Dalle serie fotografiche realizzate dall’artista Fabrizio Borrelli, Contagion2013 e Contagion2021, nasce un’idea che coniuga performance artistica, gamification e NFT. Un’affascinante transizione dell’opera d’arte fisica verso il digitale, grazie alla realizzazione di una APP videogame, attiva dal 31 maggio, e alla generazione di NFT. Per tornare nuovamente all’analogico con una mostra in programma dall’11 al 19 novembre 2022 al MLAC – Museo Laboratorio Arte Contemporanea, Università Sapienza, Roma – a cura di Maria Italia Zacheo. Ne parliamo con Alessio Crisantemi, giornalista, presidente e co-founder di Gn Media Editore.
Contagion Hypercasual Multiplayer Experience è un progetto complesso che unisce la performance artistica, il mondo dei videogiochi e quello degli NFT. Come nasce questa idea?
«Il progetto Contagion nasce dall’incontro di un gruppo di persone che, grazie alle loro curiosità e alle loro competenze, hanno immaginato di attualizzare e trasformare un’originale serie meta/fotografica in un’applicazione informatica. Un regista/fotografo, ideatore dell’opera, un’architetta/storica dell’arte (la curatrice, Maria Italia Zacheo), una giornalista e un giornalista/editore, un digital team, un artista/graphic designer, una producer. Dando vita così a una vera e propria contaminazione di idee e suggestioni, che hanno portato fino alla creazione del progetto di oggi: Contagion Hypercasual Multiplayer Experience. Potremmo quindi dire che si è trattato di un vero e proprio ‘Contagion’, appunto. È stato un work-in-progress continuo e non ancora concluso, dove si sono susseguiti nuovi spunti, nuove idee e finalizzazioni. Dall’idea iniziale di ‘gamificare’ una serie di tavole fotografiche, siamo presto arrivati all’obiettivo di finalizzare il progetto nell’ambito della blockchain e, quindi, degli Nft»
Lei ha definito questa app una sorta di “esperimento sociale”. Quali sono i risultati attesi? Quale sarà l’output al termine della prima stagione?
«La suggestione proposta dal progetto è quella di interrogare su quale sia oggi il destino di un’opera d’arte nel contesto delle trasformazioni tecnologiche. La riproducibilità tecnica fa vacillare l’autorità dell’autentico, dell’hic et nunc; fa sì che l’aura dell’opera, unica e irripetibile, venga meno. Oltra a ciò la riproducibilità converte la natura dei soggetti della fruizione estetica. Contagion è un’esplosione concreta e diffusa: un’opera unica – ovvero, una serie di quindici tavole – che intenzionalmente si trasfigura in applicazione informatica e mette in rete la propria metamorfosi.
Contagion da oggetto diviene esperienza: esperienza nella rete, esperienza collettiva. In questo senso parliamo di Contagion Hypercasual Multiplayer Experience come un progetto che rende l’opera d’arte qualcosa di ‘vivo’: un’esperienza partecipativa, uno studio sociale che esalta il messaggio, sia sul piano del singolo sia sul suo essere parte di una comunità. Coinvolgendo i partecipanti – in base alla loro posizione geografica – nel raggiungimento di un obiettivo comune, che sia anche solo l’osservazione di un fenomeno attraverso delle statistiche o quello di arginare/dirigere un contagio.
Nasce quindi una comunità. Assumendo su di sé, interpretandola, l’ineffabilità del mondo digitale/virtuale, della rete e, grazie a questo passaggio – dall’analogico al digitale – l’opera si polverizza e si dissemina nel web. Trasfigurandosi diviene bene collettivo, patrimonio della potenziale comunità. In questo senso abbiamo visto un possibile collegamento con la condizione pandemica e, forse ancora più centrato, con il dibattito pubblico sulla causa ambientale, che sta rivelando un certo grado di partecipazione collettiva, soprattutto tra le nuove generazioni, dove il digitale è elemento nativo».
Questa app rappresenta un incontro tra performance artistica e videogame. La gamification è una delle tante declinazioni possibili della digitalizzazione della cultura, su cui un po’ tutti, Ministero della Cultura in testa, stanno spingendo. Quali sono gli sviluppi potenziali e che tipo di riscontro c’è, sulla base della sua esperienza, da parte delle istituzioni culturali verso questo specifico segmento?
«La validità del videogame a livello formativo e divulgativo non è certo nuova e sconosciuta. Le sue potenzialità sono già state in più modi esplorate in ambito culturale ed artistico e i benefici sono fin troppo evidenti. Oltre alla (felice) applicazione nel caso museale, ci sono anche esperimenti più vasti, come per esempio le creazioni di videogame ambientati all’interno di intere città e del loro patrimonio artistico locale, che diventano in grado di proporre anche itinerari turistici e promuovere quindi le comunità locali e la loro storia, non soltanto attraverso le opere d’arte.
Già diversi anni fa, tuttavia, il videogame era stato utilizzato a scopi didattici ed educativi, in logica di edutainment. Ma se, fino a ieri, questi progetti potevano essere visti come strumenti di divulgazione, mirati ad estendere l’audience e a coinvolgere il pubblico più giovane, oggi il ricorso al videogame o alla gamification assume un ruolo ancora più rilevante, direi centrale, dal punto di vista culturale, in un panorama generale ormai completamente tecnologico. In tutto questo, l’Italia può giocare un ruolo fondamentale, grazie all’immenso patrimonio storico artistico del suo territorio ma anche grazie alle elevate competenze che risiedono nel nostro paese sia nel mondo del gaming che del digitale più in generale.
Tutte cose che non sembrano sfuggire neppure al governo, che non a caso ha destinato fondi più che significativi nel Pnrr: ben 155 milioni di euro per le imprese culturali e creative, all’interno delle quali rientrano quelle che si occupano di videogame. Con l’auspicio che possa essere proprio questo uno degli stimoli per puntare a un rilancio del paese».
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