La confezione dei libri di Alet non è appariscente. Ma sotto la scorza non “da bancone” si nascondono testi che l’editore padovano sceglie con cura. Fra i primi titoli già si distinguono almeno due gioielli per l’amante dell’arte contemporanea e della letteratura più raffinate.
Un breve testo di Ben Marcus (Chicago, 1967), commissionato da “Parkett” nel 2001, “illustra” una mostra personale di Matthew Ritchie (UK, 1964. Vive a New York), senza che i due si fossero mai incontrati. Nasce The Least You Need to Know About Radio, folgorante racconto incluso nel libro tradotto da Alet. Un anno dopo, la Artspace Books di New York chiede a Marcus di produrre un libro e sceglierne l’illustratore. Nasce così The Father Costume. Pagine che scorrono lente, perché la scrittura di Marcus è poesia in prosa. Intercalate nel testo, fotografie e schizzi di Ritchie invadono le parole, ne sono il complemento esoterico, amplificano la cripticità del testo e, quando questo pare diafano, lo torcono visivamente per suggerire un’interpretazione che ripiomba il lettore nel dubbio. D’altronde, “preferisco un’immagine a un resoconto scritto” (p. 16).
Il secondo testo è realizzato integralmente da Péter Zilahy (ungheria, 1970). Un abbecedario che mima L’ultima FinestraGiraffa, celeberrimo fra i bambini nati dopo il 1971. Ma il lavoro di Zilahy è un sorta di rizomatico diario della fine del socialismo reale nei paesi del socialismo reale (in particolare a Belgrado), completato da fotografie, disegni e immagini di spillette che sprizzano una creatività incontenibile.
Simone Barillari, attuale direttore editoriale, ha definito con precisione chirurgica -ma il compito è arduo- l’obiettivo di Alet: “Coniugare un’attenzione antica per i libri con un’impronta molto moderna”. Ciò è sintetizzato iconicamente dal logo e dal nome dell’editore. Dal latino “nutrirà”, alet in greco è la radice del termine “verità”, inteso heideggerianamente come dis-velamento. Il logo, un anziano alato (il Tempo) che solleva dalle acque (il fiume Lethe) una donna discinta (la Verità), coniuga materiali rinascimentali –lo stampatore è veneziano– con un montaggio postmoderno. Le collane hanno un progetto editoriale ben definito e fanno interagire verità e fiction miscelando linguaggi –“non generi”, specifica Barillari- differenti. L’interazione tra finzione e realtà è biunivoca, per cui se da un lato la prima approfondisce la seconda deformandola, dall’altro la realtà “forza” la fiction. In una frase, “un forte gradiente di realtà espresso con tecniche romanzesche raffinate”. Ma questo interlacciamento non si esaurisce nel testo scritto. Il medesimo rapporto connette ornato e figura, per cui l’iconografia reale diviene ornamento finzionale e viceversa. Un procedimento palese nel lavoro di Marcus e Ritchie, dove anche l’autobiografia subisce un trattamento di oblìo selettivo dal sapore nietzscheano.
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