Il Centro Congressi dell’Università degli Studi di Napoli Federico II ha ospitato, nei giorni scorsi, un interessantissimo convegno incentrato sulle eccellenze storiche e contemporanee della moda Made in Napoli e organizzato da Le mani di Napoli – da non confondere con Le mani sulla città, film del 1963 di Francesco Rosi –, un’associazione formata da Sarti, Calzolai, Pantalonai, Camiciai, Guantai, Cravattai, Orefici e Artigiani cultori della materia del ben vestire. In occasione dell’incontro è stato conferito il Premio Saxifraga a diverse personalità che, grazie al loro operato in diversi settori, hanno confermato la tradizione del saper fare e del ben vestire. Hanno partecipato al convegno Gaetano Manfredi, Sindaco di Napoli, Matteo Lorito, Rettore della Federico II, e Massimo Bitonci, sottosegretario del MIMIT – Ministero delle Imprese e del Made in Italy, che è un politico con il passato di una famiglia artigiana che potrebbe aiutare nella realizzazione di un’attività artigianale a largo raggio.
Forse non tutti sanno della tradizione che, ancora qualche decennio fa, raccontava l’eleganza, specie maschile, della buona società napoletana. E un numero molto minore di persone possono dire di sapere che questa eleganza è dovuta alla storia di questa città. Non possiamo dimenticare che Napoli è stata capitale di regni per sei secoli e possiamo anche citare quei greci che, sconfitti con le armi dai romani antichi, pure li accolsero qui e nei Campi Flegrei, dove soggiornarono imperatori come l’Augusto Ottaviano, Caligola (quello che aveva la passione per le “caligae”, le calzature militari), il “caprese” Tiberio, Claudio, marito della famosa Messalina e poi di Agrippina, la madre di Nerone, che è stato l’imperatore amico e poi nemico di Petronius Arbiter, il dandy autore del Satyricon e che ha dato il soprannome anche allo stesso Presidente de Le mani di Napoli, Giancarlo Maresca. Il quale ha ricordato la tradizione della cura e dell’eleganza della persona che ancora continuava in città nell’Ottocento, anche nelle classi povere, e che è poi continuata per alcuni decenni ancora, pur se in tono minore.
Ci sono state sartorie e calzaturifici creati a Napoli e poi delocalizzati. Ma sempre si è privilegiato il manufatto di alta classe che ha avuto i suoi competenti estimatori. Quest’arte presuppone la conoscenza del corpo umano e della materia vestiaria. È un’arte che non s’improvvisa: ci son voluti secoli per capire come modellare delle scarpe, conoscere il cuoio e le suole e i pellami. Ma tante sono le persone che usano i capi di vestiario senza nemmeno immaginarne la storia.
Le mani della città ha evidenziato il valore del suo artigianato premiando il guantaio Gaetano Pellone e il pantalonaio Antonio Ambrosio. Il premio è stato un oggetto simbolico, con il disegno di otto petali, rappresentante una piccola pianta dalla grande energia, tanta che riesce a infilarsi anche nelle rocce più dure: la saxifraga.
Ma il momento più denso di significato è stato quello della premiazione di Sylvain Bellenger, dal 2015 fino al dicembre 2023 direttore del Museo e Real Bosco di Capodimonte, «Per il suo contributo al patrimonio culturale di Napoli con idee brillanti e azioni concrete». Rientra in questo discorso la costituzione di un tavolo permanente dell’artigianato in cui accogliere proposte che seguirebbero l’esempio di Bellenger, il cui fare non ha solo seguito un pensiero astratto ma è stato anche attento alla realtà. Come ha dato prova con la trasformazione del Bosco di Capodimonte, da un non luogo abbandonato a magnifico parco con opifici di realtà diverse.
«La prima edizione del premio ha come focus la cultura, e l’encomiabile lavoro, svolto negli otto anni trascorsi, da Sylvain Bellenger per lo sviluppo del museo di Capodimonte e la sua ricaduta positiva su tutta la città di Napoli, merita un riconoscimento importante come il premio Saxifraga, che nasce in un contesto storicamente creativo, sapiente, attento all’eccellenza, quale quello dell’artigianato napoletano», ha dichiarato Mandredi.
Un’esperienza che manterrà una traccia anche a Chicago, dove ha lavorato Sylvain Bellenger, che vi ha lasciato un grande presepio con lo “scoglio”, l’ambiente naturale dei pastori, con i vari personaggi che si atteggiano, si piegano e si girano secondo l’occorrenza, perché il corpo è di flessibile fil di ferro, a cui sono collegate le gambe, le braccia con le mani espressive e le teste realizzate in terracotta dipinta con cura; le bocche se sono socchiuse possono mostrare i denti e gli occhi sono lucenti pezzi di vetro colorato. È un’opera della tradizione tutta napoletana, che rivela un metodo di lavoro che si può definire artigianale perché attento alle esigenze del reale.
Un caloroso e lunghissimo applauso ha espresso la riconoscenza dei napoletani per il lavoro straordinario di Bellenger, realizzazione di un’idea rivoluzionaria e di una grande dedizione al bene della città e della cultura.
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