All’alba del Moderno

di - 6 Marzo 2017
L’obiettivo? Raccontare tutto in una volta, e forse mai così dettagliatamente, quanto successo nell’Italia dell’arte durante l’Ottocento.
E così a Brescia, a Palazzo Martinengo Cesaresco, la grande mostra “Da Hayez a Boldini. Anime e volti della pittura italiana dell’Ottocento” (fino all’11 giugno) racconta un secolo d’arte italiana, spesso ingiustamente trascurato poiché cronologicamente compresso dalle grandi correnti coeve manifestatesi oltralpe, e le sensazionali conquiste novecentesche tese alla messa in discussione della forma e alla dissacrazione dei contenuti.
Nessun indugio: il percorso espositivo, articolato in una decina di sale per un totale di 101 opere, cala subito uno dei suoi assi nella manica e si apre allo spettatore con una versione di Amore e Psiche in posizione astante di Antonio Canova. Direttamente dalla casa-museo di Possagno, cittadina ove il Canova nacque e inizialmente si formò, il gesso costituisce il modello per la realizzazione della due celeberrime versioni marmoree conservate al Louvre di Parigi e all’Ermitage di San Pietroburgo, e raffigura Psiche nell’atto di posare una farfalla sul palmo della mano di Amore, mentre tutt’attorno la prima sala della mostra è punteggiata dalle tele del neoclassico Andrea Appiani, pittore prediletto da Napoleone, e da un quadro del Canova che, in una inconsueta veste di pittore, raffigura Le tre Grazie.
Dalle passioni sublimate in forme perfette del Neoclassicismo, si passa al fervore e al pathos dell’epoca romantica con Francesco Hayez – esponente di punta del Romanticismo di marca italiana – presente con le tre enormi tele Maria Stuarda sale al patibolo, Vergine Addolorata e il Ritratto del principe Barbiano di Belgioioso che sono ciascuno l’esempio dei tre ambiti entro cui si mosse la pittura del loro autore: la ritrattistica, la pittura di soggetto sacro e quella di ambito storico-medievale.
Seguono testimonianze di altri autori romantici di certa qualità seppur di minor fama, come Giuseppe Molteni, Giovanni Carnovali detto il Piccio, o Carlo Arienti – che lungo il percorso espositivo al pari di quanto accaduto nella storia dell’arte – fungono da trait-d’union con quel fenomeno esclusivamente italiano, o meglio milanese, che fu la Scapigliatura lombarda. Alfieri di quest’ultima sono Tranquillo Cremona e Daniele Ranzoni coi loro celeberrimi ritratti femminili ma non solo (di Cremona si trova esposto anche il ritratto del gallerista e mercante Vittore Grubicy de Dragon) ottenuti per mezzo della nota pennellata fumosa ed evanescente che tanto ricorda gli esiti impressionisti perseguiti contemporaneamente in Francia. Sempre alla Scapigliatura è ascrivibile la scultura bronzea Beethoven di Giuseppe Grandi, che chiude il capitolo lombardo e introduce a quello di un’altra nota scuola regionale: i Macchiaioli toscani. Dominano, nella sezione a loro dedicata, numerose tele di Giovanni Fattori, Silvestro Lega e Telemaco Signorini raffiguranti soggetti celeberrimi come i militari a cavallo o scorci e vita quotidiana della Toscana a loro contemporanea.
Salendo al piano superiore si prosegue con la sezione dedicata agli orientalismi in cui le opere di artisti come Ippolito Caffi, Roberto Fontana o Pompeo Mariani raccontano il fascino esercitato da luoghi lontani come il Sahara, la Persia, Costantinopoli o il Cairo; mentre nella sala dedicata alla “Pittura della Realtà” colpiscono per il loro grande valore storico-documentaristico due vedute bresciane di Piazza Loggia del bresciano Angelo Inganni. Osservata da prospettive opposte, la Loggia bresciana è infatti rappresentata secondo le fattezze dettate dal progetto del Vanvitelli, ben prima quindi dell’apposizione dell’attuale copertura in piombo realizzata nel 1914. Sempre di Inganni è inoltre il notturno Donna che prepara lo spiedo davanti al focolare, dipinto alla maniera fiamminga con la luce che irradia la composizione dall’interno.
Impossibile parlare di Ottocento italiano senza guardare alla grande stagione del Divisionismo. In mostra i lavori dei caposcuola del movimento che seppe aggiornare le novità impressioniste provenienti da oltralpe: da Giovanni Segantini con i capolavori L’ora mesta e Alpe di maggio, sino alle grandi tele-manifesto di Angelo Morbelli, Gaetano Previati e Giuseppe Pellizza da Volpedo.
A chiudere questo incredibile racconto storico per immagini sono le opere dei maestri tardo-ottocenteschi italiani che vissero a Parigi e, cogliendone il clima di novità e lo spirito avanguardistico, seppero anticipare alcuni tratti della modernità che poi fu novecentesca. Tra questi spiccano i ritratti dell’aristocrazia femminile eseguiti da Giovanni Boldini, di cui il titolo della mostra dà subito notizia della presenza, come quello eseguito per la Baronessa Malvina-Marie Vitta o il Ritratto della principessa Radziwill scelto come immagine di copertina del ricco catalogo.
Bianca Martinelli

Giornalista pubblicista iscritta all’albo, lavora nel mondo dell’editoria e della comunicazione come autrice, content editor e addetta stampa. Collabora con riviste e quotidiani, occupandosi dei settori: mostre e arti visive, moda e mercato dell’arte.

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