Con il mito dell’ebreo errante in cerca di radici, Marc Chagall fluttua ancora nei cieli di Roma fino al 26 luglio. La rassegna, organizzata da Arthemisia Group in collaborazione con Dart e l’Israel Museum, rischia di passare per un’operazione commerciale senza chiari obiettivi culturali. Ma perché?
Vi ricordate del notevole artista russo di origini ebraiche dal leggero strabismo, eccezionale autore de Il violinista (olio, 1912), I fidanzati della Tour Eiffel (olio, 1939) o la Passeggiata (olio, 1918) nonché di sculture, arazzi e mosaici? Ecco, al Chiostro del Bramante non c’è nulla di tutto ciò, tranne due oli e molta produzione grafica. Le ragioni però ci sono tutte: la mostra si concentra sulle incisioni, le gouache o le illustrazioni, dunque sugli aspetti più inediti dell’artista, ma forse punta anche su alcuni effetti speciali. Si mette in atto una particolare attenzione alla scenografia delle sale e una forte considerazione comunicativa (e commerciale?) del visitatore. Per incantare il visitatore (e tutto sommato ci riesce) oltre a quattro opere che prendono forma e colore, all’immersione nell’opera con i magneti o all’immedesimarsi ne La passeggiata, la selezione operata di 140 opere proviene interamente da un’unica collezione, quella dell’Israel Museum che quest’anno compie 50 anni e che per l’occasione concede i prestiti.
Verrebbe da dire, tutto qui. Se non fosse che Chagall, al di là dell’esposizione, e già come durante la sua vita, non si arrese mai alla bruttezza della storia. E allora di fronte alla barbarie della persecuzione ebraica o davanti ad altri disastri, adesso come un tempo, ci porta in volo nel suo mondo di fiaba. E forse in ciò trova senso tutta l’operazione espositiva.
Con gouache come Sopra Vitebsk (suo paese natale), L’angelo caduto o Crocifissione, o Gli amanti o Coppia di innamorati con fiori ci proietta in un’altra dimensione, quella della Russia e dei paesaggi innevati, delle favole di La Fontaine o delle illustrazioni della Bibbia e della moglie.
Il titolo dell’esposizione “Chagall. Love and Life” mette in risalto la sua prima fonte d’ispirazione, l’amore per la moglie Bella. La sua stupenda esperienza personale dà vita e colore a quelle figure di amanti avvitati uno all’altra, in un bacio o in un abbraccio, in un volo sospeso o ancora a testa in giù, per dirla con Larkin, “come maledetti uccelli liberi”.
Il giovane artista, a ventidue anni parte per Parigi ed entra in contatto con i fauves e con gli esponenti del Cubismo. C’è in mostra il suo Studio per mercante di bestiame considerato “cubista”, ma lui di quella corrente d’avanguardia ne assorbe solo i temi per poi riassumerli nel suo linguaggio estremamente personale. Sebbene ricorra assai raramente a iconografie tradizionali (la splendida Apparizione o la Caduta dell’angelo) le sue scelte ricadono più spesso sui temi dell’innamoramento.
Sul ponte di Vitebsk, racconta Bella: «Avevo l’impressione che qualcuno mi stesse seguendo, ma non riuscivo a scorgere nessuno, né udivo rumore di passi. Poi d’improvviso davanti a me apparve un cappello». Quello stesso cappello che Marc mette in testa nel suo Autoritratto (una puntasecca del 1923) in forma di casetta pendente (ricorda quella di Bomarzo!).
Nel percorso espositivo le opere si susseguono di sala in sala, con le incisioni delle Favole di La Fontaine (le celebri La volpe e il corvo o La volpe e la cicogna), quelle delle Anime nere di Gogol (L’arrivo di Cicikov) e le illustrazioni del libro della moglie così fortemente marcate di tradizioni ebraiche: Shabbat, il Capodanno ebraico o il Sukkot (festa di ringraziamento per la raccolta d’autunno).
Quando nel 1930 Chagall si dedica alla terza folle sfida lanciata da Vollard, di illustrare la Bibbia, l’impresa brevemente interrotta per l’avvento della II guerra mondiale, lo aveva portato con la famiglia a viaggiare in Palestina. Ma nonostante i viaggi per conoscere Paesi o culture diverse, ciò che più sorprende di questo trasognato poeta sghembo e surreale, è quella ferma volontà di non rifarsi mai a forme o iconografie precedenti. Se per la Bibbia scava direttamente nel testo sacro “eco della natura”, le acqueforti attestano la sua maestria in quella tecnica e dimostrano quanto era profonda la sua comprensione del legame tra donna, uomo e Dio.
Chagall dal 1931 visiterà Israele otto volte e in queste occasioni potrà dedicarsi alle vetrate policrome della sinagoga dell’ospedale Hadassah di Gerusalemme. L’olio in mostra L’interno della sinagoga rivela forse con più forza quell’idea di riflessione e contemplazione “lievemente oscillante”.
Una distorsione, tanto importante nella sua poetica. E che forse la mostra non racconta del tutto.
Anna de Fazio Siciliano