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pre[ss]view_riviste | Bartleby

di - 17 Aprile 2008
Cominciamo proprio dall’inizio. Perché “Bartleby”? Perché proprio questo Melville? Nel tuo editoriale parli di “performatività indecidibile”…
Direi che la decisione di chiamare la rivista “Bartleby” mi si è quasi imposta automaticamente, visti gli argomenti che avrebbe affrontato e in che modo. M’interessava proprio questa modalità, direi esemplare, del racconto di Melville, ovvero il diaframma indecifrabile interposto fra l’attività e la passività, o forse meglio, ciò che li comprende. Questa impossibilità di non fare attraverso il non fare appunto, fra la teoria e l’atto, fra l’immagine eloquentemente muta e la scrittura mutamente eloquente.

Lo scorso giugno è nata “Combo”, rivista diretta da Giulio Ciavoliello. Dopo una lunga latitanza, nel giro di pochi mesi vedono l’esordio ben due strumenti di approfondimento dedicati al contemporaneo. Cosa significa?
Forse l’attitudine, che ho riscontrato personalmente da parte di tutto un humus, artisti, critici e storici dell’arte, di dotarsi di strumenti critici che mettono in stallo l’idea stessa di strumento critico. Infatti, almeno nella mia intenzione si tratta appunto di cercare di accostarsi a quello stato intermedio che congiunge anacronisticamente (nel senso dato a questa parola dal grande storico dell’arte francese Georges Didi-Huberman) tutte le discipline, facendole come implodere dall’interno, svelando in ogni cosa, in ogni trattazione, in ogni tassonomia quel nucleo d’indistinzione che rimette incessantemente all’indice tutto ciò che si può fare o pensare. Si potrebbe scomodare il concetto sviluppato da Warburg di “sopravvivenza”. Sopravvivenza intesa qui come latenza teorico-figurale che infesta incessantemente tutto ciò che Heidegger chiama es gibt, ovvero il c’è, quello che si mostra.

La vostra è una formula piuttosto inedita. Nel senso che avete un editore, Gli Ori di Prato, e fin qui nulla di strano. Ma il “patrocinatore” è una galleria privata, quella di Enrico Fornello. Com’è nata la collaborazione? E -domanda d’obbligo- non c’è il rischio di un’“influenza” che potrebbe divenire ingombrante?

Devo dire che sia da parte di Enrico Fornello che dall’editore ho avuto da subito la massima comprensione e collaborazione al progetto. La rivista non ha nessun proposito se non quello di offrire un organo di approfondimento teorico su alcune questioni che ci sembrano di una certa pregnanza nel dibattito sull’arte contemporanea e non solo.

Il numero zero è intitolato Untitled e si apre con un intervento di Giulio Paolini. Proseguirete con l’indagine focalizzata su nodi teorici specifici? E perché iniziare proprio con un titolo privo di se stesso?

Era proprio mio intendimento, attraverso l’indagine svolta preliminarmente sul senza titolo, che ovviamente non è né un titolo né un senza titolo, affrontare un singolo “tema” in ogni numero. Mi sembra interessante, in virtù del fatto a cui mi riferivo sopra, di lasciare in qualche modo “programmaticamente” indeterminata ogni singola particella teorica a cui Bartleby si accosta. Suscitare un avvitamento teorico che si faccia carico di quel “quid” che minaccia e preserva simultaneamente quel topos indicibile annidato in ogni traccia che assume, direi quasi in modo tautologico, tutta la problematicità “esemplificata” dal senza titolo, cioè il grado zero caro a Barthes di qualsiasi significato dell’opera e di qualsiasi opera del significato.

Il taglio degli articoli -anzi, dei saggi brevi- contenuti in questa prima uscita è spiccatamente filosofico. Non temete di essere poco fruibili da un pubblico, quello dell’arte contemporanea, che a ben guardare è piuttosto a digiuno di certe modalità di ragionamento?
È indubbiamente una scommessa, ma da tempo avverto da parte di molti una sempre maggiore attenzione ed empatia rispetto a queste implicazioni teoriche. E, visto il riscontro che stiamo ottenendo, crediamo e speriamo di aver in qualche maniera intercettato un bisogno abbastanza reale.

Chiudiamo con le anticipazioni. Su cosa rifletterete nel primo numero, in uscita quest’estate? E quale sarà il parterre dei collaboratori?

Il prossimo numero verterà sull’idea di sguardo senza vista. Attraverso Lacan, Merleau-Ponty e molti altri, tenteremo di affrontare lo snodo legato proprio al concetto di sguardo impossibile. Lo sguardo che guarda prima di ogni vedere, la macchia, il punto cieco dissimulato in ogni esperire visivo che inesorabilmente ci ri-guarda, nostro malgrado. Saremo pronti per la fine dell’estate con diversi commentatori che al momento, come direbbe il nostro eroe, preferirei non rivelare.

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Intervista a Giulio Ciavoliello, direttore di Combo

a cura di marco enrico giacomelli


Bartleby. Rivista d’arte contemporanea
Semestrale, pp. 56, € 12
Colophon: Alessandro Sarri (direttore responsabile), Sara Wunderli (segretaria di redazione)
Info: via del Melograno, 13 – 59100 Prato; tel. +39 0574462719; fax +39 0574471869; info@bartlebyrivista.it; www.bartlebyrivista.it

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