Complicatamente Napoli

di - 27 Gennaio 2018
Sparatorie per vendetta e pugnalate alle spalle, orecchini e catene d’oro, statue di mastini neri e tappezzeria placcata: in una Napoli che profuma di Gomorra la giustizia ha un altro sapore, quello dell’onore da rispettare, della ferita da nascondere, dell’offesa da vendicare. Per Eduardo De Filippo questa Napoli ha il nome di Antonio Barracano: Don Antonio è il boss che ha subito un maxiprocesso, che ha una villa che arriva fino al mare, che si è conquistato il rispetto della gente e deve imporre il suo onore.
Il sindaco del Rione Sanità, scritto nei primi anni Sessanta, arriva al Piccolo Teatro di Milano dopo il grande successo ottenuto a Napoli e Torino: Mario Martone, che per la prima volta si confronta con un testo del suo illustre concittadino, firma la regia, con un cast interamente napoletano e una attualizzazione da far concorrenza alle migliori serie camorriste ora in onda su Netflix.
Il vero sindaco della città è Don Antonio, interpretato da Francesco Di Leva, cofondatore di Nest – Napoli Est Teatro (Premio Rete Critica 2017 per il progetto organizzativo) coproduttore dello spettacolo insieme allo Stabile di Torino. Il buon paciere dà consigli e mantiene l’ordine, nulla avviene senza la sua approvazione: bullizzato da adolescente, autore di crimini efferati, Barracano si è creato il suo piccolo impero, ha costruito la sua personale utopia, cercando di ristabilire un ordine ormai inesistente, imponendo la propria giustizia. Passa le giornate a riconciliare coppie di vecchi amici, lo strozzino e l’indebitato, finché non arriva Rafiluccio, figlio ripudiato che vuole uccidere il padre, Arturo Santaniello. Diviso tra la stima per la risolutezza con cui l’uomo lo ha affrontato, e inebriato dal potere nato dalla paura che incute la sua figura, è convinto di poter risolvere il problema. Ma la vita, come la giustizia di un boss, è imprevedibile.
Il Sindaco del Rione Sanità, foto di Mario Spada
Portare a teatro e in televisione, molto prima di quello che ha fatto Roberto Saviano (Eduardo stesso la ha trasposto per la RAI nel ’64), fu aspramente criticato sia dagli spettatori napoletani, che si immedesimavano nel boss che ritenevano immortale, sia dalla critica e dal pubblico non napoletano, che non trovarono credibile la conversione finale di Don Antonio. Un antieroe per i suoi concittadini, visto che alla fine si convertiva al bene (o alla sua idea di bene, fino al sacrificio della vita), e un antieroe per la giustizia, perché un boss non può tradire il proprio onore.
Sono passati sessant’anni ma la questione resta viva: c’è la politica, con figure troppo simili al borderline Don Antonio, e ci sono serie tv dal successo planetario. Martone ha colto il senso profondo del testo di Eduardo, con una attualizzazione di taglio cinematografico: giubbotti di pelle, felpe, anfibi, catene al collo, e uno spiccato accento napoletano (o meglio, di Napoli Est), che però non ha bisogno di sottotitoli. Solo gli intellettuali, quelli che dovrebbero stare dalla parte della giustizia, parlano italiano: Fabio Della Ragione, interpretato da Giovanni Ludeno, il medico fisicamente e psicologicamente succube del boss e suo braccio destro, e Massimiliano Gallo, il panettiere in ascesa sociale, Arturo Santaniello, il padre di Rafiluccio. Diventano emblemi dell’ambiguità etica mostrata da Eduardo: sembra che per loro la giustizia diventi una questione privata da manipolare per istinto di sopravvivenza.
Il Sindaco del Rione Sanità, foto di Mario Spada
Una messa in scena brillante dal ritmo serrato e dai gesti crudi e contemporanei. Don Antonio non è un vecchio reso saggio e scaltro dall’esperienza, ma un giovane aggressivo che la mattina subito dopo il caffè esercita gli addominali su una panca improvvisata con il cappuccio sulla testa, massiccio e deciso: sono i sentimenti profondi di questa Napoli, violenta e combattuta tra diverse idee di giustizia. Così Martone, con una compagnia in buona parte giovane, porta in scena la vita e ribadisce l’attualità del teatro di De Filippo: artisti di due generazioni diverse, capaci di comprendere la loro città, bella e difficile.
Giulia Alonzo
In scena al Piccolo Teatro Grassi fino al 28 gennaio 2018
di Eduardo De Filippo
regia Mario Martone
con Francesco Di Leva, Giovanni Ludeno
e con Adriano Pantaleo, Giuseppe Gaudino, Daniela Ioia, Gennaro Di Colandrea, Viviana Cangiano, Salvatore Presutto, Lucienne Perreca, Mimmo Esposito, Morena Di Leva, Ralph P, Armando De Giulio, Daniele Baselice
con la partecipazione di Massimiliano Gallo
scene Carmine Guarino, costumi Giovanna Napolitano
luci Cesare Accetta, musiche originali Ralph P
produzione Teatro Stabile di Torino – Teatro Nazionale
in coproduzione con Elledieffe / Nest – Napoli Est Teatro

Dopo gli studi al Politecnico di Milano e all'Accademia di Belle Arti di Brera, collabora con diverse testate di teatro e arte. Studiosa di arti visive, design e spettacolo dal vivo, è particolarmente interessata alla ricezione e alla simbologia delle opere d'arte nella società contemporanea. Attualmente impegnata nello sviluppo del portale trovafestival.com, la cultura in movimento.

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