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Domenico Mennillo, tra memoria e perdita: l’installazione alla Fondazione Morra di Napoli
Progetti e iniziative
La Biblioteca Perduta è un’installazione ambientale di Domenico Mennillo realizzata nei bellissimi spazi di Palazzo Cassano Ayerbo di Aragona, a Napoli, a cura di Matteo Binci e organizzata dalla Fondazione Morra in collaborazione con le associazioni culturali E-M Arts e lunGrabbe, nell’ambito di Cultura Crea 2.0, sostenuto da MIC Ministero della Cultura/Invitalia.
Il concetto di Biblioteca Perduta rappresenta il quinto e ultimo capitolo del progetto pluridecennale di Domenico Mennillo Abrégé d’Histoire Figurative, legato alla cultura occidentale moderna e alla nozione di «Biblioteca del sapere ma anche della perdita». Il progetto espositivo consiste in un’installazione ambientale site specific con materiali e opere provenienti dal suo archivio e presentati in tre sale, in cui l’artista fa coincidere, tra universalità e riflessione soggettiva, il concetto di “Biblioteca” con quello di “Archivio personale”, coniugando cenni biografici e informazioni recuperate da altri dispositivi del sapere.
Questo materiale composito viene presentato in un unico luogo, precisamente uno spazio della Fondazione Morra dove, fino a qualche mese fa, si trovava la sede stabile dell’archivio del Living Theatre, ora trasferito definitivamente a Caggiano, in provincia di Salerno. Uno spazio, dunque, decisamente significativo e non occasionale per presentare il lavoro di oltre un ventennio svolto dall’artista campano.
L’installazione di Mennillo è articolata in tre principali set espositivi: nella prima sala viene presentata la Biblioteca Perduta con una numerosa lista di volumi trascritti dall’artista su agende di lavoro attraverso informazioni prelevate in rete e anche dalla lettura di quotidiani e periodici italiani. Nella seconda sala, dedicata espressamente alla visione e alla consultazione di materiali e opere, viene presentata l’installazione del 2014-2024 Wet Paint, con un vecchio organo musicale, luci, collage e petali di rose freschi, oggi ormai irreparabilmente disseccati, e una serie di libri d’artista inediti in un‘unica copia mai editati. In particolare, viene presentata la sala di consultazione del 2004-2024 con due scatole e sei libri d’artista, il Musèe de la Bohème del 2024 con sei inventari e l’opera De l’Amour, de l’Amitié et sur Marcel Duchamp, boîte en valise realizzata tra il 2011 e il 2024 dedicata ai soggiorni dell’artista campano nella città di Parigi. Infine, la terza sala, con l’Epistolario Sommerso del 2018-2024, la Biblioteca Nascosta del 2024 e i collage su carta (L)oro delle Ville Vesuviane.
Sulla soglia dell’ingresso delle tre sale, è presente un autoritratto in terracotta, in cui l’artista volutamente ha rovinato una parte del naso. Secondo una antica credenza egiziana, nelle statue e nei dipinti raffiguranti esseri umani permaneva l’essenza vitale della persona effigiata. Distruggere il naso equivaleva a impedire alla persona ritratta di respirare. Una rappresentazione decisamente simbolica e significativa, che ben si addice a questo particolare progetto, permeato di rimandi e umori tra la vita e la morte, tra luogo reale e immaginario e, soprattutto, tra presenza e perdita. Non una galleria o uno spazio museale ma un luogo marginale e carico di storia, provvisoriamente svuotato e magicamente rinato a nuova vita con una ipotetica biblioteca nascosta, sommersa e perduta, nata dall’immaginazione sfrenata ed evocativa di Domenico Mennillo.
Una sorta di inquieto arcano aleggia in queste tre stanze, dove l’archiviazione dei documenti si integra perfettamente con lavori “in forma” di libri d’artista che, nell’incertezza dell’essere tra la vita e la perdita, resistono alla complicità e persino al fascino visionario dell’apparenza, in un rapporto sottile capace di mobilitare una serie plurima di significati tra sembianza e silenzio che il filosofo Jacques Derrida ha definito magistralmente come: «Un appuntamento con un sé che si è e non si conosce».
Non è un caso se Mennillo abbia scelto la forma del libro come uno dei supporti marginali del proprio lavoro per produrre un’opera che sfugge ai consueti canali di circolazione del prodotto artistico, svincolandosi sia dalla riproduzione seriale dell’opera sia dal mercato librario ufficiale. Questi libri non hanno la pretesa di racchiudere tutto il sapere ma rimangono comunque appunti di vita che, insieme ad altri suggerimenti, possono creare situazioni e momenti stratificati e partecipativi da condividere. Pertanto, questi archivi e libri del sapere perduti non sono destinati alla conservazione ma, frammenti a-temporali restituiti alla vita, sono pensati come presenze silenti di una sospesa e curiosa “wunderkammer della perdita” e anche della partecipazione collettiva.
Ultima considerazione necessaria, verte sul rapporto profondo che lega Mennillo alle avanguardie storiche, alla figura di Stelio Maria Martini, che ha vissuto per lungo tempo a pochi passi da casa sua, e soprattutto ad alcuni autori storici, su tutti Marcel Duchamp con il quale permane una intesa significativa. Secondo Duchamp, tutto ciò che si possedeva doveva e poteva essere contenuto in una valigia “viaggiatrice” al fine di creare un possibile museo o anche una biblioteca del sapere e della cultura trasportabile. Emblematico di questo dialogo a distanza, rimane l’assemblage tridimensionale Etant Donnés, iniziato nel 1946 e concluso 20 anni dopo, nel 1966, nato dalla necessità di metabolizzare la realtà e mettere in forma l’opera definitiva in modo poetico.
Similmente, in questi anni, anche per Mennillo la necessità di definire, nella sintesi temporale e spaziale dell’installazione ambientale, una dimensione metafisica e mentale alla ricerca di mondi immaginari e partecipativi. Permane un’invenzione ossessiva e sperimentale giocata a tutto campo su proiezioni e frammenti di universi possibili, sintetizzati poeticamente tra la libertà della creazione e la genialità del fare arte.