Create an account
Welcome! Register for an account
La password verrà inviata via email.
Recupero della password
Recupera la tua password
La password verrà inviata via email.
-
- container colonna1
- Categorie
- #iorestoacasa
- Agenda
- Archeologia
- Architettura
- Arte antica
- Arte contemporanea
- Arte moderna
- Arti performative
- Attualità
- Bandi e concorsi
- Beni culturali
- Cinema
- Contest
- Danza
- Design
- Diritto
- Eventi
- Fiere e manifestazioni
- Film e serie tv
- Formazione
- Fotografia
- Libri ed editoria
- Mercato
- MIC Ministero della Cultura
- Moda
- Musei
- Musica
- Opening
- Personaggi
- Politica e opinioni
- Street Art
- Teatro
- Viaggi
- Categorie
- container colonna2
- container colonna1
05
ottobre 2015
Che significa essere liberi?
Progetti e iniziative
La mostra della Fondazione Golinelli di scena al MAMbo interroga l’idea di libertà e le sue limitazioni. Un focus ad ampio spettro sulla politica, le nostre città, il corpo. E la vita
E se la nostra libertà fosse solo un’illusione? se il libero arbitrio non esistesse e le nostre scelte fossero condizionate semplicemente da una serie di reazioni chimiche all’interno del nostro cervello? Senza contare i dettami della moda, le abitudini, la pubblicità, il pensiero politico e quant’altro ogni giorno ci abitua a “non pensare”. Dobbiamo, in fondo, rassegnarci: il Think different dei primi anni Duemila è stato solo una chimera, un’abile trovata pubblicitaria che è riuscita a ingabbiarci in schemi comportamentali ancora più rigidi e insensati.
“Gradi di libertà: dove e come nasce la nostra possibilità di essere liberi”, la nuova mostra promossa dalla Fondazione Golinelli, nata all’interno del programma espositivo “Arte, Scienza e Conoscenza” – che torna a Bologna, al Museo d’Arte Moderna, dopo la passata edizione milanese –ha proprio l’intento di farci riflettere sulla nostra libertà personale in questa società contemporanea così ingannevole. Dopo aver affrontato questioni legate alla modificazione genetica degli esseri viventi (Antroposfera, 2010), al rapporto con le nuove tecnologie (Happy Tech, 2011), ai cambiamenti dell’uomo nelle sue varie età (Da zero a cento, 2012) e al gusto (Gola, 2014), i due curatori, Giovanni Carrada per la parte scientifica e Cristiana Perrella per quella artistica, quest’anno ci raccontano la libertà, indagandola in ogni sua forma e grado, in ogni sua implicazione comportamentale, scientifica e artistica.
Ed è proprio l’arte l’interlocutore principale, simbolo di libertà assoluta per la coscienza collettiva, così come gli artisti, sono considerati gli uomini liberi per eccellenza. E questo dimenticando come nella realtà, le limitazioni della censura – dai casi estremi di Ai WeiWei e Tania Bruguera, alle recenti polemiche palermitane sulla mostra di Hermann Nitsch per citare gli esempi più eclatanti – e delle regole del mercato, rendano l’azione concreta degli artisti molto meno libera di quanto si creda.
Il percorso espositivo parte da una riflessione sulla libertà di pensiero: Die Gedanken sind frei (I pensieri sono liberi) di Susan Hiller. L’artista americana trascrive sui muri del MAMbo i testi di un centinaio di canzoni popolari legate alla libertà e alla autodeterminazione sociale e politica dei popoli a formare un unico grande inno collettivo, che travalica i differenti contesti temporali e geografici in cui sono state scritte queste canzoni. Da un’idea di libertà collettiva a quella personale all’interno della società, ritratta nei riflessi che le mode di oggi hanno sul nostro corpo: le modelle omologate di Vanessa Beecroft e i tattoo del messicano Dr Lakra, ci ricordano come il nostro corpo sia lo specchio del grado di libertà del nostro cervello. L’appartenenza a un’estetica collettiva ci rassicura e ci aiuta nelle relazioni sociali, rendendoci però meno liberi di essere noi stessi. Ma se fosse proprio il nostro corpo a limitarci? Possono i nostri impulsi biologici (il bere, il mangiare, il dormire) dimostrarsi delle gabbie per la nostra libertà? In One Year Perfomance 1980-1981 il performer cinese Tehching Hsieh decide di privarsi della propria libertà personale per dimostrare proprio come ogni nostro comportamento sia in realtà condizionato dai ritmi imposti dal normale ciclo biologico. Puntale, ogni ora per un anno, Tehching timbra un cartellino, con un rituale simile a quelli che regolano i ritmi di vita in fabbrica. Un’azione ripetuta con costanza, senza distinzione tra giorno e notte, senza mai potersi allontanare dall’obliteratrice per un tempo che non ne garantisse il rientro in orario.
Si passa poi alla trattazione dell’adolescenza, il periodo della vita in cui un individuo forma la propria libertà, intesa come capacità critica di scelta. Nelle immagini dell’inglese Ryan McGinley, le difficoltà del passaggio all’età adulta si trasforma in un delicato paragone tra i corpi nudi dei giovani ritratti e le asperità di paesaggi naturali incontaminati. Ma l’adolescenza è soprattutto l’età della rivolta, rappresentata dall’opera del videoartista turco Halil Altindere che in Wonderland ci racconta delle rivolte a Sulukele, uno dei quartieri di Istanbul oggi soggetto al fenomeno di gentrificazione, passato da dormitorio rom a nuovo quartiere alla moda per la borghesia turca. Ribellione al sistema attraverso l’arte è quanto muove la poetica dall’artista britannico Bob and Roberta Smith (pseudonimo di Patrick Bill), che ricalca le atmosfere dei sitting-in di protesta con cartelli dipinti con colori accesi e slogan in difesa dell’importanza dell’educazione artistica nelle scuole. “Gradi di libertà” affronta tematiche legate alla vita in fabbrica (Cao Fei, Whose Utopia?), alle dipendenze dalla nuove tecnologie e dai social media (Ryan Trecartin, Tommy-Chat Just Emailed-Me), al rapporto con il contesto urbano (Igor Grubić, 366 rituali di liberazione) fino all’analisi della condizione stessa di libertà, con l’opera dell’unico italiano in mostra: Pietro Ruffo. L’artista romano è presente con la serie I traditori della libertà, i ritratti dei sei filosofi della Rivoluzione Francese (De Maistre, Fichte, Hegel, Helvetius, Rousseau, Helvetius), accusati da Isaiah Berlin (I due concetti di libertà, 1958) per le loro posizioni antiliberali.
Alla fine di questo entusiasmante viaggio alla ricerca del significato vero di libertà, non si può non condividere il pensiero di Marino Golinelli, il vero deus ex machina di questa mostra, che nel testo di presentazione che apre il catalogo edito da Silvana Editoriale, scrive: «Se non impariamo a essere liberi da giovani, non lo saremo forse mai. È questa la conclusione che più mi ha colpito, fra le tante cui psicologi e neuroscienziati sono arrivati nelle loro ricerche sulla libertà. Mi ha colpito perché la libertà di cui parlano non è soltanto quella dei vincoli imposti dalla famiglia, dalla scuola o dalla società, ma anche e soprattutto quella che i giovani stessi devono costruirsi dentro. Solo una mente ricca di risorse può scegliere e realizzare i suoi progetti ed essere quindi davvero libera. Che cosa sono queste risorse? Esperienza e cultura, in una parola: conoscenza».
Leonardo Regano