro pelli brune e i loro lineamenti hanno dei tratti marcati che richiamano alla mente tutta una serie di raffigurazioni visive antiche della cultura mediterranea».
L’ultima menzione è andata al lavoro Supports (The Botanic Garden of the University of Warsaw, 2) di Agnieszka Mastalerz (Łódź, 1991) realizzato tra il 2020 e il 2022. Durante una passeggiata nel giardino botanico di Varsavia l’artista è stata attratta da una serie di strutture in acciaio destinate a far crescere le piante. Queste, con le loro forme sintetiche e instabili, sembravano già di per sé delle sculture, composizioni autoriali fatte di linee che lo sguardo dell’artista ha saputo cogliere ed enfatizzare.
Categoria Fotografia Contemporanea
Silvia Bigi (Ravenna, 1985) è la vincitrice della sezione “Fotografia contemporanea” con Are you nobody, too? (2022), un lavoro che unisce immagine e video, per porre una riflessione attorno al concetto di identità, partendo da un episodio privato e doloroso. L’opera prende le mosse dall’unica fotografia esistente della prozia dell’autrice, Irma, una donna affetta da disturbi mentali a causa dei quali è stata in parte allontanata dalla vita pubblica e familiare.
All’interno dell’installazione, l’immagine vernacolare prende vita attraverso un’applicazione che idealmente dà voce alla donna, facendole leggere una serie di testi di grandi poetesse e scrittrici – come Anne Sexton Marina Cvetaeva, Gaspara Stampa, Mary Shelley, Sylvia Plath, Emily Dickinson e Virginia Woolf – tutte accomunate dall’aver sofferto di patologie come depressione, schizofrenia o bipolarismo. «Questa polifonia di voci che si sprigionano dal volto della protagonista dell’opera, sembra scontrarsi con l’addomesticamento e la normatività sociale a cui è stata soggetta portando a riflettere sul concetto di sanità mentale e più in generale di diversità».
«In primis mi sento di esprimere profonda gratitudine per questo importante riconoscimento e desidero ringraziare ad uno ad uno i giurati, Daniele De Luigi, Mauro Zanchi, Francesca Lazzarini, Elisa Medde e il curatore e direttore artistico del Premio, Carlo Sala, per aver creduto nel progetto e nella mia ricerca, perché credo che questo sia un lavoro che richiede profonda attenzione e ascolto», ha commentato Silvia Bigi. «In secondo luogo, ci tengo a dire che questo Premio è dedicato a Irma, la donna che ha dato volto a quest’opera, che in qualche modo rappresenta una dimensione profondamente intima, genealogica, anche perché si tratta di una mia antenata. Ma, pur trattandosi di un’immagine vernacolare del mio archivio personale, Irma qui è diventata veramente uno “spazio simbolico”, una corporeità collettiva, un corpo che ospita una pluralità di voci, che quindi si fa occasione per una nuova alleanza. Le devo tutto, perché ovviamente è stata lei a dare il via a questa riflessione molto più ampia su questo concetto piuttosto scomodo e anche complesso da esplorare, che non è soltanto il labile e anche ambiguo concetto di normalità e di sanità mentale ma anche l’assoggettamento e il controllo della mente e delle diverse forme di intelligenza e delle sensibilità esistenti nel mondo, che la società, il mondo in cui viviamo, tenta costantemente di reprimere o comunque di catalogare, categorizzare, ridurre in tassonomia».
Claudia Amatruda si è aggiudicata la menzione della giuria con Gigante (2020), un lavoro in bilico tra fotografia e performance, dove l’autrice indaga la sua condizione di persona affetta da una rara malattia degenerativa. Il corpo diventa così un terreno di comprensione di se stessi e della relazione con gli altri, dove il privato diventa collettivo, ma anche uno spigoloso campo di battaglia; le immagini sono il punto di sintesi formale di una pluralità di istanze tra speranza, consapevolezza e dolore.
La seconda menzione è andata a You Would Wear It as Pajamas and Even to Go Out With It Before Breakfast (2021), opera di Anaïs Horn (Graz, 1981). Anche in questo lavoro, composto da un kimono costellato da una serie di immagini stampate su seta, si parte dalla condizione personale dell’artista, ovvero una sindrome che durante l’adolescenza ha paralizzato la sua mano destra. Questo avvenimento è il pretesto per realizzare una riflessione più ampia su temi come la conoscenza del proprio corpo, la malattia, la disabilità e le relazioni tra persone.
L’ultima menzione va al collettivo Tetau, composto da Beatrice Zito ed Edoardo Montaccini, per il lavoro ⟨ ⟩ del 2021. La loro videoinstallazione porta a riflettere sulla presenza quotidiana di una pluralità di apparati legati al visivo. Quest’ultimi, nell’opera degli autori, si neutralizzano vicendevolmente attraverso un reciproco puntamento: gli strumenti che dovevano realizzare una ripresa oggettiva, o una trasmissione di informazioni, si ritrovano così a generare una forma aniconica e instabile che fa perdere ogni certezza e apre a una pluralità di significati.