Crowdfunding, per alcuni è una pratica pressoché sconosciuta, per altri sembra essere l’uovo di Colombo che risolve una volta e per tutte il costante problema della mancanza di fondi e finanziamenti nel sistema dell’arte italiana.
Secondo l’ultimo rapporto pubblicato nel 2015 dall’equipe di ricerca
Massolution, a fine dicembre 2014 le piattaforme di
crowdfunding erano 1.250 – di cui 600 solo in Europa e 375 in Nord America – e hanno registrato un volume di raccolta complessivo pari a 16,2 miliardi di dollari, con un incremento del 167% rispetto al 2013. Fra le prime cinque categorie per volume di raccolta nel 2014 vi sono la
Business and Entrepreneurship, con 6,7 miliardi di dollari raccolti (pari al 41,3% del totale), a seguire le campagne per cause sociali (18,85%), per le produzioni culturali e cinematografiche (12,13%), di promozione e produzione musicale (4,54%) e per il settore science &tech (4.36%). La categoria Art (general) si posiziona invece all’ottavo posto su dieci, con una percentuale del 1,68%.
In questo scenario, promettente – ma che al tempo stesso mostra chiaramente che per quel che riguarda il settore artistico c’è ancora da lavorare per far sì che il crowdfunding divenga un metodo per reperire fondi che possa garantire sicuri ed ampi margini di crescita e sviluppo – è nata
BeArt, la prima piattaforma di crowdfunding on-line esclusivamente dedicata all’arte contemporanea (
www.beartonline.com). Ideata da tre soci Italiani (Jessica Tanghetti, Mauro Mattei e Giorgio Bartoli) e con base a Londra, BeArt muove dalla considerazione che tutti i players del mondo dell’arte contemporanea abbiano un’esigenza strutturale di raccogliere fondi per sostenere finanziariamente la propria attività, così come raccontano in questa intervista.
Quali sono le caratteristiche secondo le quali scegliete i progetti da seguire e promuovere sulla piattaforma?
«BeArt non è la prima piattaforma di crowdfunding al mondo, ma è la prima dedicata esclusivamente all’arte contemporanea, in tutte le sue forme. Per un’esigenza di coerenza con le caratteristiche del mondo dell’arte, e al fine di garantire la credibilità della piattaforma agli occhi sia degli operatori dell’arte sia dei fruitori, BeArt effettua una selezione curatoriale dei progetti che vengono pubblicati online: viene valutato il curriculum del professionista dell’arte o dell’artista, o la rilevanza nel caso di istituzione, la qualità e credibilità del progetto proposto nonché il grado di coerenza nell’ottica del crowdfunding. Un ulteriore aspetto che prendiamo in considerazione è quello etico, che si esplica nella promozione di giovani artisti talentuosi o nel supporto a spazi espositivi che altrimenti rischierebbero di cessare la propria attività».
Quali sono gli obiettivi del progetto?
«Sono essenzialmente due. Il primo è quello di offrire a tutti gli operatori del mondo dell’arte uno strumento semplice, innovativo e ben funzionante per raccogliere fondi e realizzare nuove idee; il secondo è quello di consentire agli appassionati d’arte di essere parte della produzione artistica e di ottenere quale ricompensa un qualcosa di unico ed esclusivo. BeArt, oltre a divenire lo strumento cui rivolgersi in caso di necessità di fundraising, è anche una vetrina dove trovare opere d’arte ed esperienze esclusive, presentate sotto la forma delle ricompense, di eterogeneo valore (attualmente, da 10 Euro a 2.500 Euro) e quindi adatte sia per chi stia cercando un’idea originale per un regalo sia per il collezionista alla ricerca di qualcosa di unico ed esclusivo, che non possa essere acquistato altrove. Tali dinamiche portano alla creazione di una vera e propria art community web based, e quindi senza confini, punto di incontro virtuale di riferimento per tutti coloro che fanno parte del mondo dell’arte, sia in veste professionale che di meri fruitori».
Potremmo dire che BeArt ha una doppia anima, milanese e londinese, come dialogano tra loro questi due sistemi dell’arte? Come e perché avete ritenuto interessante e fruttuoso creare questo ponte tra l’Italia e l’Inghilterra?
«BeArt nasce dall’intuizione di tre soci italiani e si dirama con un quartier generale a Londra e uffici a Milano. Le due città rappresentano, ciascuna per le proprie peculiarità, dei punti di riferimento assoluti per il mondo dell’arte. Da un lato abbiamo l’Italia, il più significativo collettore di patrimonio artistico che si riflette in un popolo con indiscusso talento nell’arte, dall’altro l’Inghilterra, con Londra che rappresenta attualmente la capitale mondiale dell’arte contemporanea, sia dal punto di vista della qualità dell’espressione artistica che da quello del volume d’affari prodotto dall’industry. Abbiamo quindi ritenuto che Londra potesse essere il punto dal quale partire per la nostra espansione a livello europeo, seppur mantenendo una grande attenzione nei confronti delle nostre origini, che si riflettono, ad esempio, nella prevalenza attuale di progetti italiani sulla piattaforma».
Il crowdfunding è molto diffuso negli Stati Uniti ed in Gran Bretagna, mentre in Italia è una pratica ancora poco conosciuta, o per meglio dire non vi è ancora un ampia fetta di finanziatori che abitualmente supporta campagne di ogni genere e tipo, e sopratutto progetti artistici. Credi che in Italia vi siano i presupposti per un cambiamento da questo punto di vista?
«Seppur l’approccio italiano al crowdfunding sia stato inizialmente molto timido, sempre maggiori sono oggi le iniziative in tal senso svolte attraverso piattaforme generaliste, tanto che una delle più note tra esse, ovvero Kickstarter, ha recentemente annunciato la propria espansione in Italia. Oltre a ciò, in Italia i tagli ai finanziamenti per la cultura sono sempre maggiori, il che crea un’esigenza strutturale di denaro che comporta l’esigenza di ricorrere a mezzi alternativi per la realizzazione di progetti. L’Italia rappresenta la terra d’origine del mecenatismo ed il crowdfunding altro non è che una, maggior democratica, versione contemporanea dello stesso. Noi crediamo che vi siano tutti i presupposti per un avvicinamento culturale a tale dinamica, a riprova di ciò l’estremo interesse e fiducia sia dal punto di vista dei creatori di progetti che di quello dei sostenitori riscontrata durante la nostra attività di business development».
Il crowdfunding per sua natura mette in luce due differenti aspetti che fortemente condizionano il sistema dell’arte contemporanea: i finanziamenti pubblici e privati per la realizzazione di progetti e mostre (in Italia sempre più scarsi) ed il ruolo del fruitore d’arte spesso ignaro o disinteressato al lungo e tortuoso processo che può portare alla realizzazione di progetti artistici. Credi nella creazione di una nuova figura di fruitore/finanziatore, e credi che tale figura possa trasformare, e come, il sistema dell’arte contemporanea attuale?
«Il crowdfunding funziona proprio perché punto di incontro tra due differenti esigenze. Da un lato abbiamo i creatori di progetti artistici che sono limitati nella propria espressione artistica dai sempre minori finanziamenti alla cultura, mentre dall’altro, a fronte dell’attuale economia dei social media e dei “mi piace”, agli appassionati non basta più essere meri fruitori d’arte bensì ambiscono ad una partecipazione attiva nella stessa. BeArt offre una soluzione ad entrambe le esigenze, offrendo da un lato una possibilità alternativa di raccolta di denaro e dall’altro consentendo la partecipazione attiva dei sostenitori. Il risultato di ciò è una nuova concezione della figura del fruitore/finanziatore, figura storicamente sempre esistita nel contesto del mecenatismo, seppur rivisitata in chiave contemporanea. Il crowdfunding consente infatti di divenire mecenati anche con un piccolo contributo e di divenire collezionisti d’arte a portata di click, non solo per il mero amore nei confronti dell’opera d’arte ma anche alla luce della non trascurabile valenza etica».
Pia Lauro