Da New York all’Aquila. Arte in costruzione

di - 26 Febbraio 2016
L’11 settembre di quest’anno ricorre il quindicesimo anniversario dell’attentato alle Torri Gemelle a New York. Ed è proprio nella metropoli americana che è stato ideato ArtBridge, un progetto d’arte contemporanea incentrato sull’applicazione di immagini di opere d’arte sui cantieri e sulle impalcature che invadono la città che non dorme mai. A questo aspetto di realtà in divenire a New York si è susseguita L’Aquila. Non si tratta della mera esportazione di un format culturale, bensì dell’adattamento di uno strumento declinabile in situ.
Il caso della città dell’Aquila si adatta da quel fatidico 6 aprile 2009, ore 3:32, quando il picco di una lunga serie di scosse di terremoto è durato 23 lunghi secondi capaci di distruggere vite, spezzare esistenze e creare un insopportabile spartiacque tra il prima e il dopo. E, nonostante siano trascorsi degli anni, questo “dopo” ancora stenta ad avvenire, pulsando più che mai nel cuore di una città che continua a vivere e a difendersi, pur avendo tuttavia ancora parecchie ferite e piaghe da rimarginare.
Proprio tra questo prima e questo dopo si colloca il tempo sospeso della ricostruzione, quel mentre – come lo ha definito la curatrice del progetto Veronica Santi – in cui si tentano di ricucire i lembi delle possibilità per una ricostruzione. “Abruzzo forte e gentile” recita un proverbio indigeno che può venire in mente quando si passeggia tra i vicoli fantasma del centro storico dell’Aquila dove alla desolazione architettonica si affianca l’energia e la vivacità degli aquilani. “Immota manet” è il motto che appare nello stemma cittadino dell’Aquila, preso in prestito dalle Georgiche di Virgilio nel XVII secolo quando i terremoti stavano diventando sempre più frequenti. Questo spirito continuo di ricostruzione e di fermezza lo riscontriamo ancora oggi e anche nel progetto Off Site Art- ArtBridge come tentativo di mappare e rendere conto dello stato evolutivo dei cantieri aperti nel centro della città che, visto dall’esterno, appare come un paesaggio dal profilo arzigogolato dalle varie altezze delle gru che lo abitano.

Ogni impalcatura ha la propria opera, ciascuna di un artista diverso. La mostra a cielo aperto è però destinata a mutare, a porsi in divenire così come la vita del cantiere di riferimento, comunicando perciò, attraverso lo spostamento o l’assenza dell’opera, lo stato dei lavori di ricostruzione. Ad aiutare lo spettatore l’applicazione gratuita “Off site App” per smartphone in ambiente Android che permette di localizzare le opere del progetto installate sui ponteggi dei cantieri del centro storico in ricostruzione. Ma veniamo agli artisti coinvolti: Elena Adamou, Leonia Casaglia, Daniele Davitti, Pietro Del Bianco, Edoardo De Falchi, Marilia Destot, Iolanda Di Bonaventura, Sandro Di Camillo, Federica Di Carlo, Claudia Esposito, Evry, Marjan Fahimi, Antonella Finucci, G&G, Piotr Hanzelewicz, Dritan Hiska, Arianna Lodeserto, Allison Maletz, Carmen Mitrotta, Claudia Pajewski, Iacopo Pasqui,  Federica Peyrolo, Giovanni Presutti, Simona Prives, Joelle Shallon, Danilo Susi, Lucia Uni, Gianni Zanni, tutti selezionati da un’apposita commissione.
In Piazza Palazzo, tra tanti, il lavoro di Lucia Uni restituisce l’immagine di una visionaria ricostruzione dell’Aquila realizzata con delle foto scattate pochi giorni dopo il terremoto seguendo l’onda delle ali di un’aquila che si alza dalle macerie. In via Castello il lavoro di Federica Di Carlo Ogni cosa è illuminata#2 è la fotografia di un’installazione dell’artista romana presentata a Palazzo di Piazza Pasquino a Roma nel 2014 che, nella sua nuova collocazione, si carica di significati nuovi e attribuisce alla luce, tema caro all’artista, quel valore universale di speranza e di spinta oltre i confini. In Piazzetta della Commedia Iolanda Di Bonaventura affronta il tema della fragilità con un lavoro fotografico che fa della donna il simbolo di tutto ciò che bisogna far fiorire, come la città dell’Aquila. Lungo Corso Vittorio Emanuele Gianni Zanni presenta un lavoro dal titolo L’onda in cui sono impresse in giallo su un’onda speculare l’ora e le coordinate Nord-Est dell’epicentro del terremoto aquilano. Alcuni lavori sono già stati tolti per svelare la facciata di palazzi finalmente ricostruiti e restaurati, altri ancora campeggiano alti dai ponteggi, in attesa di essere anche loro dismessi e magari, per una volta, smantellare una mostra sarà meno triste. Abbiamo rivolo alcune domande alla curatrice Veronica Santi.

Da New York a L’Aquila: com’è avvenuto questo passaggio tanto distante geograficamente, ma altrettanto vicino nello spirito? Se qui ricordiamo questa provenienza newyorkese, anche a New York viene riconosciuta una fratellanza abruzzese?
«Il progetto nasce da una proposta di ArtBridge, organizzazione di Arte Pubblica che da cinque anni installa opere di artisti emergenti sui ponteggi di New York. Insieme ad un gruppo di aquilane abbiamo deciso di riproporre lo stesso format all’Aquila ed è così che quando l’idea ha preso piede è anche nata Off Site Art (OSA), una no-profit con sede nel capoluogo abruzzese che gestisce il progetto localmente, e che sta crescendo nel campo della ricerca artistica fuori dai circuiti tradizionali. Ovviamente in tutti gli eventi di ArtBridge che organizziamo qua a New York il progetto aquilano è sempre raccontato con massima attenzione e orgoglio. E d’altra parte non sarebbe possibile fare diversamente: abbiamo deciso di percorrere questa difficile avventura insieme anche perché ne riconosciamo tutti l’appeal internazionale e di ricerca. Non esistono infatti molti altri interventi di Arte Pubblica del genere, che entrano nella legislazione straordinaria di una città colpita da disastro naturale, innescando un meccanismo di rinascita culturale che va di pari passo con quella urbanistica e architettonica. In qualche modo è come se avessimo creato un virus che ha intaccato le dinamiche amministrative locali, generando cultura».


Quante e quali opere sono ancora collocate sui ponteggi? Ce ne saranno delle altre per futuri cantieri?
«Al momento abbiamo installato le opere di 28 artisti nel centro storico, 21 delle quali sono ancora visibili. Presto lanceremo una nuova call for art rivolta ad artisti emergenti che abitano in Italia e a New York, così da essere presenti anche nei prossimi cantieri del 2016. La direzione è sicuramente quella di rafforzare il ponte tra le due città, unirle grazie al linguaggio senza frontiere delle immagini. Nonché, ovviamente, quella di dare visibilità ai nuovi talenti».
Qual è stata la risposta degli aquilani al progetto Off Site ArtBridge?
«C’è chi lo ama e lo ha voluto sui ponteggi delle proprie case in ristrutturazione e c’è chi non lo ama e non lo ha voluto. C’è stato chi non camminava nel centro storico da anni e con la scusa di vedere il nostro progetto ha deciso di riattraversarlo. Recentemente devo dire che abbiamo ricevuto molte segnalazioni positive per l’ultima installazione in piazza Duomo e che ritrae la generazione nata dopo il terremoto nei bellissimi scatti realizzati dalla fotografa Claudia Pajewski. Non sempre però le opere hanno suscitato consensi. Sicuramente è un progetto che sposta: persone, pensieri ed emozioni».


Tutti i lavori mi sembrano centrare riflessioni, spunti, messaggi universali scaturiti da quel tragico 6 aprile 2009. Con quale criterio sono state selezionate le opere e gli artisti?
«Non c’è stato nessun limite, né di età, medium o di soggetti trattati. Non mi piaceva dare il “tema” da far svolgere a degli artisti emergenti, abbiamo piuttosto lasciato tutti quanti liberi di esprimersi sotto lo slogan “All’Aquila l’arte è in costruzione” che mi sembrava dicesse già abbastanza. Successivamente insieme alla giuria abbiamo individuato le proposte più convincenti, sia artisticamente che in relazione al contesto».
A partire dalla risposta degli aquilani, dei collaboratori, delle imprese che hanno accettato di partecipare al progetto, qual è la tua considerazione sullo stato attuale dell’Aquila?
«Lavoro a questo progetto da più di due anni e ho vissuto all’Aquila sei mesi per organizzarlo visto che, nella sua semplicità apparente, nasconde moltissime difficoltà tecniche, politiche, emotive e psicologiche. Sulla mia strada ho trovato persone speciali non soltanto professionalmente ma anche umanamente. Tuttavia L’Aquila è una città dove continuo a tornare anche perché mi interessa quello che sta accadendo, adesso, al di là del progetto. La trovo un’anomalia italiana in continuo movimento, un anno si popola, l’anno dopo si spopola, ma è comunque sempre attiva grazie alla ricostruzione che avanza e grazie a una dimensione culturale in crescita, sia da un punto di vista istituzionale sia indipendente. C’è spazio per le idee, e questo progetto lo dimostra».
Giuliana Benassi

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