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Con “1M Sotto la Metro”, le stazioni di Roma diventano gallerie d’arte digitale
Progetti e iniziative
di gaia bobò
“1M Sotto la Metro” è il nuovo progetto prodotto da Fusolab 2.0 in collaborazione con Flyer e Atac, promosso da Roma Culture, che trasforma la Metro C di Roma in uno spazio espositivo d’arte digitale. 15 gli artisti coinvolti che, in tre edizioni, a maggio e dicembre 2021 e a dicembre 2022, animeranno 15 fermate della Linea. La prima tappa è andata in scena dal 26 al 28 maggio, con sei opere nelle stazioni Teano, Gardenie, Malatesta, Pigneto e Torre Maura. Abbiamo raggiunto Arianna Forte, curatrice del progetto, per farci dire di più.
Potresti raccontarci brevemente il progetto “1 Metro Sotto la Metro”, focalizzandoti sugli attori e sui processi che hanno contribuito alla sua nascita?
«L’idea centrale di “1 Metro Sotto la Metro” è di riuscire a portare una mostra di new media art e arte interattiva nella metropolitana. Fusolab 2.0 è il promotore del progetto, mentre Flyer, che da anni organizza il Live Performers Meeting, è partner preziosissimo di produzione, così come l’ATAC, che ci ha aperto i suoi spazi. Il progetto è tra i vincitori del bando triennale Contemporaneamente del Comune di Roma, e punta a svilupparsi nei prossimi anni coinvolgendo ancora più stazioni della Metro C, in seguito alla prima edizione che comprende unicamente le stazioni di Pigneto, Malatesta, Teano, Gardenie e Torre Maura.
1MSM è così articolato: da mercoledì 26 a venerdì 28 maggio nelle cinque stazioni saranno installate cinque opere di artisti internazionali, con una shortlist che raccoglie nomi di assoluto rilievo, e che normalmente si potrebbero trovare in un festival come Ars Electronica o in altre manifestazioni internazionali dedicate alla new media art. È stato inoltre sviluppato un progetto ad hoc per ATAC.
La mostra ha un piglio assolutamente site e time specific, e sceglie di inglobare in sé la struttura del festival. Purtroppo, la durata di questa edizione si è dovuta abbreviare ulteriormente (da 5 a 3 giorni) a causa di problemi tecnici. Ma intanto ci riteniamo soddisfatti del risultato raggiunto».
Come sei arrivata alla selezione degli artisti e, in generale, quale direzione hai seguito nella definizione del progetto curatoriale?
«Il focus della mostra è sull’arte interattiva, intesa come superamento di una dimensione unicamente contemplativa dell’opera d’arte. La necessità di essere fisicamente e praticamente di fronte l’opera e rompere la regola del NON TOCCARE è la caratteristica fondamentale del nostro progetto. Abbiamo assecondato questa esigenza in primo luogo perché uno dei nostri obiettivi è quello di avvicinare un pubblico non di specialisti della new media art o in generale dell’arte, ma un’utenza più ampia e non specializzata, e in secondo luogo perché “1M sotto la metro” è stata progettata proprio durante la pandemia, dunque in un contesto di isolamento in una dimensione contemplativa dello schermo.
Nella composizione del programma artistico abbiamo cercato di proporre delle opere di alto livello ma comunque dall’interfaccia accessibile. Un esempio è il muro interattivo Bloom di Maotik, in cui tramite un gesto del visitatore “sbocciano” fiori astratti e composizioni sonore sempre diverse. L’artista è molto conosciuto nella scena della digital performing art, ci siamo incontrati la prima volta all’Ars Electronica Center nel 2017 nel contesto di un suo bellissimo progetto nel Deep Space. Un altro progetto visionario è Eternal Dream di Simon Weckert, artista tedesco tra i vincitori del Prix Ars Electronica 2020, in cui uno specchio digitale dà la possibilità al visitatore di vedere sé stesso volare. Distances è invece una riflessione sulla pandemia e sulla possibilità di toccarsi virtualmente, riunendo visivamente due persone fisicamente lontane. Il progetto è del duo francese Scenocosme, nel panorama dell’arte interattiva da più di 20 anni e le cui opere attualmente sono visibili tra Shanghai e Philadelphia.
Invece Algorithm è l’opera delle Calembour, due media artist che stanno facendo dei progetti molto interessanti nel campo dell’AI, ed è una suggestione che riflette sull’impatto dell’intervento umano sulla natura: se si toccano le piantine dell’installazione, si crea un glitch visivo e sonoro. Poi tra le opere candidate alla Call for projects, abbiamo scelto Retrospective di Motorefisico, un duo di giovani designer di Roma. L’opera è molto scenografica e consente al visitatore di interagire con giochi e geometrie luminose e con le composizioni sonore del musicista Arssalendo. Infine, c’è il side project del collettivo Tamara Ceddi, Do ut Das, un distributore automatico di poesie che funziona grazie all’inserimento di un biglietto dell’Atac usato, che viene scambiato con una poesia de I Poeti der Trullo da poter leggere durante il viaggio in metro».
Quali motivazioni vi hanno portati a scegliere una modalità di interazione fulminea come quella della metropolitana? E inoltre, quale ruolo gioca la scelta del focus sulle zone periferiche?
«Uno degli obiettivi di 1M Sotto la Metro è avvicinare la new media art a chi non sarebbe mai andato intenzionalmente in un museo o una manifestazione dedicata. In questo senso, già durante l’allestimento abbiamo registrato reazioni positive da parte degli utenti, specialmente dai più giovani, attratti dalle luci e dai suoni delle opere. L’altro obiettivo è quello di rileggere un non-luogo come la metropolitana e farlo rivivere tramite l’arte. Si vuole interrompere un flusso in cui si è proiettati solamente verso la destinazione, proponendo contenuti stimolanti e incisivi.
La scelta di realizzare il festival nelle zone periferiche è un punto fondamentale per noi, così come la creazione di un collegamento tra Roma Est e i quartieri più centrali. In questo c’è un tratto autobiografico molto forte, che si esprime nella scelta di lavorare seriamente per migliorare il posto in cui viviamo. Il Fusolab 2.0 è un centro culturale a tutto tondo che si occupa sia di fitness che di programmazione php e di new media, e da anni è un riferimento per il quartiere Alessandrino. Flyer ha la sua sede a San Lorenzo, mentre io vivo al Pigneto. Tutti noi ci occupiamo dell’interazione tra le nuove tecnologie e l’arte e stiamo provando ad arricchire i luoghi che viviamo tutti i giorni con quello che è il nostro lavoro, che spesso ci troviamo a fare fuori dal nostro quartiere, città o nazione».