A Santa Fe per giocare. Tra arte e svaghi |

di - 23 Settembre 2016
Se viaggiando per gli Stati Uniti, vi trovaste a passare per Santa Fe, la capitale del New Mexico, non esitate a fermarvi perché non ne rimarrete delusi. Santa Fe, oltre ad essere la più antica tra le capitali federali USA, è per contrasto, una città giovane e ancora non troppo cara, a misura d’uomo, culturalmente vivace e circondata da una natura intatta. Santa Fe è anche un centro di arte contemporanea di alto livello, ed in questi anni in cui la costa est sembra perdere colpi a vantaggio di quella ovest con Los Angeles in testa, questa città del sud ovest si sta imponendo grazie alla qualità dei suoi musei e delle sue numerose gallerie.
A conferma di ciò, dopo una lunga attesa ha aperto i battenti da pochi mesi, in una zona chiamata LSD, Lower Siler District, il Meow Wolf (pronuncia Miao Wolf): un centro di elaborazione artistica nato da un collettivo di 150 artisti noti per le loro installazioni interattive che si è riunito nel 2008 in società per la produzione di un nuova forma di arte.  Grazie al cofondatore e Ceo Vince Kadlubek, che per primo propose di comprare un vecchio bowling abbandonato, e a George R.R. Martin, autore e coproduttore tra l’altro della serie televisiva Games of Thrones, che lo ha finanziato, il Meow Wolf ha preso vita come centro dove sono di casa e si intrecciano arte e svago.
Questo ampio complesso, difficile chiamarlo museo, si estende su due acri e mezzo ed offre oltre ad uno spazio espositivo di 2000 mq su vari livelli, studi per artisti, un gift shop, alcune gallerie per gli artisti residenti, più laboratori a disposizione di artisti e visitatori con dotazioni tecnologicamente avanzate, come 3-D printer, CNC Routers, frese Laser e dove è possibile seguire corsi di digital mapping e neon-making. Tutte queste attività sono gestite da Chimera, un’organizzazione no-profit nell’ambito del Meow Wolf Education Program.
L’ingresso alla mostra permanente, “House of Eternal Return”, ($18)  ed il gift shop, servono a finanziare l’intero Progetto. Un volta entrato il visitatore si trova immerso in una esperienza estraniante di continue sorprese. Definito un lavoro rococò, massimalista, psichedelico, questo spazio risente fortemente del City Museum di St. Louis (Missouri) e del Burning Man, il festival che ogni anno si tiene nel deserto Black Rock del Nevada. Ogni artista qui ha lavorato individualmente o in piccoli gruppi mantenendo la propria visione creativa.
Ed eccoci dentro la “House of Eternal Return”. Lasciandosi alle spalle la hall si diventa protagonisti di una vera e propria storia che si svolge in una casa Vittoriana di due piani abitata dalla famiglia Selig. Vi ritroverete nel giardino di questa beach house a Mendocino in California. È una tranquilla notte di luna piena e se entrerete nella casa capirete subito che qualcosa deve essere successo, i Selig sono scomparsi. Si entra nella loro intimità con quel vago senso di disagio che si ha in questi casi, ed è sempre più chiaro che l’intera famiglia ha dovuto lasciare la casa improvvisamente senza aver il tempo di prendere le cose a loro più care. Vediamo libri aperti accanto al divano, cibo pronto in cucina, televisore acceso, letti sfatti… Poi scopriamo che attraverso inaspettati passaggi, il frigorifero, il camino, il bagno, entriamo in altri mondi, in altri tempi, reali ed irreali. Sono 70 gli spazi interconnessi tra loro che vi porteranno dal tetto della casa al sottosuolo.
Vi ritroverete per esempio in una casa su un albero o in un piccolo old west ranch alimentato dal movimento di criceti indefessi, in grotte luminescenti ed in un corridoio del tempo con uno scheletro di mammut fosforescente. Ogni visitatore sceglierà il suo percorso, camminerà, si arrampicherà o si calerà in profondità, ed ognuno vivrà le proprie esperienze e sensazioni in questo mondo fantastico realizzato con strumenti artistici sofisticati ed all’avanguardia. Musica ed effetti luminosi accompagneranno questo vostro viaggio al termine del quale avrete bisogno di un po’ di tempo per riaffrontare la realtà che vi aspetta fuori da lì.
Una volta ripresi, ripensando a quello che avete visto, vi verranno in mente le installazioni di Ed Kienholz e Iliya Kabakov, ma «la House of Eternal Return ha la capacità –  afferma Jon Carver del The Magazine –  di combinare le installazioni con lo storytelling, amplificandone le originali capacità, creando un testo che può essere letto e reinterpretato all’infinito».
Pierluigi Sacconi
@https://twitter.com/pilus

Giornalista pubblicista dal 2004. Vive in Italia, Svizzera e Stati Uniti.

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