In quale modo è strutturato l’evento? E lo staff?
Sia la prima edizione che la seconda seguono una struttura apparentemente classica: tre giorni, un weekend, un luogo concentrato, un certo numero di sale. A marcare la differenza, quest’anno, è per esempio il numero di ospiti e incontri: una densità impressionante, incontri che avvengono in contemporanea in sale quasi contigue, nello spazio intimo e industriale della ex Manifattura Tabacchi di Cagliari, uno spazio che è come un giardino, un set, una galleria di produzione. Lo staff, a parte i due direttori artistici, che siamo io e Stefano Boeri, comprende la direttrice organizzativa, che è il vero motore mobile del festival, Chiara Stangalino, e un gruppo di bravissimi professionisti che nominare a casaccio sarebbe ingeneroso. Una menzione speciale va all’Università di Cagliari, che è la colonna di Festarch anche da un punto di vista istituzionale, nelle persone di Carlo Aymerich, il rettore, e Antonello Sanna, il preside della Facoltà di architettura. Tecnicamente, Festarch è organizzato dall’Associazione Amici del Festival, che ha base a Torino e che fra poco si trasformerà in Toolbox, un’associazione culturale votata alla produzione di conoscenza in pubblico. Come si può facilmente intuire dalla lunga e complicata sequenza di attori e sponde, si tratta di un felice, difficile, interessante parto pluri-genitoriale: da Milano, città di Boeri, a Torino, per arrivare a Cagliari.
Qualche dato tecnico: budget, sponsor e target.
Lo sponsor unico è la Regione Sardegna, in particolare l’Assessorato al Turismo, nella persona dell’Assessore Luisanna Depau. Il budget si aggira intorno al mezzo milione di euro. Target è una parola che preferirei non usare. Festarch è una manifestazione aperta, democratica e gratuita. Architetti, appassionati, persone curiose, di qualunque età, estrazione o provenienza, sono l’obiettivo ideale e reale dei tre giorni di Cagliari. Ma soprattutto, direi, persone curiose. L’anno scorso, di persone curiose di Festarch, ne sono arrivate circa 35mila.
Un festival d’architettura contemporanea in una terra come la Sardegna, tendenzialmente conservatrice della tradizione. Perché?
Perché la Sardegna, una certa Sardegna almeno, incarna mirabilmente il futuro sognato dalla parte migliore di questo Paese. L’Italia attraversa un momento difficile, per tante ragioni. La Sardegna, anche per l’architettura, rappresenta un’eccezione che insieme è una via d’uscita e un rebus da risolvere, come tutte le occasioni interessanti di intervento politico, culturale e anche architettonico.
Quali le novità introdotte rispetto alla scorsa edizione?
Centocinquanta ospiti. Una densità di appuntamenti raddoppiata o forse triplicata. Una maggiore attenzione all’architettura under 50. E Minifestarch, una sezione del festival interamente dedicata a giovanissimi, ragazzi e bambini.
Puntate a introdurre Festarch in ambito internazionale. Come intendete farlo?
Lo è già, da quest’anno. La partnership con la Serpentine Gallery di Londra e con lo Storefront for Art and Architecture di New York sono prova tangibile della qualità e della vocazione internazionale di Festarch.
Museo Betile e necropoli di Tuvixeddu. Avente intenzione di scandagliare le problematiche di questi importanti quanto travagliati progetti?
Non ci sono incontri specificamente dedicati a illustrare questi progetti, ma se ci sarà occasione se ne parlerà di sicuro.
La Manifattura Tabacchi, uno spazio sfruttato solo in occasione del festival. A che punto è il progetto di trasformarla nella “fabbrica della creatività”? E quali saranno gli obiettivi da raggiungere?
La Manifattura può e deve diventare sempre di più uno spazio dei cagliaritani e di tutti coloro che visiteranno la città.
Lo sviluppo architettonico di una città è prima di tutto la conseguenza di un clima culturale, poi la sintesi applicata in questo o quel progetto. Festarch contribuisce o cerca di contribuire con entusiasmo ed energia alla prima di queste istanze.
Qual è la sua opinione sul caso “ampliamento del Museo Man”?
La mia personale opinione è che Cristiana Collu è una delle persone più vitali e interessanti e di qualità nel panorama spesso asfittico dell’arte italiana, non solo in Sardegna.
Cosa ci riserva Festarch per il futuro?
Festarch deve trasformarsi in istituzione. Un’istituzione per la produzione di conoscenza in Sardegna e in Italia. Questa, almeno, è la direzione in cui mi sembra giusto puntare. Un’istituzione che mantenga la felicità delle situazioni temporanee e l’ancoraggio solido di ciò che è lì per restarci un po’.
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a cura di roberta vanali
[exibart]
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che c'azzecca Toscani poi...