Nella fredda mattina del 3 gennaio 1954 l’Italia delle ‹‹cento città›› si ritrovò, forse per la prima volta davvero tutta unita, a consumare il primo rito d’intrattenimento collettivo della sua storia. Dagli studi di Roma inaugurava le sue trasmissioni televisive la RAI, Radio-televisione italiana.
Le divisioni culturali -linguistiche, soprattutto- che fino ad allora, nonostante i quasi cento anni di unità nazionale, avevano continuato a mantenere Bolzano e Caserta mondi paralleli e non comunicanti fra loro, con la nascita della televisione italiana, cominciarono lentamente a sparire. A poco, a poco, da Leuca a Cantù, questo curioso elettrodomestico entrava a far parte della vita quotidiana di un’intera nazione, divenendo presto oggetto di consumo indispensabile, al pari delle moderne cucine a gas e dei nuovi frigidaires all’americana.
Tutti, in rigoroso silenzio, si assisteva al miracolo della materializzazione medianica dei primi eroi televisivi, delle prime notizie in tempo reale, dei primi quiz e dei primi documentari-inchiesta. Quelle immagini sbiadite, di programmi dimenticati, sepolti da stratificazioni senza fine di veloci fotogrammi in movimento, ritornano ora alla memoria,
Un tuffo nel passato, quasi come in un album di famiglia, in cui si ritrovano la generosa scollatura di Sophia Loren ad incendiare i sogni proibiti degli adolescenti della fine degli anni Cinquanta, ed un giovanissimo Mike Buongiorno che già allora imperversava con cuffie e “cabine di concentramento” a torturare i primi concorrenti televisivi. I grandi del cinema, del teatro e dell’avanspettacolo –Vittorio Gassman, Alberto Sordi, Aldo Fabrizi, Franca Valeri, Renato Rascel, Totò, Raimondo Vianello, Ugo Tognazzi– alternavano le presenze in tv alle più prestigiose ribalte nazionali. Molti cantanti prestati allo spettacolo -su tutti Mina in Studio Uno (1966), e più tardi in Teatro 10 (1972)- facevano, con eleganza e sobrietà, la storia del varietà televisivo e conquistavano larghe fette di pubblico trasversale. Lo sport trasmesso, anche in differita, come allora si usava più spesso fare, accalcava folle di amici solidali nei bar a tifare per la squadra o il giocatore del cuore davanti al piccolo schermo.
Accanto al puro intrattenimento non mancavano importanti spazi dedicati alla cultura (Giuseppe Ungaretti accanto ad Edmonda Aldini ne L’Approdo, 1963), all’approfondimento d’attualità -memorabile la cronaca di Piero Forcella e Tito Stagno dello sbarco dell’uomo sulla luna (Operazione Luna, 1969)-, a scomode inchieste giornalistiche (Marrazzo padre), alle tribune politiche (Tribuna politica con
Il confronto politico è diventato chiacchiera salottiera, gli editoriali di approfondimento in coda ai TG, affidati una volta alle più prestigiose firme del giornalismo italiano, sono stati praticamente soppressi, teatro e cinema d’autore non vengono trasmessi mai prima delle due di notte, la satira politica più intelligente e audace è stata bandita da ogni palinsesto.
Può essere, questa mostra, il pretesto per ripensare una RAI migliore? Per ritrovare e dare senso alla sua più intima natura di servizio pubblico? In tempi di sadico e compiaciuto voyeurismo televisivo, c’è ancora spazio per la qualità di una programmazione orfana di una grossa fetta di pubblico e da anni, ormai, in grave crisi di ascolti? Può questa operazione-nostalgia convincerci del meglio di ciò che è stato e salvarci dall’abbrutimento cui ci costringe la televisione di oggi?
davide lacagnina
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