Questo luglio, presso Club Kristalia, lo spazio dedicato alla musica del brand di arredamenti di design Kristalia a Prata di Pordenone, ha avuto inizio la stagione di Beaten Egg, il mediometraggio scritto dalla pittrice e scultrice pordenonese Matete Martini e da Giulio Bertolo, giurista che vive a Berlino, con fotografia di Maurizio Polese. Le musiche originali sono il prodotto della JFS Wet Orchestra: Steno Branca, Dorian Monterosa, Giacomo Fiocchi e Loranzo Fornabaio, chitarra dei Baustelle e in Beaten Egg del brano Solo tu. In sala a Club Kristalia la proiezione in anteprima del film incentrata sulle storie e sulle contraddizioni di quattro personaggi protagonisti chiamati a fare un provino.
Il film inizia negli Ex Magazzini Boranga di Pordenone, ambientazione dismessa dai colori freddi nelle tonalità del verde, abitata dal rappresentante, figura con abbigliamento impeccabile che mette in ordine con fare maniacale alcune giacche poste su un appendiabiti, e la misteriosa direttrice, che annuncia gli imminenti provini. Il cuore del film, le audizioni dei quattro protagonisti, si sviluppa invece in Sala Modotti a Cinemazero: spazio caldo e asfisiante con una luce da set a sola illuminazione. Due luoghi caratterizzati da toni opposti, mi spiega Matete mentre chiacchieriamo sul balcone del suo appartamento atelier a Pordenone, che rimandano alla sua poetica e delineano spazi, tempi e sensazioni. Matete Martini approccia il medium audiovisivo come uno dei suoi materiali abituali conferendogli i segni espressivi della sua pratica pittorica. Beaten Egg diviene così una tela dove tra campiture di colori contrastanti si agitano figure narrative e simboliche.
In Sala Modotti le audizioni dovrebbero essere cominciate ma la trama viene sospesa e lo spettatore è abbandonato alla visione di quattro personaggi senza pace. Palermo Cocotte (Clemente Grava) lavora come cuoco di giorno e croupier di notte. Il suo atteggiamento oppositivo e sfrontato nasconde un disagio profondo che emerge in risa nervose e nelle parole di rabbia pronunciate nei confronti del nome affibbiatogli dalla madre in ricordo di un amante. Lora Dupor (Giulia Manfrin), studentessa vegetariana interessata alla politiche ambientali, si trova al provino per il personaggio di Roberta, una gran carnivora. Lora prova invano a respingere un ruolo che in fondo sente suo mentre parla di sanguinosi banchetti e impila dei calici posti su un tavolo. Hans Schmidt (Riccardo Lovatini) esprime con gesti ossessivi e pianto soffocato la sofferenza per un amore non corrisposto. Infine, Leone La Rosa o Cassandra (Thomas Bozzetto) indossa vestiti femminili e sfarzosi, e uno sguardo malinconico ancorato a un passato di sofferenza. In Sala Modotti, oltre a loro, non c’è nessuno. Una ripetuta inquadratura simmetrica, con in primo piano due file di poltrone, unisce lo spazio del film a quello della sala della proiezione. Un espediente che espande i confini della messa in scena e chiama gli occhi del pubblico a farsi giudici di provini che non hanno inizio.
La dilatazione di Beaten Egg nel reale non si esaurisce con questa soluzione cinematografica: la pellicola si trasforma in due mostre e nelle opere esposte al loro interno. Dal 9 al 17 settembre, settimana della The Venice Glass Week, presso White Rabbit Cannery Martini aggiunge un nuovo personaggio, “Il Lavavetri”, mostra curata da Costanza Longanesi Cattani e organizzata da Spazio Spaziale. Insieme al film, presente anche una collezione di vetri a esso ispirata, prodotta da Signoretto Lampadari Srl. Le opere, formate da diversi elementi scomponibili, inviteranno gli spettatori a farsi parte attiva mettendo in scena il personaggio del lavavetri in una ripetuta pratica di assemblaggio e manutenzione dei vari pezzi di cui sono composte. Dal 5 al 28 ottobre, Beaten Egg si sposta a Nonostante Marras a Milano, con una mostra, sempre a cura di Cattani, che trasforma lo showroom della Maison in una ricca scenografia dove prende forma un nuovo episodio di Beaten Egg composto da elementi di scena e da opere inedite.
Beaten Egg – uovo sbattuto – non solo si propaga nel reale ma innesca un processo che fonde vita e arte. Il gioco comincia con la visione del film: il provino senza inizio aggancia alla vita attori che finiscono per interpretare se stessi sotto gli occhi di un pubblico nella scomoda parte di giudice della scena. Matete Martini prende poi la regia di una prolungata messa in scena che assorbe tutti gli elementi che incontra. Nel recipiente della sua pratica artistica mescola componenti reali e fittizi con un movimento incessante che confonde i ruoli e le dimensioni. Nel roteare tra il sé e la propria parte i personaggi mettono in atto gesti banali e continui senza trovare conciliazione. Una pratica corale di azioni reiterate elevate a unica risposta alla impossibile risoluzione. I fruitori lavavetri fanno manutenzione alle opere e Palermo conta le carte. Hans si passa le mani tra i capelli. Lora impila dei bicchieri. Il rappresentante pulisce le giacche. Una mano continua a sbattere un uovo.
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