“Comizi di donne” è una densa pellicola ispirata ai “Comizi d’Amore” di Pasolini che, attraverso la narrazione della quotidianità della condizione femminile a Napoli, affronta il tema della diseguaglianza universale di genere, raccontando di come la rivoluzione della città possa partire dall’ascolto delle donne.
Interamente finanziato dall’Opera Pia Purgatorio ad Arco onlus, con la collaborazione di Progetto Museo, la videoinstallazione a cura di Maria Teresa Annarumma sarà fruibile nel Complesso Monumentale di Santa Maria delle Anime del Purgatorio ad Arco, fino al 10 settembre 2022. Il film fa parte di un ampio progetto che, dallo scorso dicembre, indaga l’universo femminile a Napoli attraverso convegni, reading e concerti e con la videoinstallazione sonora del musicista Marco Messina dei 99 Posse che, attraverso ritmi e musiche, mette in scena la storia e la tradizione delle donne di Napoli che oggi vogliono farsi sentire.
Abbiamo intervistato la curatrice del progetto, Maria Teresa Annarumma, per farci dire di più.
Comizi di donne è un film di oltre tre ore ispirato ai Comizi d’Amore di Pasolini. Come dialogano queste due splendide opere? Cosa è cambiato dal 64 ad oggi? Cosa invece è rimasto uguale?
Nell’immaginare “Comizi di Donne”, sono partita da me e da questa condizione eternamente pandemica aggravata recentemente dalla guerra che ha amplificato un senso di precarietà ed impotenza e mi sono chiesta “Cosa sta succedendo? Quali sono le criticità costanti e dimenticate da questi ripetuti stati di emergenza?”. Quindi, ho cercato una prassi che potesse essere coraggiosa (perché in questi tempi abbiamo bisogno di scelte che cerchino cambiamenti) ma che generasse un’attenzione personale e politica allo stesso tempo, perché questi tempi ci hanno mostrato, mai come prima, che abbiamo bisogno di relazione e prossimità e per questo motivo, la mia attenzione si è rivolta a Pier Paolo Pasolini e la sua incessante tensione sociale ed il suo impegno politico.
Il mondo e la nostra società sono senza dubbio diverse da quelle del ’64, così come Pasolini intuiva per molti aspetti ma, “Comizi di Donne ispirandosi a Comizi d’Amore”, fa la stessa scelta fondamentale che prescinde il tempo: annullare ogni forma di autorialità e rivolgere lo sguardo a quella parte della società, a quelle vite che sono fuori una narrazione ufficiale del contemporaneo. Se Pasolini scelse il tema dell’amore comune a tutti e quindi, particolarmente sensibile e capace di dare un quadro della società italiana in trasformazione, io sono andata oltre e non ho scelto un tema particolare, lasciando le 22 donne libere di parlare della loro vita e delle cose a cui tenevano, perché molto del quotidiano femminile è rimasto immutato, nonostante i cambiamenti sociali.
Mi continuo a stupire di come, anche in quest’anno di celebrazioni pasoliniane, si continui a parlare di centinaia di aspetti del suo lavoro ma non di questa scelta fondamentale di attenzione a quella che Braudel chiamava storia profonda, nella teoria della “longue durée”. Certo, all’epoca dello scrittore friulano l’attenzione era posta su quello che era il cd. “sub proletariato” messo ai margini dal mutamento neo liberistico che l’Italia, e non solo, stava vivendo.
Oggi, che i processi di sfruttamento sono trasversali e coinvolgono quasi tutte le classi, ho pensato che le donne potessero essere quella parte della società che necessita di questo tipo di attenzione, un’attenzione rivolta alla sfera minima in cui si realizza quella diseguaglianza a cui le donne sono costrette, e che le porta nella quotidianità ad affrontare sfide che l’uomo non ha: la cura della famiglia e la maternità in assenza di un welfare efficace, disparità di trattamento nell’accesso lavorativo, giudizio morale sociale etc.
“Comizi d Donne” è una long film installation che offre un’esperienza di empatia e di riflessione personale e collettiva e che si domanda, cosa l’arte può essere quando pone le persone come protagoniste nel suo farsi e quando cerca le relazioni: ciascuno sceglie quanto tempo dedicargli e magari tornare, quello che conta è il tempo che si da e si vive in questa conversazione con le donne e le loro vite. Ci si può in parte identificare con le storie che si ascolteranno ed in parte no, ma è una installazione cha aspira ad un’attenzione emozionale e di presa di coscienza.
Cosa chiedono le donne di Napoli? Che narrazione della città propone questo film?
Io sono una donna di Napoli e quindi so bene che i problemi e le storie sono quelli che accomunano molte donne in Italia e nel mondo anche se la vita di ciascuna di noi rimane sempre profondamente unica. Certo, ci sono peculiarità sociali ma nulla di determinante da renderle diverse da altre. Quello che è diverso è la storia di Napoli che mi ha offerto spunti di riflessioni.
Avendo lavorato all’estero ed avendo molte amiche non italiane, mi sono resa conto che la narrazione recente ha visto l’immaginario plasmato molto sulle protagoniste delle storie di Elena Ferrante: si tratta di donne che combattono duramente in un mondo socialmente e culturalmente violento verso di loro dove, ma la necessaria drammatizzazione del testo, utile ai fini autoriali, lascia la dimensione femminile solo in un’aura di realtà che inevitabilmente diminuisce la vera portata drammatica della condizione femminile.
L’incontro con Cinzia Mastrodomenico e con alcune delle donne che sono state protagoniste di un’epoca di attivismo napoletano, mi ha dato nuovo spunto e fiducia che partendo dalla nostra vita sia possibile costruire condizioni migliori per una società più equa. Infatti, la storia di Napoli e, in particolare di una parte del femminismo napoletano, ci mostra una narrazione alternativa: infatti, la figura di Lucia Mastrodomenico e la storia della Mensa dei Bambini Proletari, che è ricordata nel film da racconti personali, credo possano dare intuizioni più che mai attuali e capaci di dare prospettive di cambiamento. Se infatti oggi, nel terzo decennio degli anni 2000, è drammaticamente evidente che la rivoluzione culturale auspicata dai movimenti femministi dagli anni ’70 non si è realizzata (nonostante i grandi traguardi ottenuti e di cui tutte noi usufruiamo), queste esperienze ci mostrano che quando l’attivismo e la politica cerca risposte concrete ai bisogni quotidiani, la differenza è possibile, ed una rivoluzione non è impossibile.
Infatti, se la Mensa (fondata a Napoli nel 1973 e durata fino ai primi anni ’80) fornendo pasti ed un modello educativo a centinaia di bambini, aiutava il quotidiano di moltissime donne divenendo un laboratorio di condivisione ed esperienze, Lucia Mastrodomenico (una delle fondatrici) rimarcava che il femminismo non poteva dimenticare le caratteristiche della soggettività femminile quali l’empatia, la relazionalità e persino la grazia. “Comizi di Donne” chiede questa necessaria rivoluzione culturale e la chiede partendo dalle donne, dal loro ascolto e dalla presa di coscienza collettiva che una società non potrà mai essere democratica senza questa rivoluzione in nome delle donne, una rivoluzione in cui le donne possano essere presenti non assumendo e forgiando la propria personalità a modelli culturali altrui, ma evidenziandone le peculiarità soggettive legate al genere, come pure, riconoscendo e cercando soluzioni comuni a quel blocco sociale e culturale che le donne sono costantemente costrette ad affrontare. Si auspica un mondo in cui si è liberi di essere donne in tutti i suoi aspetti senza che questo comporti una doppia morale o difficoltà di accesso a carriere senza che questo comporti rinunciare o limitare la maternità oppure obblighi familiari che sono culturali e figli di una ostinata società patriarcale.
Quali sono gli eventi che hanno accompagnato il lancio del progetto?
Il programma è iniziato in dicembre con una lettura critica de “Il Vangelo Secondo Matteo” di Pasolini che si è realizzata con la video installazione “I Testimoni e la Storia”: un percorso che ha cercato di aprire lo sguardo direzionandolo appunto verso coloro che si suppongono essere comparse e non protagonisti della storia, elemento particolarmente evidente in quest’opera dell’autore friulano, con il largo uso di primi piani verso i testimoni degli eventi di Cristo. Qui la folla, da essere un’entità indefinita si rivela con i suoi significati latenti: si personifica nell’attenzione, nello sguardo del singolo che allo stesso tempo “è parte di”, una storia che diventa così, personale e inevitabilmente politica.
Successivamente abbiamo contestualizzato in un ottica contemporanea questa scelta pasoliniana in un talk dal titolo «Pasolini, Grotowski e la rivoluzione narrativa» in cui insieme alla prof.ssa Maria Pia Pagani, docente di drammaturgia e storia del teatro orientale presso l’università Federico II abbiamo immaginato un parallelo fra questi due importanti autori del ‘900, che avevano, trovando differenti risposte, la stessa esigenza di eliminare le forme di autorialità per creare una relazione diretta e senza ruoli fra l’opera e le persone che ne diventavano autori e spettatori allo stesso tempo.
Quindi, seguendo l’esempio pasoliniano, è stata la volta dell’installazione sonora multicanale di Marco Messina, “Nuova Repubblica Napoletana”, in cui l’artista ha iniziato a dare voce alle donne, in una narrazione attraverso il tempo in cui fra canti popolari, esortazioni di teoriche del femminismo come con racconti personali si prendeva coscienza di questa storia sommersa al femminile.
L’ipogeo del Complesso, modificato nella sua percezione dall’architettura del suono fatto delle voci delle donne che in questi luoghi sono sempre state presenze invisibili così come lo sono nella società, quando si abbandonano le letture retoriche e paternalistiche del femminile.
Allo stesso tempo, ho iniziato una conversazione ed un percorso di condivisione con i prof. Alberto Gaetti ed Elio Martusciello del Conservatorio San Pietro a Majella che, tenendo conto dell’importanza fondamentale della musica nei racconti cinematografici di Pasolini, hanno elaborato insieme agli studenti della classe di musica elettronica, una serie di concerti e di opere appositamente realizzate per il programma.
L’ultima tappa è appunto la long film installation “Comizi di Donne”, un manifesto per questa “Nuova Repubblica delle Donne” che il lavoro di Messina annunciava e che, il 5 luglio scorso ha visto aprire con l’assemblea “Comizi di Donne”, un percorso di dibattito sul femminile a Napoli e oltre: infatti un’altra caratteristica importante di questo progetto è stato la conversazione instaurata sia con realtà istituzionali quali il Conservatorio San Pietro a Majella e l’Accademia di belle arti di Napoli, ma soprattutto con associazioni impegnate sul territorio quali quella Madrigale per Lucia onlus, Amici di Carlo Fulvio Velardi onlus e Champion center la Scampia che vince.
Quello che ci ha accomunato è proprio il renderci conto che tutte noi, a prescindere dalle specifiche esperienze, vivevamo la stessa condizione: essere napoletane e, soprattutto, essere donne. Si è trattato di un percorso aperto sul vivere quotidiano, sulle sfide che tutte noi affrontiamo e che determinano molto di quello che siamo. Si tratta di un viaggio personale e collettivo appena iniziato ma, motivato dal desiderio di capire cosa è possibile fare ora per realizzare nella prossimità le condizioni quella rivoluzione culturale mai avvenuta.
Perché è stato scelto Complesso del Purgatorio ad Arco per l’ambientazione di questo progetto?
Quando mi è stato chiesto di curare il programma contemporaneo nel dicembre 2020 da parte dell’Opera Purgatorio ad Arco onlus, la storia del luogo e, soprattutto del suo ipogeo, chiamava un’attenzione particolare verso le donne: infatti, il culto delle anime del purgatorio, a cui questi luoghi sono dedicati, era un culto a cui attendevano in particolare le donne. Il lunedì era il giorno scelto per recarsi nella chiesa e nell’ipogeo e, per questo motivo, era il giorno di libertà, in cui non erano tenute a svolgere le tipiche mansioni domestiche. Mi sembrava necessario ed opportuno dare volto e storia a questa presenza, attualizzandola a quelle che sono le problematiche dell’oggi, in una lettura contemporanea della storia che potesse avere le donne come protagoniste.
Se in passato fra le opere caritatevoli dell’Opera Pia c’era anche quella di fornire la dote alle donne che non la possedevano, per emanciparle socialmente nella loro condizione economica, oggi se si vuole attualizzare questa missione, si deve necessariamente farlo diventando un luogo in cui le donne sono protagoniste sociali con le loro vite e, soprattutto, divenendo cassa di risonanza per le problematiche del vivere quotidiano femminile, così come in passato l’assenza di una dote lo era per molte giovani donne.
Come dicevo, la storia ha varie possibilità di lettura ma offre anche diverse scelte di campo: non credo sia più il tempo del conformismo, ma piuttosto il momento in cui è giusto accettare sfide e provare alternative ad un modello sociale e politico che ha aperto drammatiche ferite ed acutizzato quelle vecchie.
Al Museo Nazionale di Monaco, la mostra dedicata all’artista portoghese Francisco Tropa indaga il desiderio recondito dell’arte, tra sculture, proiezioni…
Alle Gallerie d'Italia di Vicenza, in mostra la scultura del Settecento di Francesco Bertos in dialogo con il capolavoro "Caduta…
La capitale coreana si prepara alla quinta edizione della Seoul Biennale of Architecture and Urbanism. In che modo questa manifestazione…
Giulia Cavaliere ricostruisce la storia di Francesca Alinovi attraverso un breve viaggio che parte e finisce nella sua abitazione bolognese,…
Due "scugnizzi" si imbarcano per l'America per sfuggire alla povertà. La recensione del nuovo (e particolarmente riuscito) film di Salvatores,…
Il collezionista Francesco Galvagno ci racconta come nasce e si sviluppa una raccolta d’arte, a margine di un’ampia mostra di…