L’archeologia della materia di Caterina Morigi, nelle vetrine di NEUTRO

di - 20 Aprile 2021

Nato nel settembre 2020 dall’iniziativa di un gruppo composto da Andrea Da Villa, Matteo Messori e Silvia Lomi, NEUTRO è uno spazio in controtendenza e con una mission ben chiara: sostenere l’arte italiana e i progetti degli artisti dello Stivale. Un format espositivo molto snello, composto da una serie di bacheche, sei per la precisione, concesse da una succursale della BNL situata in pieno centro a Reggio Emilia, nella galleria commerciale che collega via Emilia Santo Stefano a Piazza Prampolini.

«Neutri ma non neutrali», come ci tiene a sottolineare Da Villa, che ci ha parlato del processo che porta agli allestimenti con una iniziale discussione sui progetti più adatti alla particolarità dello spazio, coinvolgendo gli artisti che propongono progetti e allestimenti ad hoc, cui segue la realizzazione di una pubblicazione in edizione limitata con eventuali testi critici.

Dopo i The Cool Couple, che hanno inaugurato le danze, è stato il turno di Renato D’Agostin, mentre attualmente è in esposizione la mostra di Caterina Morigi, “Archeologia della materia”, che con il suo allestimento nelle vetrine di NEUTRO ha creato un “cortocircuito”, portando uno scorcio di museo archeologico in un contesto altro, grazie a una serie di pietre e relative copie in porcellana realizzate con i maestri di Capodimonte. Abbiamo raggiunto Morigi (Ravenna, 1991), per farci raccontare più approfonditamente la mostra.

La relazione tra micro e macro: intervista a Caterina Morigi

Ti sei avvalsa della ceramica e la sua “imprevedibilità” che in qualche modo ha generato una serie di errori. Il glitch in special modo nel contemporaneo ha acquisito una grande valenza poetica negli ultimi anni. Considerato che hai lavorato e spesso lavori con le pietre, mi piacerebbe sapere se c’è stata una progettazione a monte nel volerne utilizzare alcune come modelli per delle copie o il processo è affiorato naturalmente dopo aver raccolto un certo numero di esemplari?

«La pietra nella mia ricerca ha un valore particolare, è ciò che ho scelto come soggetto delle mie opere, in rappresentanza della natura stessa. Il marmo e i sassi su cui mi concentro hanno appunto una texture “naturale”. Dalla loro immagine affiora la spontaneità delle loro forme, nelle texture e nei corpi lapidei di questi oggetti si legge una storia intrinseca, della loro formazione geologica, e una storia portata, di tutti gli urti e delle aggiunte che il tempo vi ha impresso. Le pietre che ho scelto per essere ritratte dai maestri ceramisti della Real Fabbrica di Capodimonte fanno parte di una mia collezione personale, le ho scelte per un valore estetico particolare e non economico, per poi essere rappresentate con una tecnica preziosa».

Di contro abbiamo un allestimento molto pulito e per certi versi quasi “archivistico”, tanto che al passante distratto potrà sembrare di osservare le teche di un museo archeologico. Quanto è stato importante uno spazio così caratterizzato per il tuo lavoro da NEUTRO?

«Ho volutamente proposto un allestimento che rimanda alle teche dei musei archeologici o delle contemporanee azioni architettoniche che trasformano stazioni o luoghi di passaggio in esposizioni di manufatti e reperti trovati in loco. Lo spazio di NEUTRO è secondo me molto caratterizzato – non è un white cube – l’imparzialità risiede invece nell’organizzazione che non impone una visione curatoriale, ma lascia un’ampia libertà all’artista per l’allestimento. Ho invece potuto chiedere per la pubblicazione un testo a un critico il cui pensiero sento a me molto affine».

Particolarmente interessante è la pubblicazione in tiratura limitatissima (con testo di Mauro Zanchi) di alcuni dettagli dei sassi e le rispettive copie ingranditi al microscopio che generano quasi dei “paesaggi minerali”.  Ti sei avvalsa dell’aiuto di addetti ai lavori per eseguire gli ingrandimenti, ad esempio geologi?

«La relazione tra micro e macro della materia è un elemento da sempre presente nella mia ricerca, ho esplorato questo aspetto attraverso la fotografia e l’installazione, ad esempio in All’eternar le opere, prodotto a Venezia nel 2016, rivelo, attraverso piccoli frammenti di roccia, il processo di deterioramento accelerato che avviene nell’intero clima lagunare. Qui l’opera lavora come una sineddoche (il tutto per la parte, la parte per il tutto), lo sguardo si concentra su un dettaglio, così improvvisamente il sasso sta per il paesaggio e la geografia viene ritrovata nella singola scheggia di marmo.

Collaboro normalmente con laboratori di ricerca scientifica, Istituti Universitari, archivi, come sta accadendo ora con i ricercatori dell’Ospedale ortopedico Rizzoli in ambito Biomedico, per il progetto che sto realizzando in studio a Bologna. Nel caso della pubblicazione di NEUTRO la strumentazione usata per le immagini a microscopio è mia, ho effettuato personalmente le fotografie, nel costruire il prodotto editoriale che sta accanto alla una mostra, quello che normalmente è un catalogo con le classiche installation view, ho invece pensato a uno sguardo più ravvicinato, talmente tanto da rendere irriconoscibili gli oggetti ritratti, ma si tratta pur sempre un’immagine fotografica di questi, seppur invisibile ad occhio nudo».

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