«Pariginismo e modernità». Che siano considerati la cifra stilistica di Giovanni Boldini (Ferrara, 1842 – Parigi, 1931) è stato ampiamente dimostrato da diversi eventi espositivi che hanno decretato il pittore ferrarese uno tra i più sottili interpreti di un’epoca e di un mondo: quelli della Belle Époque. Ma, laddove lo studio approfondito, una forte organizzazione e la spinta a fare – e a dare – qualcosa di più, concorrono in una stessa progettualità, ecco che l’ultima rassegna a lui dedicata, “Boldini. Lo spettacolo della modernità”, ospitata ai Musei di San Domenico di Forlì fino al 14 giugno, riesce ad offrire con originalità e profonda analisi, un compendio visivo più completo e articolato, forse mai realizzato prima.
Curata da Francesca Dini e Fernando Mazzocca, la mostra si avvale di un rispettabilissimo comitato scientifico presieduto da Antonio Paolucci, direttore dei Musei Vaticani, omaggiato per l’occasione come “presenza preziosa e garanzia indispensabile”. Provenienti dalle più importanti istituzioni italiane e straniere, riunisce oltre 200 opere: dai musei del Polo museale fiorentino (Galleria degli Uffizi, Gallerie d’Arte Moderna, Palatina e del Costume di Palazzo Pitti) a quello romano (Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea e Musei Capitolini di Roma) dalla Pinacoteca De Nittis di Barletta alla Galleria Nazionale di Parma, a sicuramente Ferrara – città di Boldini – che ha fornito 34 opere del pittore provenienti dal Museo Boldini, lesionato tre anni fa dal terremoto. Numerose sono anche le opere che arrivano da importanti musei stranieri come il Musée d’Orsay, il Museo del Prado il Philadelphia Museum of Art, ma anche dalle Fondazioni bancarie o anche dalle tante collezioni private, a sottolineare una conoscenza capillare e la possibilità di ammirare opere altrimenti negate.
La rassegna mette in luce l’eclettica attività creativa di questo interprete emblematico che, oltre ai più noti dipinti, si espresse attraverso una molteplicità di tecniche e di generi: dalla produzione grafica di straordinaria modernità, agli acquarelli, dai disegni alle incisioni; esposti qui per la prima volta, persino dei grandi pannelli murali, realizzati per Villa Falconiera, presso Pistoia. Tanto da essere definito un “indiavolato talento” anche dal suo più giovane concittadino Filippo De Pisis.
Nelle sedici sezioni di mostra si ripercorre dunque il genio di un artista che, dalle umili origini e dall’orribile aspetto, si riscattò fino a diventare il più famoso e abbiente ritrattista mondano del suo tempo. Dalla prima stagione fiorentina, quando la città era capitale d’Italia, tra il 1864 e il 1870, a stretto contatto con i Macchiaioli fino al definitivo trasferimento a Parigi nel 1871, dove rimarrà per i restanti cinquant’anni, per seguire il celebre e potente mercante Goupil, che lo rese subito ricco.
Scene di vita mondana, di una società che Boldini ci ha tramandato in tutta la sua sensualità, ricchezza, eleganza, finezza intellettuale o superficiale frivolezza, catturate negli interni delle dimore o negli esterni dei cafè chantant. Sono però i grandi ritratti femminili, delle sue divine creature, femme-fleures, protagoniste della nobile società parigina della Belle Époque, a rappresentare la più complessa mitologia del pittore. Straordinaria è la galleria di ritratti in mostra, affiancati e serrati in una cosmogonia di tipologie di bellezza, di abiti e di incarnati da far girare la testa.
Non da meno è il confronto, alla fine del percorso, con altri protagonisti del ritratto mondano come il gruppo degli Italiani a Parigi e di antichi maestri. Scenografico vedere Il ritratto del cardinale Bentivoglio di Antoon Van Dyck, affiancato dalle due femmes en rouge (una delle quali è l’emblema della mostra) in un tripudio di tonalità che dai rosa cipria passa ai rossi vermiglio, ad unire sacro e profano, spiritualità e carnalità.
«Un sagace opportunista che dava ai signori quello che loro volevano vedere di se stessi», spiega Antonio Paolucci. «La sua “action painting”, come a volte é stata definita, ha servito la società, le belle donne, i dandy, gli aristocratici. Non è soltanto virtuosismo, non é solo mestiere, in realtà era un pittore estremamente colto e consapevole. Abbiamo detto tutto ciò che era giusto e necessario dire su Boldini».
E “Boldini. Lo spettacolo della modernità” appare l’evento espositivo cui spetta l’importante finalità di celebrare un decennio di grandi appuntamenti espositivi, che hanno preso avvio dalla fine dei lavori di ristrutturazione del complesso architettonico forlivese, antico convento domenicano. Un polo artistico che in soli dieci anni ha dimostrato all’Italia, e non solo, come lo sviluppo culturale possa essere volano di rinascita di una città e del territorio di appartenenza, «seguendo un percorso non occasionale, non saltuario, ma progettato, costruito, tenuto saldamente in linea sul piano scientifico e sul piano degli investimenti», sottolinea Roberto Pinza, presidente della Fondazione Cassa dei Risparmi di Forlì, che da dieci anni sostiene le iniziative. Basti solo pensare che il prossimo aprile il Musée d’Orsay ospiterà la mostra su Adolfo Wildt che è stata realizzata a Forlì nel 2012. Mostra con la quale i Musei di San Domenico hanno aperto, guarda caso, il trittico di esposizioni dedicate all’esplorazione della cultura figurativa tra Otto e Novecento, che va a chiudersi con quella dedicata a Boldini, appunto.
Parallelamente alla mostra forlivese e come iniziativa complementare, la città di Ferrara ha presentato nelle sale del Castello Estense (fino alla riapertura dei musei a Palazzo Massari), un allestimento di opere dei due più grandi artisti ferraresi protagonisti della scena internazionale tra Otto e Novecento: Filippo De Pisis e Giovanni Boldini.