Kid-a non è una rivista. O meglio, la rivista è una delle forme in cui si concretizza un lavoro articolato in circa dodici progetti all’anno, rivolti a ragazzi dagli 11 ai 14 anni, alle loro famiglie e alle scuole medie inferiori. Si spazia nei campi più vari della vita contemporanea, “alimentazione, design, arte, architettura, fumetto, televisione, pubblicità, linguaggi giovanili ecc.”.
Il taglio “comunicativo” dell’agenzia che coordina il progetto è chiaro, ma non invasivo, e lo spiega così Mario Flavio Benini, il direttore creativo: “Le contaminazioni sono fondamentali. Il pay off della testata è “The Network Generation Magazine”. Si rivolge cioè a quella che Castel definisce la “network generation”, una generazione che agisce e costruisce i propri modelli di socializzazione sulla base di network diversi e complementari (territorio e media).” e ancora: “Gli studiosi hanno rilevato che è proprio il mix espressivo a conquistare questa fascia di età. È l’accavallarsi dei canali a interessarli, la possibilità di far “rimbalzare” contenuti, stimoli, creatività dall’online all’offline e viceversa.”
Una posizione chiara, in un mercato “dominato dalla Disney, quindi stagnante”, che potrebbe essere stimolato dalla formula che il direttore sintetizza in pochissime parole: “Poco offline, molto online”.
Il terzo numero, sbarcato nel mondo delle riviste cartacee, è incentrato sulla IX Biennale di Architettura. Il curatore Kurt W. Forster ha selezionato cinque studi presso i quali cinque ragazzi hanno potuto incontrare e “lavorare” con alcune delle più note star dell’ambiente, Federico Soriano a Bilbao, Odile Decq a Parigi, lo studio EMBT a Barcellona, Peter Eisenman a New York e Juan Navarro Baldeweg a Madrid. Come funziona e come crescerà Kid-a ce lo ha spiegato il direttore creativo…
In Italia ci sono molti “uffici didattica” che funzionano assai bene nelle istituzioni sia pubbliche che private, ma spesso hanno fondi insufficienti. Quanto alle riviste, oltre a “Dada” esiste ben poco. Qual è il ruolo di “Kid-a” in questo vuoto culturale?
Con Kid-a cerchiamo di coltivare nei ragazzi quella che potremmo definire “competenza comunicativa”, cioè la capacità dei soggetti di accedere alla dimensione pubblica della comunicazione che è connessa a una partecipazione attiva. Per noi risulta centrale creare un percorso collaborativo sui nostri progetti con i loro tradizionali interlocutori (scuola, famiglia e impresa). Farli riflettere sulle recenti trasformazioni del sistema di socializzazione e sulle forme d’interazione e di comunicazione inaugurate con i nuovi media. I media incidono sui processi di socializzazione dei minori e sulle differenti prospettive educative, suggerendo strategie operative di riqualificazione del rapporto formazione scolastica e giovani.
Come spiegheresti in sintesi il vostro obiettivo?
La nostra mission non può essere considerata intenzionalmente formativa. Le attività di Kid-a possono semmai rappresentare un valore aggiunto alla formazione, poiché sono costruite intenzionalmente per essere vicine agli interessi delle nuove generazioni, sia in termini di linguaggio che di processi d’identificazione e d’interpretazione critica della realtà.
Allora come si caratterizza il passaggio dal web al cartaceo? Aldilà della strepitosa occasione offerta della Biennale di Architettura e della disponibilità che hanno mostrato alcuni fra i maggiori architetti viventi, credi che sia un’esperienza che possa conoscere altri sviluppi? “Solo” in forma di rivista o anche con iniziative come quelle che gravitano intorno al terzo numero di “Kid-a”, con workshop, visite “guidate” ecc.?
Kid-a è nato per essere un progetto multimodale. In quest’ottica, in futuro verranno sviluppati progetti che prenderanno in esame formati, canali comunicativi nonché strumenti distributivi sempre diversi (ad esempio la telefonia o la televisione). Diciamo i più adatti per rendere efficaci e coinvolgenti i percorsi.
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