Ad agosto Giuliano Gori ha compiuto 90 anni, e la sua Fattoria di Celle ne ha fatti 38. Due storie parallele: una, quella dell’uomo, che, curioso d’arte fin da giovane, ad un certo punto della sua vita, pur mandando avanti con profitto insieme alla moglie Pina un’azienda di tessuti fino a farla diventare leader in Italia, si inventa quella che è la più luminosa collezione privata d’Arte Ambientale che conosciamo, trasformando una villa seicentesca sulle colline pistoiesi, con relativo parco romantico, in uno straordinario parco romantico contemporaneo. L’altra, quella della fattoria di Celle, è quanto ho appena detto. Perché sì, come dimostrano anche queste righe (e giuro che non avevo affatto previsto di scriverle così) le due cose non sono scindibili. Uno racconta l’altra e viceversa. Una non potrebbe esistere senza l’altro e viceversa.
Della fattoria di Celle si è detto e scritto tante volte (me compresa), non sto quindi a ripetere le grandi opere e installazioni che ospita (80 all’aperto più un’altra manciata al chiuso, tanto per rinfrescare la memoria), tra cui degli incredibili Morris, Serra, Staccioli, Buren, Karavan, Burri, Melotti, Oldenburg, Kiefer e così via annoverando capolavori. Anche di Giuliano Gori si è detto e scritto parecchio, ma i suoi 90 anni meritano una menzione ulteriore. Anzitutto perché portati in maniera eccellente, con lucidità e curiosità ancora del mondo, soprattutto dell’arte, poi perché è bisnonno felice di sei marmocchi che si avviano a diventare amici e sostenitori dell’arte come hanno da lui imparato a fare prima i quattro figli e poi i dodici nipoti e poi perché per festeggiarsi, accanto al titolo di membro onorario che gli ha conferito l’Accademia Albertina di Torino, con la sua presidente, Paola Gribaudo, scesa in Toscana per consegnare nelle mani di Gori la preziosa onorificenza, lui un regalo se l’è fatto da solo.
L’ultima creatura di Celle non è una nuova installazione, ma un premio di poesia: Celle Arte Natura, proseguo naturale della Serra dei poeti, questa sì, ultima installazione fiorita su una porzione di prato dopo che una tromba d’aria nel 2016 sradicò molti alberi di Celle. A quell’evento naturale la famiglia Gori reagì chiamando un paesaggista-musicista, Andrea Mati, e lo scrittore Sandro Veronesi, architetto di formazione, per ripiantare trenta cipressi che conducono alla Serra, pensata da Veronesi sulla falsariga di un mito ingegneristico del secolo scorso e che soprattutto vuole essere espressione plastica del concetto fisico di “resistenza per forma”. Ogni cipresso è dedicato a un poeta italiano mentre la Serra ospita un semenzaio con le essenze più care ai poeti presenti.
Bene, due anni dopo, con un leggero ritardo causato dal Covid, ma giusto in tempo per celebrare a dovere i 90 del patriarca, nasce Celle Arte Natura. Premio biennale di poesia che si traduce in un prezioso libriccino, che fa seguito al soggiorno del poeta a Celle. Così come hanno fatto tutti gli artisti presenti nella collezione, invitati da Gori per conoscere il luogo, dialogare con la sua morfologia, osservare le tonalità della luce e del verde e da tutto questo modulare il proprio progetto, imparando anzitutto che “le ragioni dell’arte finiscono quando iniziano quelle della natura” (questo il motto di Giuliano), anche i poeti sono chiamati a soggiornare a Celle. Trovando anche loro ispirazione da questo luogo magico e – come dire? – allacciando una continuità ideale tra esso e la propria poesia.
Così ha fatto Antonella Anedda, prima poetessa insignita del premio e prima quindi a pubblicare il prezioso libriccino.
Per chi conosce la poesia, quello di Antonella Anedda è un nome noto e acclamato per l’asciuttezza dei suoi versi, per la capacità di mettersi un passo indietro rispetto alla poesia, evitando con rigore ed eleganza il protagonismo, ma anche quella certa enfasi romantica che ancora accompagna la figura e l’operato di alcuni poeti. Qualità che Giuliano Gori, insieme alla giuria composta dagli stessi Veronesi e Mati accanto a Stefania Gori (l’ultima figlia di Giuliano) Antonio Franchini e Antonio Riccardi non ha esitato a riconoscere.
E quindi, domenica 20 settembre, nella cornice del riuscitissimo anfiteatro disegnato da Beverly Pepper, Antonella Anedda ha ricevuto il premio. Che non è uno sfizio o l’ennesima testimonianza di una passione di Giuliano Gori ma esprime la capacità di pensare l’arte visiva in stretto dialogo con altre espressioni artistiche.
Penso che oggi sia questa la sfida più importante che l’arte abbia davanti se vuole mantenere (o, meglio, riconquistare) autorevolezza: mettersi in gioco con qualcos’altro, altri linguaggi, altri saperi. Perché quello di cui c’è più bisogno oggi è un cambio di paradigma, un modo diverso di pensare e di guardare al mondo, essendo ormai chiaro che gli strumenti interpretativi con cui anche l’arte è andata avanti finora non sono più sufficienti. Giuliano Gori, che ha realizzato una straordinaria realtà artistica, sa e ha capito che è l’ora che l’arte visiva dialoghi con altro. Speriamo che non sia necessario aspettare 90 anni per capirlo tutti.
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Evviva l'arte evviva la poesia. Una giornata intensa e veramente ben narrata, che ci ha permesso di partecipare al I°premio della poesia.