Dall’esterno nulla è cambiato, eppure Villa Croce s’è modificata parecchio. I primi segnali di ripresa si erano intravisti col progetto Cartabianca, ma ora il museo – al di fuori di quella palude dove era scivolato negli ultimi anni – va avanti ripartendo da Ilaria Bonacossa, che insieme ad Alessandro Rabottini è curatrice del primo evento in calendario dal suo insediamento nel museo genovese: Slideshows (fino al 18 novembre), antologia quasi decennale dell’artista Massimo Grimaldi (Taranto, 1974). Dopo la nomina di metà maggio e le anticipazioni sul programma espositivo due mesi più tardi, ecco finalmente l’avvio di un doveroso processo di rinnovamento che c’è da sperare solo non si esaurisca in fretta e riesca realmente ad inserirsi nel tessuto culturale cittadino e, perché no, nazionale.
Un rinnovamento affiancato anche dalla volontà di rinascere dalle proprie ceneri, come s’intuisce dalla comunicazione diramata per Slideshows, dove sono puntualizzati in calce il nuovo metodo di approvvigionamento dei capitali del museo, compartecipato tra Comune e privati, e soprattutto un accenno storico/informativo su di una sede che non molto tempo fa ha incredibilmente rischiato la propria sopravvivenza e adesso mira a non risultare prescindibile in una visita del capoluogo ligure. Della serie “passato e presente come fondamenta per costruire il futuro”, perché indubbiamente non si può ripartire se non si mette in chiaro chi si è e dove si vuole andare, e nella Villa Croce post Bonacossa, attenta a procedere per tappe ben definite e non fare il passo più lungo della gamba, sembrano averlo bene in mente.
L’allestimento creato per Slideshows è minimale, preciso ed esaustivo nell’esporre i contenuti, quasi a rimarcare che economia di mezzi e buona realizzazione complessiva possono convivere senza grandi problemi; unito alla location – il primo piano, così piacevolmente asettico coi suoi muri bianchi e pavimenti grigio/nero – l’insieme pare un cocktail perfetto per far risaltare i lavori video/fotografici di Grimaldi, artista sui generis (se dell’arte si ha l’idea di “mondo a se stante” o di “mondo fuori dal mondo”), che di fatto segue concetti tutto sommato semplici, facilmente comprensibili e al tempo stesso efficaci a stimolare varie riflessioni sul rapporto osservatore/immagini.
È proprio in questo senso che funzionano benissimo opere come Saudi Arabia e Tahiti, due lightbox incentrati sulla genericità del soggetto/immagine, o le slideshows costituite partendo da parole chiave digitate su Google Images – azione tanto moderna, quanto banale ed alla portata di tutti – esposte in due schermi che associano patinate attrici sorridenti con la distruzione di Baghdad bombardata. Sembra il famigerato “uovo di Colombo”: Grimaldi mette lo spettatore di fronte ad immagini né insolite, né nuove, ma che semplicemente affiancate stridono senza mezzi termini e colpiscono nel segno per efficacia e capacità d’indurre alla riflessione. E meditando sorge una domanda: ma in alcuni telegiornali è così improbabile vedere affiancate (involontariamente, per carità) tragedie e frivolezze?
Ricorrente l’uso di doppi monitor, utile non solo ai contrasti appena citati, ma anche a formare immagini consequenziali o semplicemente duplicare la stessa slideshow enfatizzandone la portata. Colpisce osservare come nei reportage l’amenità di un fiore o di un panorama possa mutare senza soluzione di continuità nella crudezza di operazioni chirurgiche, e significativo l’abbandono della dissolvenza “soft” – sostituita da un cambio immagine netto e repentino, quasi violento – quando uno schermo serve a mostrare malformazioni causate dall’uranio impoverito.
A questo punto, mettendo da parte l’inevitabile contrasto tra l’utilizzo di prodotti costosi messi in terra a contenere immagini “povere” (sotto un profilo puramente “monetario”, perché sul piano formale il discorso ricchezza/povertà andrebbe capovolto), non è tanto il nesso assoluto tra due diverse facce dell’era moderna a risaltare, né i lavori di Grimaldi colpiscono esclusivamente per ciò che ci si trova ad osservare: superando facili pietismi non ricercati ed inutili, a spiccare è l’unione tra immagini/video e supporto “contenitore”, soggetti coevi legati indissolubilmente da Grimaldi in una temporalità paritaria dove il lasso dell’evoluzione tecnologica Apple è lo stesso in cui si costruisce un ospedale o si esprimono sofferenza, preoccupazione, gioia.
È in quest’accezione che ogni slide, al contrario delle tante immagini che velocemente passano e svaniscono più o meno inosservate nei vari media, è capace di assumere piena padronanza del proprio significato e rendersi ipso facto qualcosa di molto più vicino alla nostra realtà, lasciando alle spalle qualunque atteggiamento pseudo-compassionevole.
Al di là di qualsiasi considerazione personale, questo primo passo nel nuovo corso di Villa Croce se non altro ha il merito di contribuire a rimuovere dall’arte, e dalle manifestazioni ad essa collegate, quell’alone di superficialità che spesso indistintamente le accompagna. E dopotutto non è poco.
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