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Biennale Arte 2024: i Leoni d’Oro vanno a Mataaho Collective e Padiglione Australia
Premi
Introdotto da Cristiana Costanzo, il Presidente della Biennale Pietrangelo Buttafuoco apre la 60. Esposizione Internazionale d’Arte – Stranieri Ovunque – Foreigners Everywhere – affermando che «è un’avventura dell’anima, l’arte. E ciò che è dovuto a lei è un incamminarsi alla ricerca del chiarore, uno sperimentare continuo di tutte le nozioni che abbiamo dottato fino a oggi per dismetterle e ricominciare alla ricerca del chiarore. Abbiamo ricavato dal passato l’apologo della formica nera sulla roccia nera nella notte nera che sa di dover andar in cerca del chiarore. È una forma d’istinto che anche noi, noi tutti, condividiamo perché sappiamo che l’eternità è innamorata dei frutti del tempo». Gli fa eco il curatore Adriano Pedrosa: «È fantastico vedere tanti stranieri e italiani raccolti qui: la Biennale è un viaggio straordinario, spero sarà trasformativo per noi tutti, per gli artisti e per i visitatori».
Su proposta del curatore Adriano Pedrosa, deliberata dal Cda della Biennale di Venezia, la Giuria di questa 60. Esposizione Internazionale d’Arte della Biennale di Venezia – presieduta da Julia Bryan-Wilson, curatrice americana e professoressa alla Columbia University e composta da Alia Swastika, curatrice e scrittrice indonesiana; Chika Okeke-Agulu, curatore e critico d’arte nigeriano; Elena Crippa, curatrice italiana; e María Inés Rodríguez, curatrice franco-colombiana – ha assegnato il Leone d’Oro per il miglior partecipante all’Esposizione Internazionale a Mataaho Collective, quello per la miglior partecipazione nazionale all’Australia, rappresentata da Archie Moore, il Leone d’Argento per un promettente giovane partecipante a Karimah Ashadu; e ha conferito a Samia Halaby, La Chola Poblete e alla Repubblica del Kosovo le menzioni speciali.
I Mataaho Collective vincono il Leone d’Oro 2024 come migliori partecipanti all’Esposizione Internazionale
Il Collettivo Maori Mataaho, che dedica il Leone «alle famiglie e alle generazioni del e per il futuro», ha creato una luminosa struttura intrecciata di cinghie che attraversano poeticamente lo spazio espositivo. Facendo riferimento alle tradizioni matrilineari dei tessuti, con la sua culla simile a un grembo, l’installazione è sia una cosmologia che un rifugio. Le sue impressionanti dimensioni sono una prodezza ingegneristica che è stata resa possibile solo dalla forza e dalla creatività collettiva del gruppo. L’abbagliante modello di ombre proiettate sulle pareti e sul pavimento rimanda a tecniche ancestrali e fa pensare a usi futuri delle stesse.
All’Australia il Leone d’Oro per la migliore partecipazione Nazionale
In questo quieto padiglione di grande impatto, Archie Moore ha lavorato per mesi per disegnare a mano con il gesso un monumentale albero genealogico della First Nation. Così 65.000 anni di storia (sia registrata che perduta) sono iscritti sulle pareti scure e sul soffitto, invitando gli spettatori a riempire gli spazi vuoti e a cogliere la fragilità intrinseca di questo archivio carico di lutto. In un fossato d’acqua galleggiano i documenti ufficiali redatti dallo Stato. Risultato dell’intensa ricerca di Moore, questi documenti riflettono gli alti tassi di incarcerazione delle persone delle Prime Nazioni. Questa installazione si distingue per la sua forte estetica, il suo lirismo e la sua invocazione per una perdita condivisa di un passato occluso. Con il suo inventario di migliaia di nomi, Moore offre anche un barlume alla possibilità di recupero. «Come l’acqua scorre nei canali della laguna Venezia scivolando verso il mar adriatico per poi raggiungere gli oceani, così credo in un sistema che coinvolge tutte le cose. Tutti noi condividiamo delle responsabilità:, oggi e in futuro prendiamoci cura di ciò che abbiamo intorno», ha dichiarato ritirando il premio.
Leone d’Argento per un promettente giovane partecipante all’esposizione Internazionale: Karimah Ashadu
Karimah Ashadu, con il suo video Machine Boys e la relativa scultura in ottone, Wreath, stravolge le ipotesi di genere sullo sguardo e su ciò che è considerato appropriato commemorare. Con un’intimità bruciante, cattura la vulnerabilità di giovani uomini provenienti dal nord agrario della Nigeria, emigrati a Lagos e finiti a bordo di mototaxi illegali. La sua lente femminista è straordinariamente sensibile e intima e cattura l’esperienza subculturale dei motociclisti e la loro precarietà economica. Montato con maestria per mettere in evidenza e criticare sottilmente la performance della mascolinità in mostra, il video rivela l’esistenza marginale dei motociclisti attraverso l’attenzione sensuale dell’artista alle superfici della macchina, della pelle e della stoffa.
Menzioni speciali a Samia Halaby e La Chola Poblete
Samia Halaby, artista, insegnante e attivista di lunga data che la giuria desidera onorare con una menzione speciale. Il suo impegno nella politica dell’astrazione si è sposato con la sua costante attenzione alla sofferenza del popolo palestinese. Il suo dipinto modernista, intitolato Black is Beautiful, splendidamente reso nel ‘Nucleo Storico’ di Foreigners Everywhere, suggerisce non solo la sovranità dell’immaginazione, ma anche l’importanza delle solidarietà globali: «tutti noi, io per prima, possiamo imparare dagli artisti indigeni che il curatore Pedrosa, con la sua visione, ha portato tra noi», ha dichiarato in collegamento.
«È un onore – afferma La Chola Poblete – per me e per la comunità Queer del mio paese e perché no, di tutto il mondo. Sono la prima artista trans e non bianca che riesce ad arrivare qui e spero di riuscire ad aprire altre porte. Il mio desiderio è che un giorno le etichette scompaiano davvero. Io ho ricevuto il sostegno dello stato argentino, e su questo desidero fare un appunto: se lo stato non aiuta il futuro è davvero pericoloso. Mi auguro che ogni argentino riesca un giorno ad arrivare alla fine del mese e ad avere serentià. Grazie italia per farmi sentire come casa mia». La giura ha scelto di assegnarle una menzione speciale per l’impegno con un certo umorismo in un lavoro critico sulle storie di rappresentazione coloniale da una prospettiva trans-indigena. La sua arte polivalente – che include acquerello, tessuto e fotografia – resiste all’esotizzazione delle donne indigene, mentre sottolinea il potere della sessualità. Approccia l’iconografia religiosa occidentale e le pratiche spirituali indigene con un tocco trans e queer, invertendo le relazioni di potere con opere che fanno riferimento alle conoscenze ancestrali del Sud America.
Menzione speciale come partecipazione nazionale: Repubblica del Kosovo
Piccola ma potente, l’installazione di Doruntina Kastrati – che dice commossa «sono felice di condividere parte della storia con le madri, come la mia che è qui oggi per esempio, con altre rappresentanze e con tante voci che dal margine arrivano ai nostri cuori» – fa riferimento al lavoro industriale femminilizzato e all’usura del corpo delle donne lavoratrici. Facendo riferimento sia ai gusci di noce utilizzati nelle delizie turche prodotte in fabbrica, sia alle parti mediche utilizzate per sostituire le ginocchia delle operaie logorate dalla produzione di questi dolciumi, le eleganti sculture di Kastrati invitano i corpi degli spettatori a interagire con loro. Un paesaggio sonoro vibrante viaggia attraverso il pavimento, risuonando sia nelle nostre ossa che in un’arena più ampia di attivismo femminista.
Leoni d’oro alla Carriera: Anna Maria Maiolino e Nil Yalter
Due artiste straordinarie e pionieristiche, nonché migranti, che incarnano in molti modi lo spirito di Stranieri Ovunque – Foreigners Everywhere: Anna Maria Maiolino, emigrata dall’Italia al Sud America, prima in Venezuela e poi in Brasile, dove oggi vive, e Nil Yalter, turca, trasferitasi dal Cairo a Istanbul e infine a Parigi, dove risiede, ritirano il Leono d’Oro alla Carriera dedicandolo alla necessaria e urgente Pace nel mondo in un momento – dicono all’unisono – «in cui la pulsione di morte prevale sulla vita». Entrambe migranti, Maiolino è «felice di tornare in terra natia e ricevere il premio in una Biennale come questa, un atto politico metaforico e poetico che riunisce gli stranieri tutti», Yalter, altrettanto felice e riconoscente, mette l’accento sul bisogno assoluto di fare qualcosa affinché le cose possano cambiare.
Chiude la cerimonia di premiazione Gennaro Sangiuliano , Ministro della Cultura, appellandosi alla passione, all’impegno, alla dedizione, alle difficoltà che gli artisti incontrano nel corso della loro carriera, all’immaginazione e alla fantasia. «Tempo fa ho detto che noi siamo chiamati a costruire il passato del futuro e oggi voglio ribadirlo perché credo che ogni epoca si testimoni grazie all’arte. É nostro dovere mettere a loro agio gli artisti affinché in piena libertà possano costruire quello che tra 200 anni sarà il nostro tempo. Adriano, voglio chiamarlo per nome, ha detto di aver potuto agire qui in piena libertà: ecco, ci impegneremo perché possa sempre essere così. Il viaggio di questa biennale accompagna alla radicale alterità di ognuno di noi, ma permangono concetti chiave come quelli di nazione, territorio, confine, identità e cittadinanza, a proposito del quale voglio lanciare un appello: che donne e uomini rimangano sempre cittadini in quanto destinatari di diritti e non debbano mai essere degradati a codici a barre».
«La festa può iniziare», afferma il Presidente Buttafuoco facendo seguito alla citazione, da parte del Ministro Sangiuliano del filosofo José Ortega y Gasset: «Bisogna essere saldi nelle radici per aprirsi al confronto».