BEATUS VIR

di - 26 Aprile 2009
Beato Angelico (Vicchio, Firenze, 1395 ca. – Roma, 1455), tout court: opere su tavola, tele e codici miniati. Il Comitato Nazionale per la celebrazioni del 550esimo anniversario della morte di Guido di Pietro, alias fra’ Giovanni da Fiesole, presenta le due facce dell’Angelicus pictor e doctus, artista prolifico che seppe coniugare le nuove formule espressive elaborate dai grandi artisti innovatori fiorentini, in una pittura razionale, dai colori smaglianti. Il pittore domenicano si libera dai canoni troppo stretti delle formule trecentesche e svolta l’angolo dentro il Rinascimento, dove traduce figurativamente l’impianto razionale della teologia di San Tommaso d’Aquino.
Nelle sale dei Musei Capitolini a Roma, il Comitato nazionale, affiancato da quello scientifico presieduto da Maurizio Calvesi apre la mostra che giunge a compimento di un itinerario di ricerca iniziato nel 2005. “Grandimostre” ha intervistato il professor Alessandro Zuccari, presidente del comitato per le celebrazioni, che ha curato l’esposizione coadiuvato da Giovanni Morello e Gerardo de Simone.

Professor Zuccari, l’alba del Rinascimento e Beato Angelico. Nella storia dell’arte si è sempre indicata la nascita del Rinascimento con l’attività artistica della triade composta dalle opere pittoriche di Masaccio, scultoree di Donatello e architettoniche di Brunelleschi. Come si concilia questa concezione con la figura di Beato Angelico?
Beato s’inserisce perfettamente nel quadro del Rinascimento fiorentino, diventando il quarto protagonista della svolta. Si distacca dagli artisti della generazione precedente come Gherardo Starnina e coglie con grande intelligenza le novità. Ad esempio, assume le forme razionali adottate dalla prospettiva, la volumetria e le novità introdotte da Masaccio. Prendiamo l’affresco con la Cacciata di Adamo ed Eva della cappella Brancacci: è un testo fondamentale, non solo per le figure dei due progenitori, ma anche per il rapporto con la figurazione dell’Eden. Bene, l’Angelico le riprende riformando la tradizione. Anche Brunelleschi con le sue nuove formule architettoniche ha un ruolo fondamentale per la prospettiva: nella Pala di Annalena le figure sono libere dalla tripartizione ideologica e danno vita a una nuova forma di pala d’altare. Infine, si confronta con Lorenzo Ghiberti ma anche con Donatello. L’Angelico, insomma, trasmette l’umanesimo fiorentino tramite la pittura alla generazione successiva.

I musei Capitolini e la Pinacoteca: perché Roma come sede espositiva invece di Firenze, dove si svolse gran parte dell’attività di Beato Angelico?
Roma vede operare l’Angelico nella seconda parte della sua attività. Era stato chiamato da papa Eugenio IV nel 1445 per affrescare in Vaticano la Cappella del Sacramento, ma lavorerà anche per Niccolò V per la gran stima di cui godeva come interprete della cultura artistica umanistica in una città tornata capitale dell’umanesimo. Alla sua morte, avvenuta nel 1455, viene sepolto nella chiesa di Santa Maria sopra Minerva, il che la dice tutta: solo Brunelleschi e Gentile da Fabriano avevano ricevuto un onore simile, avere addirittura una tomba dedicata a un artista. Con la direzione dei musei comunali di Roma, e con Maria Elisa Tittoni in particolare, c’è stata un’ottima intesa: così abbiamo potuto utilizzare al meglio il Campidoglio e farne il centro di questa mostra evento che arriva dopo 50 anni dalla prima monografica.

Quali sono le tappe salienti della formazione di fra’ Giovanni da Fiesole?
Sugli inizi abbiamo poche notizie. Sappiamo che nacque intorno al 1387-1400 e divenne frate nell’Ordine dei Frati Predicatori nel convento di San Domenico a Fiesole. Dopo essersi stabilito nel convento domenicano di Santa Maria Novella a Firenze intorno al 1420, ecco le prime opere: l’Annunciazione di Cortona e la Vergine del Louvre. Un dipinto, quest’ultimo, che grazie alla mostra riacquista la sua importanza, visto che a Parigi è penalizzato per la presenza di così tanti capolavori.

In che cosa si differenzia la ricerca artistica di Beato Angelico rispetto a un maestro della prospettiva “umana” come Masaccio?
Beato coglie il senso della prospettiva umana, aspra e preponderante di Masaccio ma la trasforma in un linguaggio più sereno, anche se non per questo meno razionale. Masaccio, ma anche Masolino, sono decisivi a Roma per l’elaborazione del pensiero umanista. Con Masaccio s’inaugura in città la realizzazione pittorica di una visione reale, ma Beato Angelico la porta a compimento.

Come si colloca, secondo lei, la figura di Beato Angelico rispetto ad artisti della vecchia guardia del tardogotico come Lorenzo Monaco e Gherardo Starnina?

L’Angelico è l’uomo nuovo, sa assorbire le novità distaccandosi dai mostri sacri come Gentile da Fabriano e appunto Lorenzo Monaco. Ma non è un pittore eclettico: aderisce all’umanesimo fiorentino divenendo protagonista del passaggio tra il tardogotico e il Rinascimento. Soprattutto, il Beato Angelico è il trait d’union con Piero della Francesca, che a Firenze molto probabilmente deve averlo incontrato.

Beato Angelico e chompagni”: per usare una nota espressione longhiana, è possibile individuare dei collaboratori?
Innanzitutto va detto che, sfogliando i documenti, emerge una produzione davvero cospicua. Ha lavorato moltissimo in prima persona realizzando opere autografe, però spesso – com’è ovvio – era affiancato da collaboratori. Si è parlato a questo proposito di una vera e propria “bottega” dell’Angelico, ma io direi piuttosto che il pittore era il capo carismatico di un gruppo piuttosto eterogeneo. Ne facevano parte Zanobi Strozzi e Benozzo Gozzoli, che intervenne di sua mano nel ciclo del convento di San Marco. Per il Gozzoli, l’incontro con l’Angelico fu decisivo. Insieme lavorarono anche a Roma nella chiesa di Santa Maria sopra Minerva, a Orvieto nelle due porzioni di affresco nella cappella di San Brizio in Duomo (poi terminato da Luca Signorelli), e in Vaticano insieme ad altri collaboratori. La mostra e il catalogo affrontano anche quest’aspetto, un problema complesso sul quale si sta ancora indagando.

Beato Angelico lavorò a lungo all’Annunciazione e ad alcune scene tratte dalla Bibbia all’interno delle celle del convento di San Marco a Firenze. Avete previsto un collegamento che illustri anche questi capolavori?
A parte la difficoltà per ragioni logistiche, abbiamo preferito concentrare l’attenzione sull’operato dell’Angelico a Roma, che costituisce una parte consistente per la sua attività. Consiglio comunque la visita a San Marco di Firenze, dove l’artista soggiornò a lungo, preferendo addirittura la vita del convento alla carica di arcivescovo di Firenze: dedicarsi alla pittura e alla vita religiosa pura, secondo le prescrizioni dell’ordine domenicano, questa era la sua aspirazione.

Beato Angelico miniatore. Vedremo in mostra alcune pagine “griffate” dall’artista fiorentino?
Sì: ben otto codici miniati, di cui sei sicuramente autografi. Questi provengono dalla biblioteca del convento fiorentino, mentre il Graduale 555 dei Musei Vaticani potrà essere sfogliato interamente grazie a un’accuratissima riproduzione digitale finanziata con il contributo del Comitato.

Novità, inediti, nuove attribuzioni?
Saranno per la prima volta esposte al pubblico sette opere. La predella di Zagabria con le Stimmate di San Francesco e il Martirio di San Pietro martire, l’Annunciazione di Dresda, molto discussa perché riassemblata nel XVI secolo ma che le indagini scientifiche eseguite per la mostra hanno rivelato essere autografa. E poi il frammento con San Giovanni Battista di Lipsia, lo scomparto della pala di Annalena a Zurigo, la Vergine del Louvre. Infine si vedranno i due scomparti laterali di trittico raffiguranti i Beati e i Dannati di Houston e l’Imago pietatis su pergamena proveniente da una collezione privata italiana, opere praticamente inedite.

Per festeggiare il 550esimo anniversario della morte del pittore avete pensato anche di condurre un’apposita una campagna di indagini scientifiche e di restauri?
Il Comitato ha finanziato un’indagine riflettografica agli infrarossi su una serie di opere condotta dal Laboratorio Arti Visive della Scuola Normale Superiore di Pisa. I restauri effettuati appositamente per l’occasione, con un finanziamento sostenuto dal Comitato, sono stati tre: il Giudizio Finale, l’Ascensione e la Pentecoste del cosiddetto trittico della Galleria Corsini di Roma. Quest’ultima ha rivelato una tale qualità di composizione da fugare ogni residuo dubbio sulla reale autografia. Probabilmente è stata realizzata negli anni romani tra il 1448 e il 1449, ai tempi dei lavori nella Cappella Niccolina. Un altro importante restauro ha riguardato la predella della pala di Bosco ai frati, che era comunque in buono stato di conservazione. Infine, uno dei tre pannelli della pala di Annalena verrà esposto per la prima volta proprio dopo il restauro.

L’evento si presta anche a pubblicazioni e convegni…
La mostra è frutto di un lungo lavoro iniziato nel 2005. Il Comitato ha tenuto un convegno intitolato Il Beato Angelico, il suo tempo, la sua eredità nel 2006 nelle sedi del Salone dei Cento Giorni del Palazzo della Cancelleria e nell’Odeion del Museo di Arte Classica dell’Università La Sapienza di Roma, i cui saggi sono stati raccolti nel volume Angelicus Pictor. Ricerche e interpretazioni sul Beato Angelico pubblicato nel 2008 per Skira. La mostra quindi è il coronamento di un percorso che ha visto coinvolti tanti studiosi e ha analizzato aspetti in passato solo sfiorati, anche in testi pur rilevanti come la monografia sull’artista di Mario Salmi del 1958 e quella di Sergio Samek Ludovici del 1956.

Qualche anteprima dal catalogo?
Il volume rilegge filologicamente l’opera angelichiana, con saggi di Calvesi, Bonsanti, Morello, Acidini, Scudieri e Carlo Sciolla, con quest’ultimo che colma la lacuna della fortuna critica del pittore. Ci sono inoltre approfondimenti sul disegno, studiato da Lorenza Melli, e sulla riproduzione delle opere del pittore in stampe e incisioni dell’Otto e Novecento di Ilaria Miarelli Mariani. Gerardo de Simone ha ricostruito l’attività romana dell’Angelico con un contributo decisivo che sintetizza le ipotesi sugli interventi in Santa Maria sopra Minerva, nel chiostro e sulla parete della Cappella Niccolina con un Cristo deposto.

Ci dica qualcosa anche sull’allestimento…
Abbiamo pensato a un percorso espositivo essenzialmente cronologico composto da 49 opere di cui 40 sicuramente realizzate dal pittore fiesolano. Molte tavole provengono dal museo del convento di San Marco in Firenze grazie alla collaborazione della direttrice Magnolia Scuderi, altre da collezioni private. Chiude la rassegna la tela raffigurante la Madonna col Bambino, proveniente dalla chiesa di Santa Maria sopra Minerva, che si conferma dopo le indagini radiografiche essere stata eseguita in parte dall’Angelico.

La mostra ha come sottotitolo L’alba del Rinascimento. Quando arriva il tramonto?
È un discorso molto vasto… Direi che la morte di Raffaello, nel 1520, segna già a suo modo un primo termine del Rinascimento. La fine vera e propria giungerà col celeberrimo sacco di Roma del 1527 a opera dei lanzichenecchi di Carlo V, che porterà l’Urbe a richiudersi in se stessa. È una cesura importante, che segna la demarcazione con il passato umanista, tuttavia occorre dire che già in quegli anni iniziava comunque a farsi strada quello che lo Chastel chiama lo “stile clementino”, foriero di germi profondamente anti-rinascimentali. Ma questa è un’altra storia.

Un’ultima domanda: come mai il pittore venne soprannominato l’Angelico?
Fu fra Domenico di Giovanni da Corella, suo amico ed estimatore, a chiamarlo per primo Angelicus pictor, cioè pittore divino. Lo stimava molto per le doti umane, le virtù religiose, la cultura e l’arte tanto da farne una sorta di modello. Per lui la tersa, moderna pittura dell’Angelico, momento tra i più alti dell’umanesimo cristiano, era il riferimento ideale. L’Angelico apprende la teologia di San Tommaso, assumendola come matrice insostituibile per la concezione della luminosità della figura, della razionalità della sua arte. L’Angelicus pictor è quindi come una parafrasi della definizione di doctus che già Tommaso d’Aquino aveva coniato oltre due secoli prima.

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*articolo pubblicato su Grandimostre n. 4. Te l’eri perso? Abbonati!


dal 7 aprile al 5 luglio 2009
Beato Angelico – L’alba del Rinascimento
a cura di Gerardo De Simone, Giovanni Morello e Alessandro Zuccari
Musei Capitolini
Piazza del Campidoglio, 1 – 00186 Roma
Orario: da martedì a domenica ore 9-20
Ingresso: biglietto integrato mostra + Museo: intero € 9; ridotto € 7. Biglietto solo mostra: intero € 6; ridotto € 4
Catalogo Skira
Info: tel. +39 0639967800; info.museicapitolini@comune.roma.it; www.museicapitolini.org

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