Bologna. Primi anni ‘90. Un gruppo di amici, ancora studenti all’Università, fondarono una rivista d’arte contemporanea. Erano anni in cui si stava affermando una scena espressiva che si confrontava con i nuovi media (che a quel tempo erano davvero nuovi), la telematica e la realtà virtuale. Bologna in quel periodo era un cantiere in continua sperimentazione. Accanto alla presenza dei centri sociali autogestiti – in cui trovavano ospitalità rassegne o incontri dedicati all’arte elettronica e altre esperienze spesso ritenute marginali rispetto alla scena artistica ufficiale di città come Milano, Roma o Torino – vi erano gallerie attente come Neon, Cristofori e Cavalieri. In quegli anni, per i giovani artisti era quasi un dovere confrontarsi con quello che accadeva a Bologna per ottenere una certa “credibilità” nella scena artistica off e sperimentale.
Stefano Righetti e Alessandro Finelli scelsero così di registrare i cambiamenti in atto e di fondare “La Stanza Rossa”, questo il nome della rivista che rendeva omaggio a un famoso romanzo di August Strindberg, pubblicata dal dicembre del 1991 al 1997 con scadenza bimestrale.
Fin dal primo numero, la rivista fu distribuita nelle edicole delle maggiori città del nord e del centro Italia. Dopo tre anni si decise di distribuirla solo in libreria, scelta che permise di coprire anche altre città e di abbattere i costi, visto che non c’era alcuna forza economica alle spalle. L
a redazione si trovava infatti in una stanza offerta dell’Arci e il direttore responsabile era Mauro Curati. Insieme a Francesco Galluzzi, progettarono una linea editoriale che si caratterizzava come interdisciplinare e che dava spazio ad architettura, cinema, comunicazione, con articoli di giovani ricercatori accanto a testi su o di artisti consolidati come
Piero Gilardi,
Studio Azzurro,
John Cage,
Giuseppe Chiari, gli interventi di Alessandro Bergonzoni e Plinio Perilli e i progetti dei designer
Denis Santachiara e
Alberto Meda.
Dopo il primo anno, oltre all’aspetto interdisciplinare, emerse un particolare interesse verso la relazione tra arte e comunicazione. Sembrava un ambito ricco di suggestioni e di una specificità che al tempo era davvero unica. I testi di riferimento erano quelli provenienti dalla scena cyberpunk, di “Decoder” o di Strano Network, oltre ai libri di Perniola, Pierre Lévy, Jean Baudrillard, Jean-François Lyotard, alle nuove interpretazioni di Deleuze e Guattari, al cinema di
Cronenberg e
Tsukamoto, alle opere d’arte elettronica, primi esempi di quella che poi si sarebbe comunemente chiamata net art.
Sulle pagine della rivista apparvero artisti come
Tommaso Tozzi,
Massimo Contrasto,
Correnti Magnetiche, i
GMM (Giovanotti Mondani Meccanici),
Giacomo Verde,
Simonetta Fadda,
Nello Teodori, che si interrogavano sulle trasformazioni e sui mutamenti sociali che stavano avvenendo nel mediascape. Gli interventi critici, spunti di riflessione sulla “specificità” della pratica artistica, erano di Enrico Ghezzi, Lucy Lippard, Régis Debray, Pier Luigi Capucci, Antonio Caronia, Matthew Fuller, accanto agli interventi di quelli che al tempo erano giovani critici come Matteo Chini e Silvia Grandi, per ricordarne solo alcuni.
Un’esperienza editoriale che si concluse nel 1998 in modo piuttosto improvviso, non per mancanza di vendite, quanto per una sorta di esaurimento dei temi e delle istanze di cui si occupava “La Stanza Rossa”. Le
creative industries come il game design, il web design e più in generale l’
infotainment sembravano aver metabolizzato ogni sperimentazione. Le fiere d’arte presentavano opere di videoarte e di arte interattiva, molti giovani artisti si confrontavano con i nuovi media, vuoi per la disponibilità delle tecnologie vuoi perché tutto questo era diventato una sorta di moda.
I temi e i tempi stavano cambiando: apparvero tra i contenuti degli ultimi numeri della rivista pittori come
Margherita Manzelli,
Giorgio Lupattelli,
Luca Matti, i manga giapponesi, di cui si cercava di compiere una fenomenologia critica, i racconti della “gioventù cannibale”, il cinema porno.
La Stanza Rossa. Trasversalità artistiche e realtà virtuali negli anni Novanta, a cura di Stefano Righetti, Francesco Galluzzi e Alessandro Finelli, è il volume pubblicato da Costa & Nolan e che riunisce una selezione dei testi pubblicati nella rivista. Una raccolta preziosa, che anticipa situazioni e mutamenti che fanno parte del nostro presente, ora che le utopie della Rete sono passate sotto il rullo compressore del liberalismo e della new economy.
Tra quei giovani critici de “La Stanza Rossa” c’eravamo anche noi.