Nell’ambito delle attività programmate da RUFA per l’anno accademico 2020/2021 prosegue, presso la sede del PASTIFICIO CERERE, nel cuore del quartiere San Lorenzo, il progetto “Ausoni occupato”. L’iniziativa, coordinata dal docente e artista Simone Cametti, intende coinvolgere gli iscritti della Scuola di Arti visive chiamati, in questa particolare occasione, a produrre una serie di eventi multimediali volti a esplorare tutte le possibili relazioni tra le diverse discipline artistiche. L’obiettivo consiste nel far maturare in ogni singolo studente una maggiore consapevolezza delle possibilità espressive delle tecniche e dei mezzi artistici a loro disposizione.
Partite nello scorso mese di aprile, le azioni che gli stessi studenti pongono in essere sono finalizzate a “occupare” il RUFA Space con l’ausilio di fotografie, opere pittoriche e installazioni della durata massima di 24 ore. Il progetto si ispira alle diverse esperienze di “occupazione” artistica che si sono svolte nell’ultimo secolo: dalle pratiche Fluxus con Fluxhouse, alla Kunsthaus Tacheles di Berlino, al 59 Rue de Rivoli di Parigi. Il pensiero che sta alla base del progetto è quanto mai chiaro: “occupare, oggi più che mai, è un atto necessario”.
In questo scenario nello scorso mese di aprile ha avuto luogo l’esperienza “620 secondi” ideata da Miriana D’Alessandro. Il punto di partenza è rappresentato da “32 metri quadrati di mare circa” (1967) di Gino Pascali: l’autrice ha ricostruito una delle vasche presenti nell’installazione, riempiendola in egual modo di acqua di mare. «Entrando e uscendo con i piedi dalla vasca – spiega la stessa D’Alessandro – ho portato con me l’acqua che i miei passi hanno raccolto, disegnando con il camminare il perimetro della stanza, così da restituire alla natura il ruolo di variabile indipendente».
Nei giorni scorsi si è poi concluso il progetto “Cadde, risorse e giacque …”. A definire l’opera è l’artista o sono gli spettatori? È davvero possibile un’interazione tra artista e spettatore? Che ruolo hanno, nell’arte, l’inciampo e l’errore? Queste sono alcune delle domande intorno a cui ruota l’azione di Alessandro Martina che rievoca la radicalità performativa di Artaud. Il lavoro consiste in una complessa ramificazione di azioni e immagini. L’artista parte da una tavolozza di colori estrapolata dai lavori di alcuni maestri del Novecento e successivamente la ridefinisce su una tavola imbandita. Lo spettatore, utilizzando alcuni materiali disposti sulla tavola e interagendo in forma diretta con l’autore, entrerà a far parte dell’opera definendo l’importanza del gesto artistico.
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