La cittĂ di Borges, di Maradona, dei âbarriosâ eleganti come quello di Palermo, o popolari come La Boca, noto per il club di calcio e per i tangueri, ma anche la terza metropoli piĂš popolata dellâAmerica del Sud, in altre parole Buenos Aires. La capitale argentina vista attraverso 65 artisti di etĂ diverse, magari non tutti noti ma con molto da dire, riuniti nellâesposizione âMy Buenos Airesâ.
Aperta fino al 20 settembre presso la Maison Rouge di Parigi, la mostra fa parte di un ciclo, che iniziato nel 2011, è dedicato alle cittaĚ, la megalopoli sudamericana è stata preceduta da i focus su Johannesburg e su Winnipeg in Canada. La âmia Buenos Airesâ, sottolinea la visione personale e tutta da scoprire di artisti perlopiĂš nati nella capitale, che ce la raccontano attraverso strade e volti dimenticati o nuovi, lontano dai sentieri turistici di cartoline sbiadite e che non mancano di mostrarci senza paure i segni indelebili di una dolorosa storia, quella che va dalla dittatura (1976-1983), al fenomeno dei desaparecidos, fino alla grande crisi economica del 2001. Un vero patchwork coloratissimo dalle trame variegate, spesso autobiografiche, che mette in prima linea la strada e la gente, senza esclusione di generazione o di classe, attraverso poesie, musiche, video, foto, pitture, sculture ma anche installazioni.
Sollecitando lâempatia dello spettatore, la mostra regala lâinsolita sensazione di passeggiare non per sale espositive, ma per i quartieri di una delle piĂš belle metropoli al mondo. CosĂŹ una cittĂ misteriosa si apre ai nostri occhi con un gran numero di opere, ben 120, tra strade notturne e piazze soleggiate, bancarelle con merce contraffatta, passaggi misteriosi che attraversati uno dopo lâaltro la ridisegnano restituendocela come un unico corpo.
Si riscopre una nuova urbanitĂ e il senso della comunitĂ , attraverso lo sguardo sognatore, o disperato, o realista di artisti che hanno in comune la voglia di testimoniare, di condividere la loro visione della realtĂ , e in cui si coglie qua e lĂ un concetto rinnovato di cultura della sostenibilitĂ . Mediante cosa? Vedi lâuso di materiali, poco tecnologici, ma piuttosto grezzi, che vanno dalle stoffe, al legno, alla ceramica e al gesso. Sono presenti la fotografia e il video, che però non intaccano la dimensione umana dellâopera. In molte creazioni lâartista stesso si mette in prima linea per raccontarci la sua esperienza, quasi sempre con umorismo, anche se drammatica come quella di Ana Gallardo in Casa Rodante (video, 2007). Nel 2006 lâartista e sua figlia rimangono senza casa, dopo aver passato oltre un anno a casa di amici finalmente trovano un tetto, ma alcuni mobili a cui entrambe erano molto legate, non entrano nel nuovo alloggio, cosĂŹ Ana Gallardo decide di assemblarli per farli diventare le pareti di una casa su ruote che trascina per le strade di Buenos Aires a colpi di pedalate, il video ritrae il percorso dellâoriginale carovana. Lâartista, inoltre, presenta il video A boca de jarro (Point Blank, 2008), in cui filma Silvia MĂłnica, transessuale e militante di unâassociazione di donne che hanno battuto il marciapiede. Silvia, che da sempre ha voluto cantare, intona sulle note di un tango popolare di Osvaldo Fresedo il testo di un articolo che parla della prostituzione infantile in Argentina. Ana Gallardo è attualmente esposta alla Biennale di Venezia presso lâArsenale.
Tra i video anche Totloop (16-mm video, 2003) di Fabio Kacero, qui lâartista si mette in scena morto, disteso per strade via via diverse, si confronta con lâindifferenza generale. Ma anche Pasajes #1 e Pasajes #2 (video, 2012) di Sebastian Diaz Morales, due video di carattere minimalista, in cui lâartista attraverso porte dopo porte, ci porta a spasso tra vicoli, edifici, musei, scale e stanze. E in un labirinto interminabile ripercorre silenziosamente a piedi la capitale come in un flusso di coscienza. Ma eccoci nel bel mezzo della Salada, il piĂš grande mercato argentino di merce contraffatta venduta a prezzi stracciati. I locali, i commercianti e gli artigiani sono seguiti dallâocchio infaticabile di JuliaĚn DâAngiolillo, che ne ha fatto un interessantissimo documentario dal titolo Hacerme Feriante (2010), che ripercorre la storia di un luogo che cambia freneticamente, passando cosĂŹ da chi produce i prodotti contraffatti per poi piombare nel cuore dellâorganizzazione.
In My Buenos Aires scopriamo che la comunitĂ artistica, oltre ad essere vivacissima, è molto solidale: per fronteggiare la carenza di infrastrutture, gli artisti aprono i loro atelier ed organizzano le cosiddette âcharlasâ, ovvero discussioni. Il sentimento di condivisione tra artisti lo ritroviamo nellâopera Nota al pie di Guillermina Mongan, libro polifonico che racconta storie costruite collettivamente. Il punto di partenza di questo grande puzzle murale, composto di documenti disparati dagli appunti alle foto, sono i 65 artisti della mostra, che figurano anche nel sito www.nota-al-pie.org realizzato per completare il lavoro collettivo.
Con la serie FlaĚneur (2004), la bella fotografia di Alberto Goldenstein solca le strade della cittĂ catturando la gente che la vive e la crea, senza enfasi ma con realismo e amore del dettaglio. Tra i lavori interessante Cartelera (2004-2015) di Elisa Strada, che presenta un enorme cartellone completamente riempito di ogni tipo di volantino, banale o insolito, che vanno dal politico alla vendita di oggetti, dai corsi di chitarra alle prestazioni sessuali, con cui lâartista tratteggia, in una sorta di work in progress, una mappa della memoria della cittĂ . Tra le installazioni Dominio (2013) di TomaĚs Espina & Martin Cordiano, nata in una residenza al MAC/VAL, museo dâArte Contemporanea del Val de Marne, alle porte di Parigi, lâopera sâispira ad un testo teatrale di Roberto Espina. Viene qui presentato un alloggio arredato di tutto punto, rassettato dopo una scossa di terremoto, che mostra ancora ben visibili le profonde fratture dei mobili, le fenditure rimandano a sofferenze indelebili.
Da non perdere lâinquietante capanna in legno di Eduardo Basualdo, La isla (2007-2014), dovei ritroviamo, calati in una semioscuritĂ : bonsai morti, disegni, crani umani e sculture sospese realizzate con piantine vegetali. Anche Basualdo è attualmente presente alla Biennale di Venezia. Infine, intriganti le sculture di Diego Bianchi, Sculptures cachĂŠs (2015), poste dietro pareti intagliate di alcune sale espositive, ma anche Carlos Huffmann con Portrait of the artist as a young writer (olio su tela, 2012).
Una mostra da non lasciarsi sfuggire, che si può riassumere con queste parole. âBuenos Aires, costellazione di storie possibili, come quei libri per bambini in cui il lettore è anche il personaggio principaleâ. Commenta Albertine de Galbert, curatrice dellâesposizione insieme a Paula Aisemberg.
Livia De Leoni