Andy Warhol, il re media

di - 17 Luglio 2012

Forse è l’inconscio desiderio di fermare l’attimo nella voracità della corsa contro il tempo, a dare a Andy Warhol (Pittsburgh 1928-New York 1987) una ragione in più per fare arte attingendo alla notizia: il dramma, il gossip, l’evento. Certo è che per “il principe della Pop Art che trasformò una scatoletta di zuppa in un tesoro da museo” (come leggiamo sulla prima pagina del 23 febbraio 1987, in cui viene annunciata la morte dell’artista all’età di 58 anni, in seguito ad un intervento alla cistifellea) si trattava di attrazione/ossessione per tutto ciò che è news/notizia.

Tanto per cominciare era un grande collezionista: amava raccogliere qualsiasi cosa, dagli oggetti preziosi a quelli quotidianamente banali. Una collezione, la sua, che contemplava anche le scatole di cartone piene di quotidiani, lettere, ricevute, scontrini, appunti, fotografie, dischi… Delle sue Time capsules – come le chiamava – se ne contano 612, tuttora in corso di catalogazione all’Andy Warhol Museum di Pittsburgh. Una di queste, la numero 170 (maggio 1976-dicembre 1977) con il suo contenuto di quotidiani impilati l’uno sull’altro e leggermente ingialliti dal tempo – c’è il New York Times, il New York Post, il Daily News… – è esposta alla Gnam-Galleria Nazionale d’Arte Moderna, in occasione della tappa italiana di Warhol. Headlines (fino al 9 settembre). Giunge, quindi, al suo terzo appuntamento la mostra curata da Molly Donovan e sostenuta dalla Terra Foundation, dopo l’esposizione alla National Gallery di Washington, al Museum für Moderne Kunst di Francoforte e prima di quello finale a Pittsburgh (14 ottobre 2012-6 gennaio 2013).

Una chiave d’accesso determinante per una personalità complessa come quella di Warhol, che già negli anni Cinquanta – dopo aver conseguito la laurea in Pictorial Design, nel 1949, al Carnegie Tech si era trasferito a New York per lavorare in campo pubblicitario – aveva cominciato a dar forma alle sue idee. L’intuizione è lì, in quella prima pagina del The Princton Leader del 1956 ca. (considerato il suo primo “headline work”, nonché l’unica testata di provincia che abbia mai usato), in cui disegnando e scrivendo con la penna sfera su carta riproduce (interpretandola liberamente) la prima pagina del giornale del 23 agosto 1956. L’opera e la fonte sono accanto e dialogano costantemente: questo è anche il criterio su cui è costruita la mostra stessa.

In Pirets Sieze Ship (1961) la matita traccia il volto sorridente della ventitreenne Vivian Grant, morta in uno studio medico per un aborto illegale. Accanto a lei, sulla destra, il presidente Kennedy si porta la mano alla fronte: dietro di lui un angolo di bandiera stelle e strisce, in primo piano il telefono di bachelite esattamente come si vede nella foto del Daily News del 24 gennaio 1961, corredata dalla scritta “A tough day?”. Volti altrettanto noti quelli della principessa Margaret, Liz Taylor, Jackie e John Kennedy… fino a Madonna, musa ispiratrice di molti lavori realizzati a quattro mani con Keith Haring, amico e “figlio” della Factory al pari di Basquiat, di cui sono presenti in mostra le tele Plug Pulled on Coma Mom (1984-85) e Ailing Ali in fight of life (1984), firmate da Jean-Michel Basquiat e Andy Warhol.

«I racconti creati dai media descrivono nei particolari gli alti e i bassi dei divi creati dai media, e benché Warhol possa sembrare complice di questa frenesia, di fatto spesso la interrompe» – scrive Molly Donovan nell’esaustivo catalogo pubblicato da Electa – «In primo luogo, astraendo alcune storie dal loro contesto originale e trasformandole in opere d’arte, mandava in corto circuito la narrazione e ne inventava una alternativa. Inoltre, selezionando ripetutamente eventi simili tra loro, metteva in risalto il fatto che le notizie fossero riciclate, una combinazione di modifiche superficiali e infinita ripetitività di fondo tipica dei prodotti commerciali. In breve, l’artista richiamava l’attenzione sul fatto che le notizie fossero merci e noi consumatori».

In questa poetica del consumo di massa, che contempla l’uso di media diversi (dipinto, disegno, serigrafia, fotografia, video), ha un ruolo determinante un’opera italiana: Fate presto (1981). Reiterata per tre volte, su altrettanti pannelli, la prima pagina del quotidiano Il Mattino del 23 novembre 1980, che urlava la necessità di sbrigarsi a portare gli aiuti ai terremotati della Campania e dell’Irpinia. Si tratta di un’opera commissionata da Lucio Amelio per il progetto “Terrae Motus”, che aveva coinvolto anche altri artisti internazionali tra cui Beyus, fotografato insieme all’artista americano in una rivista del tempo.

Warhol stringe la mano anche a Wojtyla, in un altro ritaglio di giornale esposto in una teca che conserva alcuni cataloghi e documenti dell’archivio bioiconografico della Gnam. Fa parte delle collezioni del museo romano Hammer and Sickle (1977), la “natura morta politica” dipinta a polimeri sintetici e serigrafia su tela. Un altro corto circuito: in questo caso, però, l’icona (falce e martello) parla da sé.

Nata a Roma nel 1966, è storica e critica d’arte, giornalista e curatrice indipendente. Con Postcart ha pubblicato A tu per tu con i grandi fotografi - Vol. I (2011), A tu per tu con i grandi fotografi e videoartisti - Vol. II (2012); A tu per tu con gli artisti che usano la fotografia - Vol. III (2013); A tu per tu – Fotografi a confronto – Vol. IV (2017); Cake. La cultura del dessert tra tradizione Araba e Occidente (2013), progetto a sostegno di Bait al Karama Women Center, Nablus (Palestina). E’ autrice anche Taccuino Sannita. Ricette molisane degli anni Venti (ali&no, 2015) e Isernia. L’altra memoria – Dall’archivio privato della famiglia De Leonardis alla Biblioteca comunale “Michele Romano” (Volturnia, 2017).

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