Giovane artista ghanese già ampiamente conosciuto per le sue installazioni site specifc incentrate su temi urgenti della contemporaneità , quali quelli della memoria e dei movimenti migratori, Ibrahim Mahama è il vincitore del Premio Pino Pascali che, nel 2021, raggiunge il traguardo della 23ma edizione. Presieduta da Rosalba Branà , direttrice della Fondazione Pino Pascali di Polignano a Mare, istituzione promotrice del Premio, la commissione che ha nominato Ibrahim Mahama è stata composta da Adrienne Drake, direttrice della Fondazione Giuliani per l’arte contemporanea di Roma, e Nicola Zito, storico dell’arte e curatore della Fondazione Pino Pascali.
Il 10 dicembre gli sarà conferito anche il Prince Claus Award 2020 di Amsterdam, un riconoscimento che premia coloro che si sono maggiormente distinti nell’applicazione della cultura allo sviluppo sociale.
«Ibrahim Mahama, giovane artista ghanese protagonista da diversi anni sulla scena internazionale, riflette sulla condizione umana, sul nomadismo, sulle migrazioni, sullo sfruttamento dell’uomo», si legge nelle motivazioni della giuria. «Artista con una forte connotazione politica, Mahama contamina i linguaggi dell’arte, dall’installazione ambientale site specific alla fotografia e all’assemblaggio oggettuale, con l’intento di condurre lo spettatore a riflettere su quelli che sono i fallimenti della modernità ».
La Fondazione Pascali presenterà una mostra di Mahama, in apertura l’11 dicembre 2021 e visitabile fino al 13 marzo 2022. L’evento si svolgerà parallelamente presso Exchiesetta, spazio iconico nel centro cittadino di Polignano a Mare, che ospitò le prime edizioni del Premio Pino Pascali dal 1969 al 1979, dove sarà esposta e sempre visibile un’opera della mostra. L’esposizione si avvale della collaborazione di APALAZZO Gallery di Brescia, che rappresenta l’artista in Italia.
Mahama è nato a Tamale nel 1987, capoluogo di regione a nord del Ghana, con mezzo milione di abitanti dove attualmente vive e lavora. Ha studiato pittura e scultura presso la Kwame Nkurumah University di Kumasi fino al 2013, anno in cui ha conseguito la laurea. La ricerca sui temi della globalizzazione, del lavoro e della circolazione delle merci, ha preso avvio già dagli anni universitari, con una serie di interventi e di attività realizzata anche grazie a collaborazioni con i cittadini ghanesi.
Nella sua pratica artistica assume il sacco di juta, oggetto ricorrente nelle sue opere, a simbolo e metafora di un’economia fragile, basata sulla produzione di cacao: timbrato, lacerato, rattoppato, diventa per Mahama un amplificatore di storie, raccontando delle persone che vi hanno lavorato, tra porti, magazzini, mercati e città . Il sacco diviene stratificazione di memorie, persone, oggetti, luoghi e architetture, il riferimento porta alle problematiche del continente africano ai suoi processi migratori, alle complesse dinamiche della globalizzazione.
Fabbricati nel sud-est asiatico, i sacchi vengono importati dalla Ghana Cocoa Boards per trasportare le fave di cacao, considerate prodotti di lusso. Dopo questo primo utilizzo, i sacchi vengono rimpiegati per molte volte ancora per trasportare prodotti come riso, miglio, mais e carbone. Mahama li acquista alla fine del loro percorso lavorativo, cucendoli insieme per creare enormi arazzi che utilizza anche per occultare edifici monumentali ed iconici della società dei consumi, come in alcune note recenti mostre e installazioni, anche in Italia, come “Living Grains”, alla Fondazione Giuliani di Roma, e “A Friend”, agli ex caselli daziari di Porta Venezia, a Milano, progetto promosso dalla Fondazione Nicola Trussardi. Mahama ha partecipato inoltre a due edizioni della Biennale di Venezia, nel 2019, con “Ghana Freedom”, padiglione inaugurale del Ghana, e nel 2015, in cui ha presentato la grande installazione site specific Out of Bounds, realizzata con sacchi di iuta presso il Tronchetto dell’Arsenale.
«Mi interessa guardare alle implicazioni artistiche e politiche di questi materiali», ha spiegato Mahama. «Cosa succede quando raccogli diversi oggetti da luoghi con storie e ricordi specifici e li metti insieme per formare un nuovo oggetto? Mi interessa come crisi e fallimento vengano assorbiti in questo materiale con un forte riferimento alla transazione globale e al modo in cui funzionano le strutture capitalistiche. La speranza è che i loro residui – macchiati, rotti e abbandonati, ma portatori di luce – possano condurci verso nuove possibilità e spazi oltre».
Attualmente, Mahama vive e lavora tra Accra e Tamale, dove nel 2019 ha inaugurato il Savannah Centre for Contemporary Art (SCCA), spazio museale gestito da un gruppo di artisti e curatori attivi in Ghana, seguito dall’apertura di un vasto complesso di studi, Red Clay, nella vicina Janna Kpeŋŋ nel settembre 2020. Comprendendo spazi espositivi, strutture di ricerca e un centro di residenza per artisti, entrambi i siti rappresentano il contributo di Mahama allo sviluppo e all’espansione della scena artistica contemporanea nel suo paese. Nell’aprile 2021, Mahama ha inaugurato a Tamale un silo ristrutturato, Nkrumah Volini; questa è la terza istituzione educativa che l’artista ha aperto nel nord del Ghana negli ultimi due anni.
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