11 agosto 2020

Una campana laica suona a Castelbasso

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L'estate di Castelbasso, piccolo borgo abruzzese, è nel segno dell'arte contemporanea, con i progetti e le mostre della Fondazione Menegaz. Ecco cosa abbiamo visto

Alessandro Fonte, Le chiavi e la soglia, La campana

Ci sono progetti artistici e culturali che nel tempo si identificano per continuità e radice storica. Castelbasso, piccolo borgo d’Abruzzo in provincia di Teramo, rappresenta da anni una proposta preziosa che unisce la ricerca del contemporaneo alla tradizione del territorio, grazie all’attività della Fondazione Malvina Menegaz per le Arti e le Culture, presieduta da Osvaldo Menegaz.

In un momento storico in cui l’attenzione, a causa dell’emergenza sanitaria, si orienta verso il recupero della cultura del benessere, tornando a sottolineare la rilevanza delle relazioni umane scandite da un fare meno egocentrico, l’arte torna a Castelbasso e lo fa con eleganza, orientando lo sguardo alla geografia umana e terrestre. L’arte afferma nuovamente la sua funzione primaria di lettura del presente: costruire ponti, intessere dialoghi, attraversare i confini per renderli ganci di approdo. Il coronavirus, con cui conviviamo da mesi, può annientare l’uomo, renderlo precario e incerto, ammalarlo, ma non può cancellare le idee, la creatività. Se il virus ammala, l’arte si fa medium fra l’uomo e il futuro cui si tende, per determinare ciò che più interessa all’umanità: resistere al tempo, sopravvivere alla dimenticanza.

Chi è stato a Castelbasso almeno una volta sa che il fascino del borgo cattura chiunque lo percorra: affacciato davanti alla bellezza della catena degli Appennini, porta il visitatore ad addentrarsi fra i vicoli e le piazze di un centro che si fa cuore e narrazione di un passato ricco di fascino. È in questo scenario che la Fondazione Malvina Menegaz sviluppa i tre porgetti espositivi che saranno visibili dal 25 luglio al 30 agosto 2020.

Le chiavi e la soglia

Come è possibile leggere la tradizione attraverso gli occhi della contemporaneità? Una risposta viene offerta dall’opera Le chiavi e la soglia dell’artista Alessandro Fonte, a cura di Pietro Gaglianò, vincitrice del Premio Siae Per chi crea. Un intervento site-specific che si apre nella piazzetta antistante Palazzo De Sanctis per accogliere, disegnare lo spazio che simboleggia il sostare e quella narrazione lenta, accurata, figlia dell’attenzione ottenuta dal sedersi e porsi in atteggiamento di ascolto. Una scultura sociale, come direbbe Joseph Beuys: creato dalla consapevolezza estetica delle persone, si è di fronte ad uno spazio di relazione che si compie come per magia, mettendo in rapporto la mente con lo spirito e la forma.

Alessandro Fonte, Le chiavi e la soglia, Le sedie

Il primo intervento è rappresentato da tre sculture realizzate a partire da sedie esistenti, che l’artista ha avuto in prestito dagli abitanti del luogo. Le sedute sono state riprodotte in metallo, distorte nella forma e ora si collocano al centro di un microcosmo pronto ad amplificarsi. La sedia, in un borgo abitato da poche anime, diventa appoggio, ristoro per gli anziani, piccolo spazio di meditazione, ma anche «distanza tra l’animale “normale” e l’animale umano». Lo strumento che mette in evidenza il pensiero e l’intenzione prima dell’atto.

Completa l’installazione un secondo intervento, collocato sulla facciata di Palazzo De Sanctis: una «campana laica» – così la definisce il curatore Gaglianò – nella cui fusione, realizzata dalla fonderia Marinelli di Agnone, sono state utilizzate le chiavi di porte o case non più esistenti, donate all’artista Fonte dagli abitanti di Castelbasso. È un “si bemolle” il canto intonato dalla campana: un richiamo alla vita, all’essere in comunione. A dirsi di nuovo pronti alla condivisione dopo mesi di obbligato distanziamento.

Alessandro Fonte, Le chiavi e la soglia

Le due mostre a Palazzo De Sanctis e Palazzo Clemente

A Palazzo De Sanctis si apre invece la mostra “La forma della terra. Geografia della ceramica contemporanea in Italia”, a cura di Simone Ciglia. Una mappatura delle possibilità contemporanee della ceramica, un progetto che compone il secondo capitolo di un’investigazione iniziata nel 2018-2019 dalla Fondazione Menegaz sul potenziale contemporaneo delle tradizioni artigiane. La mostra è concepita come un viaggio attraverso i principali centri di produzione legati a questa tecnica, coinvolgendo alcuni tra i nomi più apprezzati dell’arte contemporanea: Mario Airò, Salvatore Arancio, Stefano Arienti, Bertozzi & Casoni, Enrico Castellani, Enzo Cucchi, Matteo Fato, Flavio Favelli, Alberto Garruti, Liam Gillick, Piero Golia, Ugo La Pietra, Felice Levini, Emiliano Maggi, Eva Marisaldi, Gino Marotta, Mathieu Mercier, Matteo Nasini, Adrian Paci, Mimmo Paladino, Luca Maria Patella, Giovanni Termini, Luca Trevisani, Vedomazzei, Luca Vitone.

Mario Airò, Modellare l’acqua, 2019-2020, ceramica, ferro, acqua, impianto idraulico, dimensioni ambientali

Nell’ambito della mostra è presentata per la prima volta al pubblico italiano l’opera Modellare l’acqua di Mario Airò, eseguita nei noti laboratori ceramici di Castelli nel 2019-2020 con l’apporto di Arago Design e di Daniele Paoletti. Il progetto, che ha vinto il bando Italian Council, traduce uno spunto naturale da sempre al centro della ricerca di Airò: quello di un greto di un fiume, stavolta rimodellato attraverso il lavoro di alcuni archetipi della ceramica castellana. Piatti, anfore – su cui l’artista è intervenuto riproducendo anche dei decori classici – si sospendono nell’aria, cullando lo scivolo d’acqua che solca le forme, quasi fossero strumenti di un’orchestra polifonica. L’osservatore è invitato a un dialogo silenzioso, quasi che la voce interrompesse quello scandire metrico tipico di un testo poetico. L’installazione, esposta in anteprima allo spazio Bazamet di Tirana, è destinata a far parte della collezione permanente del Museo Internazionale della ceramica di Faenza.

A Palazzo Clemente il visitatore si introduce nel ciclo espositivo “Sarà presente l’artista”, inaugurato nel 2018 da un’idea di Simone Ciglia, percorso secondo cui un artista viene invitato a indossare i panni del curatore. Quest’anno, a riallestire la collezione della Fondazione Menegaz, è Mario Airò, il quale cuce un serrato dialogo fra la sua ricerca e le opere scelte.

Nelle quattro stanze della sede espositiva, la serie di installazioni, realizzata dall’artista nel 2019 e intitolata Diapason, prende forma da questo strumento, impiegato in campo musicale per la produzione di un suono determinato. Ciascuna opera si compone di due elementi: una scultura astratto-organica appesa alla parete, che funge da appendino per una coppia di cimbali in bronzo campanario con segni pittografici in nashi o naxi. Una sorta di diapason allungato in ottone – circa 2 metri – che serve da contenitore per una striscia di carta assorbente, colorata per immersione in inchiostri acrilici. Ritmando lo spazio espositivo, Diapason traccia una linea continua nelle stanze di Palazzo Clemente, conferendo un’armonia unitaria all’ambiente.

Leggerezza e fresca naturalezza vengono percepite nell’osservazione dei lavori che si confrontano negli ambienti: Carla Accardi, Mario Airò, Franco Angeli, Alfredo Biasi, Luigi Boille, Daniele Bongiovanni, Thomas Braida, Alessandro Cannistrà, Tullio Catalano, Mario Ceroli, Claudio Cintoli, Claudio Cori, Antonio Corpora, Andrea Di Marco, Tano Festa, Luca Francesconi, Marco Gastini, Sophie Ko, Nunzio, Arcangelo Sassolino, Ettore Spalletti, Giulio Turcato.

Bertozzi & Casoni, Quel che resta, 2018, ceramica policroma
Mimmo Paladino, Assediato, 1999, terracotta dipinta e base in acciaio corten
Salvatore Arancio, And These Crystals Are Just like Globes of Light, 2016, ceramica smaltata
Emiliano Maggi, The Club, 2019, ceramica smaltata

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