BOLDINI, IMPRESSIONI DI SETTEMBRE

di - 20 Settembre 2009
Iniziamo con un’osservazione d’obbligo: ancora una
mostra su Boldini…

È vero, negli ultimi anni si sono susseguite diverse
mostre su Boldini, tutte antologiche però. La nostra si concentrerà invece sui
primi quindici anni di attività del pittore a Parigi, dal 1871 al 1886,
proponendosi di far luce su un periodo della sua arte poco studiato, durante il
quale Boldini, per dirla con le sue parole, dipingeva “quadri di tutti i
generi che sparivano facilmente perché avevo molto successo
”, quadri di straordinario
interesse e spesso di grande qualità in sé, ed essenziali anche per capire
continuità e discontinuità tra il Boldini degli anni fiorentini e il maestro
riconosciuto e celebrato del ritratto. Mi sembra importante anche il fatto che
una grande mostra di Boldini sia presentata per la prima volta in un museo
americano di grande prestigio. Si allarga l’interesse per l’artista e questo
credo potrà giovare alla sua fortuna critica.

Com’è strutturata la mostra? Ci sono novità dal punto
di vista critico?

La mostra ha un breve prologo dedicato agli anni
macchiaioli e un epilogo dedicato alla ritrattistica degli anni ’90, dove si
vedranno capolavori assoluti alcuni dei quali mai esposti prima d’ora in Italia
come il Ritratto di Whistler del Brooklyn Museum di New York o la Lady Colin
Campbell
della
National Portrait Gallery di Londra. Quanto alle novità, sono numerose e danno
un contributo significativo alla costruzione di una lettura filologica
dell’opera boldiniana. Richard Kendall ha esplorato un aspetto fondamentale, il
disegno. Oltre ad un confronto inedito tra l’itinerario boldiniano e quello dei
maestri dell’impressionismo, studiando i registri mai indagati fino ad ora del
mercante Goupil, Sarah Lees, la curatrice della mostra, ha identificato, tra
l’altro, molte delle sue opere giunte in America negli anni ’70 e ’80
dell’Ottocento. Questa ricerca si è integrata con quella di Barbara Guidi che,
studiando l’epistolario di Boldini e fonti dell’epoca mai esplorate, ha
contribuito a definire il volto della fortuna americana dell’artista. La sua
ricerca ha permesso inoltre di ridatare alcune opere come il ritratto del
pittore spagnolo Joaquin Araujo, da sempre ascritto al 1889 e invece esposto
alla Galleria Georges Petit di Parigi già nel 1882. Ha consentito, ancora, di
scoprire quali opere espose ad alcuni Salon: ad esempio, il Ritratto di
Alice Regnault in costume da amazzone
, della Galleria d’Arte Moderna di Milano, che presentò
nel 1880 o il Ritratto di Madame Max del Musée d’Orsay di Parigi, nel 1896. Ha permesso,
infine, di approfondire il rapporto che legò Boldini ad artisti come Degas e
Manet, Menzel, Sargent e Whistler.

Quali saranno le opere di punta della mostra?
Alcune le ho già nominate, altre le nominerò in seguito.
Quelle di cui non riuscirò a parlare spero che il pubblico venga a vederle in
mostra. Ma se mi chiede se ho un debole per qualcuna le rispondo
istintivamente: il Ritratto di Cléo de Mérode e il Ritratto di Whistler.

Boldini artista poliedrico, capace di variare
efficacemente dalle scene di genere alle vedute di città, dai paesaggi agli
interni d’atelier, dai nudi ai ritratti. Ma poi, appunto, si “specializzò”
diventando il ritrattista “ufficiale” del Bel Mondo fin de siècle
. Cosa lo spinse in questa
direzione?

I ritratti della maturità rappresentano il suo contributo
più alto ed originale alla storia dell’arte. Questo lo capì Boldini, lo capì il
mondo culturale a lui contemporaneo e lo capì anche la committenza. Penso sia
questa la ragione per cui, a partire dagli anni ’90, l’artista si dedicò soprattutto
all’arte del ritratto, ma senza smettere di dipingere – è bene non dimenticarlo
– anche quadri di altro soggetto.

Quanto conta l’esperienza macchiaiola nel suo modo di
fare ritratti?

Cogliendo istanze innovatrici provenienti dalla cultura
francese e in particolare, credo, da Degas, nella Firenze dei Macchiaioli
Boldini si distinse come principale artefice di un’autentica rivoluzione
nell’arte del ritratto, dipingendo i suoi modelli non più su uno sfondo neutro
e in un atteggiamento statico e ufficiale, bensì in ambienti fortemente
caratterizzati, non in posa ma in atteggiamenti i più svariati e perlopiù
informali, e talvolta, perfino, non nel chiuso di una stanza ma en plein air. È rifacendosi a quel precedente
che, all’inizio degli anni ’70, ad esempio in un dipinto come Giorni
tranquilli
,
Boldini rinnova il cliché del quadro di genere di maestri come Meissonier e
Fortuny, dandogli una freschezza e una spontaneità che prima non conosceva. Quanto ai ritratti, si pensi ad esempio a un capolavoro come il Ritratto del
giovane Subercaseaux
,
perdono ogni connotazione d’ambiente: con straordinario talento l’artista si
concentra sul personaggio e la sua definizione psicologica, ma senza perdere
nulla in spontaneità e in freschezza. Certo l’originalità, anche stilistica, di
queste tele è grande – non a caso definiscono una nuova forma di ritratto
ufficiale – ma un sottile filo rosso che li lega alla tradizione del ritratto
boldiniano è ancora riconoscibile.

Boldini vedutista, nella città come nella campagna.
Dove si trovava più a suo agio, pur restando sempre en plen air
?
Per me è fuori discussione: nella città. Boldini si è
immerso nella vita della vecchia metropoli protagonista della rivoluzione che
ha cambiato il corso della pittura moderna, città immensa e misteriosa,
pulsante di vita ad ogni ora del giorno e della notte, crogiolo di culture
diverse, luogo ideale, insomma, per un rapporto con la vita e la realtà intenso
e libero come quello che Boldini ha avuto. Certo che se penso ad un quadro
straordinario come La grande strada a Combes-la-Ville, mi viene da dubitare per un
momento di ciò che ho detto.

Boldini cantore dei caffè e dei teatri, così come dei
suoi protagonisti: più Degas o Toulouse-Lautrec?

A mio avviso Degas. Basta pensare alla bellissima Cantante
mondana

raffigurata di schiena mentre con un gesto repentino e teatrale si alza e apre
il ventaglio, un elemento formale molto amato, questo, dal grande francese. Per
non dire della composizione caratterizzata da un taglio improvviso che lascia fuori
dall’inquadratura l’intero corpo del pianista, mostrandone solo le mani che
scorrono sulla tastiera. È un frammento di realtà, certo, ma una realtà che
Boldini ha colto e isolato al suo primo apparire, passandola poi subito al
filtro di una raffinata visione formale alla maniera del grande francese.

Boldini impressionista: cosa lo differenzia dai
celeberrimi e – diciamolo pure – superinflazionati “colleghi”?

Nel 1880, Claude Monet, il padre dell’impressionismo,
dichiarò: “Il mio atelier! Ma io non ho mai avuto un atelier, e non capisco
chi si rinchiude in una stanza”
, per poi aggiungere, indicando la Senna e la campagna
vicino a Vétheuil: “Ecco il mio atelier”. Il linguaggio pittorico degli impressionisti, negli
anni ’70 si fondava su principi comuni come l’attenzione prestata alla luce ed
alle sue infinite variazioni, una tavolozza più chiara e luminosa, e ancora
ombre colorate e contorni sempre più sfumati. Infine, la pennellata era minuta,
rapida e nervosa, nel tentativo di rendere appieno un attimo fuggente, intenso
e felice. Nulla di tutto questo vale per Boldini in maniera così assoluta.
Boldini pratica la pittura en plein air ma non rinuncerebbe per nulla al mondo
all’atelier. È attento alla luce ma si guarda bene dal farsi ossessionare dalle
sue infinite variazioni. Usa colori chiari e luminosi ma anche scuri e,
talvolta, volutamente spenti. L’ombra per lui non ha colore, mentre le cose
mantengono i loro contorni. Ma soprattutto, credo, non ha col soggetto
l’impatto emotivo che hanno gli impressionisti. E’ più un narratore della
realtà che lo circonda. E, infine, in più di un caso medita a lungo i suoi
quadri come dimostreranno diversi studi preparatori e bozzetti, esposti in
mostra anche per sfatare l’immagine ancora troppo diffusa di Boldini come
grande “improvvisatore”.

Negli anni ‘80 Boldini diventa “pantofolaio”, tutto
casa e studio. E le sue vedute d’atelier sono sconvolgenti. Che ruolo giocarono
gli ambienti e gli oggetti nel suo personalissimo universo privato?

È come se improvvisamente, dopo aver esplorato
instancabilmente i mille volti della capitale francese, quasi nella convinzione
che soltanto “chi viaggia, ha molto da raccontare”, Boldini si renda conto che
anche la sua casa e il suo studio sono un mondo sconfinatamene grande, e come
l’altro capace di evocare emozioni e suggestioni formali. Anche chi rimane
fermo nello stesso luogo e scava in profondità in sé stesso e in quel luogo,
può avere molto da raccontare. Sembra essere questa, di fronte agli ambienti e
agli oggetti che lo hanno accompagnato per una vita, la convinzione intima
dell’artista.

Boldini fu un grande artista ma oggi non tutti lo
conoscono. Le ragioni in due parole.

Nella storia dell’arte è accaduto spesso che le qualità di
un artista si siano scoperte appieno solo con il trascorrere del tempo e che
solo con il trascorrere del tempo si sia diffusa, conseguentemente, la sua
notorietà. Questo credo accadrà anche a Boldini se si continuerà a studiarlo
con serietà filologica; se si mostrerà al pubblico la parte migliore della sua
produzione; se, infine, data la sua persistente, e peraltro parzialmente
discutibile, identificazione con la Belle Epoque, verrà meno la scomunica
ideologica che perseguita quel periodo storico e comincerà uno studio serio di
quella stagione ricca di valori di ogni genere, anche se fragile ed effimera
per altri aspetti.

Chi era, secondo lei, “veramente”, Boldini?
Un grande talento con molta più cultura e intelligenza di
quello che ancora non si voglia ammettere al quale il successo e la ricchezza
raggiunti rapidamente non hanno giovato.

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Boldini
a Padova

a cura di elena percivaldi

*articolo pubblicato su Grandimostre n. 5.
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dal 19 settembre 2009 al 10 gennaio 2010
Boldini nella Parigi degli Impressionisti
a cura di Sarah Lees
Palazzo dei Diamanti
Corso Ercole I d’Este, 21 – 44100 Ferrara
Orario: tutti i giorni, ore 9-9
Ingresso: intero € 10; ridotto € 8
Catalogo Ferrara Arte Editore
Info: tel. +39 0532244949; www.palazzodiamanti.it

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