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04
febbraio 2015
Chironi e la nuova esperienza dell’abitare
Progetti e iniziative
Non “stare” e basta, ma il viverci come possibilità di trasformare la vita stessa in un luogo. A partire da Le Corbusier e da uno strano episodio in Sardegna. Poi in giro per il mondo
di Elena Magini
All’Esprit Nouveau di Bologna si è tenuta la prima tappa dell’articolato progetto di Cristian Chironi (Nuoro, 1974), My house is a Le Corbusier, opera in progress che prevede l’abitazione da parte di Chironi di trenta case dell’architetto francese, in dodici nazioni diverse, da svilupparsi in un arco temporale esteso.
L’interesse dell’artista sardo nei riguardi della poetica abitativa di Le Corbusier si origina da un curioso episodio avvenuto negli anni Settanta, che vede il coinvolgimento dell’artista, scultore e intellettuale Costantino Nivola e della sua famiglia. Nivola donò un progetto originale di Le Corbusier al figlio del fratello “Chischeddu”, prossimo alle nozze e impegnato nella costruzione della propria abitazione a Orani, paese in provincia di Nuoro di cui lo stesso Chironi è originario. Nel momento esecutivo, il nipote apportò sostanziali modifiche al progetto di Le Corbusier per motivazioni di carattere economico, ma anche per incomprensioni culturali e interpretative: il modulo abitativo dell’architetto francese fu infatti considerato troppo originale, bizzarro e per nulla funzionale.
Chironi trae spunto da questo avvenimento per riflettere sulla commistione tra linguaggio architettonico e cultura popolare, in forte continuità espressiva e concettuale con l’ibridazione di forme già sperimentata nel progetto Broken English (Museo Man di Nuoro, 2014). In entrambi i casi l’artista si ispira a vicende accadute in Sardegna, dove l’influenza di personaggi provenienti da contesti “altri” ha potuto generare particolari commistioni culturali e sedimentazioni linguistiche.
Se in Broken English è la figura di Benjamin Piercy – ingegnere gallese che nella seconda metà dell’Ottocento realizzò la prima linea ferroviaria sarda – che va ad alimentare suggestioni identitarie e analisi di modelli misti che coniugano usanze inglesi e conoscenze sarde, in My house is a Le Corbusier Chironi si concentra sullo scollamento tra opera e sua fruizione, tra l’idea di architettura ideale mutuata da Le Corbusier e la funzionalità popolare degli alloggi, per una generale riflessione su problematiche legate alla contemporaneità, all’abitare e alla comunicazione, all’architettura e alla sua memoria, secondo una prospettiva fortemente empatica ed emozionale.
La dimensione performativa, cifra distintiva dell’opera di Chironi che in lavori come Poster (2006) o Cutter (2010) è connessa alla vivificazione dell’immagine o alla sua manipolazione, qui non viene circoscritta all’atto della creazione artistica, ma assume le forme della vita stessa. My house is a Le Corbusier è una residenza in divenire che permetterà all’artista di esperire le costruzioni del celebre architetto mediante un approccio libero e vitale, vivendo culture e geografie dissimili capaci di connotare ulteriormente la già intensa esperienza abitativa. Le case di Le Corbusier divengono per Chironi «postazioni di osservazione privilegiate», per mezzo delle quali restituire un’inedita rilettura dell’opera dell’architetto francese e della sua eredità intellettuale, e allo stesso tempo riflettere sulla stessa idea di casa quale problematica sociale, bene prezioso e diritto inalienabile, che solo grazie ad un atto di rivendicazione dell’artista si trasforma in merce di scambio dell’intero progetto.
La residenza di Bologna è stata l’esordio di questo vero e proprio cantiere di ricerca e laboratorio; Chironi ha soggiornato all’Esprit Nouveau per circa tre settimane, dove al termine di un primo momento di studio e lavoro solitario ne è seguito uno di dialogo e confronto con gli spettatori, che hanno visitato lo spazio e interagito direttamente con l’artista durante i giorni di Art City, in occasione di Arte Fiera. La particolarità dell’edificio, che coniuga un modulo abitativo ad uno espositivo, ha definito l’approccio di Chironi, che in My house is a Le Courbusier (Esprit Noveau Bologna) va a mescolare la dimensione della vita quotidiana alla sua pratica artistica e progettuale. Gli interventi disseminati all’interno dello spazio ripropongono la consueta modalità operativa dell’artista, dove video, documentazioni, fotografie e oggetti si ibridano per raggiungere forme nuove, in un continuum diversificato. La rigorosa classificazione di immagini, declinata con piglio tassonomico già in lavori come Data (2012), si accompagna ad accostamenti visivi inaspettati che creano cortocircuiti concettuali; il libro è ancora una volta strumento normativo privilegiato, le “pieghe” con le immagini degli edifici di Le Corbusier originano nuovi livelli spaziali e temporali che si connettono l’un l’altro, così come accadeva in Folder (2012), successioni di pagine estrapolate da uno stesso libro, dove l’azione di piegatura effettuata dall’artista ne destrutturava la continuità dando luogo ad una deriva visuale e di senso. L’accumulo di elementi eterogenei di My house is a Le Courbusier (Esprit Nouveau Bologna) origina una narrazione vivificata del reale, che è fortemente permeata dalle caratteristiche costitutive dello spazio: illuminazione, ampi spazi e policromia della casa entrano in rapporto sinergico con le azioni e le opere di Chironi, si fanno sintassi di un dialogo serrato tra architettura e artista e allo stesso tempo tra opera e spettatore.
La commistione di pratiche e mezzi, l’attenzione verso la dimensione oggettuale del quotidiano e la sua manipolazione tesa a creare nuovi livelli di senso possibili, caratterizzano da sempre la ricerca di Cristian Chironi. Il progetto in progress My house is a Le Corbusier si pone in stretta continuità linguistica con la sua opera precedente, immettendovi inediti imput creativi e possibilità di riflessione, e avvia pertanto una nuova fase, fertile e densa, di confronto con l’esistente.