Partire è un po’ morire. Morire è partire un po’, così recita un detto francese, lasciare la propria casa, gli affetti e le abitudini per andare altrove è una scelta talvolta obbligatoria, spesso affascinante ma sempre dolorosa, e il viaggio, come metafora della dicotomia che affligge gli esseri umani lacerati fra la memoria, gli affetti e il desiderio di evasione, è il protagonista di questa ultima affascinante opera dell’olandese Guido Van der Werve. Racconta la leggenda, a cui l’artista si è ispirato per realizzare questo lavoro, secondo la quale, quando il grande compositore polacco Frédéric Chopin morì a Parigi nel 1849, fu seppellito in quella città straniera dove era vissuto e aveva trovato la fama. Ma il suo cuore fu separato dal corpo e portato dalla sorella a Varsavia, in Polonia, nella sua patria natia, dove era simbolicamente rimasto, per essere seppellito nella chiesa della Santa Croce.
Partendo da questa storia decisamente surreale Guido Van der Werve compone, come una partitura musicale divisa in movimenti, il suo ultimo prezioso video Nummer veertien, home in cui, per 57 minuti, l’artista nuota, pedala e corre da Varsavia a Parigi in una sorta di percorso di iniziazione in cui fonde la resistenza fisica dell’atleta di Triathlon con le suggestioni delle memorie del suo vissuto privato.
Da sempre quest’artista olandese raffinato e visionario costruisce nei suoi video degli scenari esistenziali possibili, che ibrida con una realtà immaginaria in cui convergono le geografie di un mondo sospeso fra realtà e immaginazione, riuscendo a creare stranianti sensazioni oniriche passeggere, eppure incredibilmente intense ed emozionanti. L’apparente “non-sense” di alcune azioni che si inseriscono inaspettatamente nella trama del racconto, anziché spezzarlo lo rafforzano coinvolgendo lo spettatore in una spirale di sentimenti struggenti che innescano il riaffiorare di quelle reminiscenze mnemoniche del proprio vissuto più intimo e privato che riescono a toccare le corde nascoste e che fanno vibrare i ricordi sepolti nell’anima.
Van der Werve si è formato come pianista e il suo linguaggio visivo e concettuale è elaborato in maniera diretta, ma allo stesso tempo lirica, come quello musicale. Le struggenti note di un requiem da lui composto sono la colonna sonora e il “fil rouge” che lega in un unicum totalizzante di suono e immagini tutta l’opera. Il fine del viaggio, che l’artista intraprende dopo aver suonato il pianoforte nella chiesa della Santa Croce con la muta e le pinne, è portare una manciata di terra, presa dal suolo della casa nativa di Chopin, sulla tomba del musicista al cimitero del Père Lachaise di Parigi. La musica è suonata e cantata da una serie di cori e orchestre che accompagnano l’artista lungo le varie tappe del viaggio, apparendo inaspettatamente anche in dei luoghi poco consoni come le piccole stanze della casa natale dell’autore a Papendrecht.
Il viaggio, che incomincia nuotando nell’acqua dei canali olandesi, prosegue in bicicletta per le strade di una campagna piatta e uniforme per finire correndo per le tortuose strade in salita di piccoli villaggi francesi, è intervallato, come fossero dei contrappunti musicali, da alcune azioni totalmente surreali, che sottolineano metaforicamente la sofferenza interiore dell’artista, ma con una certa e non dissonante nota ironica, come buttarsi in un fiume con i vestiti in fiamme, far esplodere i vetri delle finestre della sua casa natale o farsi sollevare da una gru verso l’alto dei cieli in un’ascensione pagana e onirica. Ogni tanto le brume nordiche si dissolvono improvvisamente per un cambio repentino di registro visivo per mostrarci la terra brulla della Grecia e dell’Asia e raccontarci la storia di un altro eroe e volontario esule che fu sepolto in terra straniera, Alessandro Magno, il grande conquistatore, figlio di Filippo il Macedone, ma forse invincibile in battaglia perché semi-divino in quanto figlio di Zeus.
Solitudine, sogno, rimpianto, viaggio e note musicali avvolgenti come un mantello su cui far volare le ali dell’immaginazione e dei ricordi sono le caratteristiche della poetica intimista e colta di quest’artista visionario che ha cominciato a realizzare i suoi video nel Duemila, classificandoli cronologicamente dal numero 2 al numero 14. La musica struggente e romantica e la natura assoluta e talvolta ostile, come l’abbagliante biancore gelido del polo nord nel bellissimo video Nummer acht, Everything is going to be alright, presentato, tra altre occasioni, nella sede di Rovereto di Manifesta7, sono le costanti concettuali su cui si muove il lavoro di interprete della realtà, che nella sua opera slitta continuamente dalla concretezza all’immaginazione e dalla possibilità alla surrealtà in un alternarsi di emozioni che ben esprimono la complessità dell’animo umano, costantemente dilaniato dalla trappola duale dell’esistenza terrena.
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