Alberto DI Fabio. CosmicaMente

di - 3 Gennaio 2016
Praticare la pittura attraverso la lente della scienza filtrata da una spiritualità che trascende il dogma religioso è l’aspetto più affascinante dell’opera di Alberto Di Fabio. Questo pittore abruzzese classe 1966, che dipinge i profili delle montagne della sua terra come simbolici strumenti iconografici per raggiungere un’elevazione interiore, si è formato da bravo nomade contemporaneo, fra Roma, Parigi, New York e, dalla fine degli anni Novanta, di nuovo Roma con le sue gloriose vestigia e le sue infinite contraddizioni. Il suo esordio artistico fra la fine degli anni Ottanta e i primi anni Novanta, nonostante ancora si glorificasse una pittura figurativa, barocca, colorata e molto lontana dalle sperimentazioni concettuali, è avvenuto al di fuori da quelle correnti e da quei gruppi: Fin da subito la sua è stata una ricerca diversa e personalissima che, dal macrocosmo, lo ha portato verso un’analisi sorprendentemente creativa del microcosmo.
Una ricerca attenta e ossessiva quella di Di Fabio per la raffigurazione di neuroni, sinapsi e cellule che creano inedite superfici dai colori vibranti, che ci restituiscono la prodigiosa armonia della natura, resa con una tecnica sofisticata, minuziosa ed esteticamente appagante che negli anni ha generato una personalissima e riconoscibilissima cosmografia visiva. Il suo è un fortunato sconfinamento nel regno della matematica e dell’apparente razionalità che lo hanno portato nella primavera del 2014 a tenere una conferenza in quel tempio della Scienza che è il CERN (Centro Europeo Ricerca Nucleare) di Ginevra. Dice Alberto a questo proposito: «Prima di entrare al CERN avevo talmente tanta paura di parlare della mia arte davanti ad una platea di scienziati, astrofisici e matematici che ho sentito il bisogno di telefonare a mia madre per farmi coraggio. Dopo due ore e mezzo di conferenza, uno di questi professori, un matematico che veniva da Princetown, mi ha ringraziato dicendomi che loro, gli scienziati, lavorano quasi esclusivamente con la parte del cervello della razionalità, mentre la formula di Dio è certamente una sintesi, un equilibrio delle due parti quella creativa e quella razionale».

Il sogno di Alberto Di Fabio è, come quello di tutti gli scienziati che studiano i misteri del cosmo, poter parlare con Dio, poter vedere l’antimateria, un mistero difficile da penetrare perché la razionalità scientifica talvolta non permette di volare con l’immaginazione e forse nella scienza, nella sua perfezione c’è una parte irrazionale e misteriosa che è quella forse più affascinante e che l’arte di Di Fabio cerca di afferrare sulle ali del sogno. Dice ancora Alberto a proposito della sua conferenza al Cern: «Tutte le cose di cui io avevo parlato facevano parte della dimensione della fantasia, della creatività e di Dio, ovviamente in termini di ricerca spirituale attraverso la pratica artistica, e quella platea di studiosi si è rivelata interessatissima a questo aspetto non dogmatico, irrazionale a apparentemente più libero del cervello umano. Ecco perché noi artisti, che siamo dotati di una particolare sensibilità, e che quindi siamo come delle antenne che percepiscono e registrano il battito costante del pianeta, dobbiamo sviluppare la pratica creativa che è una forma di spiritualità e una comunicazione privilegiata con l’Assoluto».
La mostra allestita nel padiglione A del Macro Testaccio (fino al 10 gennaio) presenta  all’inizio del percorso espositivo delle opere che l’artista definisce “molto matematiche” perché si riferiscono al Big Ben, alle ricerche di astrofisica coordinate da Fabiola Giannotti al CERN, alla divisione cellulare e alla formazione dei minerali. Come dice Di Fabio, «la chiave di ferro che usiamo oggi, sei miliardi di anni fa era una nuvola di gas, quindi c’è stata un’aggregazione di particelle che si sono disposte in maniera perfettamente intelligente per poter creare gli elementi, ma è anche importante la variabile x dell’indeterminazione».

In un lavoro «modulato dal regolare sviluppo seriale di un gesto pittorico», commenta Pier Paolo Pancotto, che il 12 dicembre scorso ha curato una giornata dedicata all’artista presso l’Ambasciata italiana a Parigi, essere riuscito ad assimilare quella “variabile x” che è il senso dell’imprevedibile e del casuale è la grande lezione che Alberto da giovane impara dai suoi due maestri e mentori Cy Twombly e Alighiero Boetti e che ricorre nel suo lavoro apparentemente organizzato e preciso. “L’elan vital” irrazionale e antidogmatico che sta alla base del suo gesto pittorico si coglie in pieno nel wall drawing che interrompe la prima serie di opere in mostra, sono catene montuose che colano una nell’altra in un apparente perfetto incastro di gesti dove in realtà sono il caso e l’azzardo a svolgere la parte del leone e l’arcano è svelato nel video che riprende l’artista nel momento della creazione. A fine percorso un secondo video elaborato dalla Pixar, con le immagini iconiche delle opere in mostra, avvolge lo spettatore che è trasportato in un viaggio spaziale decisamente psichedelico.
Questa personale così densa di suggestioni cromatiche e formali è «come la rappresentazione di un cielo astronomico…ma in cui è insito il sogno di ritornare a essere atomo per poter finalmente vedere il Dio quantico e i quadri sono spazi mentali attraverso cui poter virtualmente entrare nel buco nero dell’infinito », secondo le parole di Di Fabio.  Che poi ritorna sull’esperienza al CERN: «Dove ho appreso che noi, nel nostro attuale stadio di ominidi progrediti, conosciamo solo il 4 per cento di quello che esiste. L’homo sapiens è ancora allo stadio di un animaletto e infatti vede ed esperisce solo le cose pratiche e materiali, mentre ci sono dei portali che ancora non riusciamo a percepire, ma che ci potrebbero far entrare in dimensioni più evolute. Questa mostra è quindi una porta aperta verso le realtà parallele e quello che desidero è che queste mie opere creino nei visitatori un cinetismo sensoriale che li possa condurre ad un’elevazione dello spirito e della mente».

Paola Ugolini

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